Interview – Moderno

Il 27 gennaio è uscito Storia di un occidentale, l’album di debutto di Moderno, cantautore romano nonché professore di filosofia. Proprio la filosofia fa da collante fra gli otto pezzi che compongono il disco, pregno di riflessioni sulla condizione dell’uomo contemporaneo che risentono parecchio dell’influsso del francese Jean-François Lyotard. “Un’epoca senza grandi ideali a cui votarsi, dove anche le relazioni sociali e sentimentali sono destinate a naufragare, per paura di scoprirsi”. Moderno, vero nome Federico Antonio Petitto, ci spiega meglio i concetti alla base del suo album.

Professore di filosofia ma anche musicista. Come coniughi i due impegni? I tuoi alunni sanno della tua “doppia vita” o cerchi di mantenere il segreto?

Sono due fette importanti della mia vita, che si condiscono a vicenda. Mi piace comunicare, con le note o le parole, e questo credo si percepisca sia in un ascoltatore che in uno studente. Non mi piace farmi “pubblicità” con i ragazzi, ma proprio nell’ultimo periodo ho avuto un’improvvisa impennata di giovani follower. 😉

La tua professione e la tua formazione sono evidentemente un’influenza per la musica che componi. Ci spieghi meglio come metti in musica le tue riflessioni?

Non scrivo una canzone come se fosse un libro, ma partendo da osservazioni estemporanee generate da un’esperienza personale, una pubblicità, una battuta di un amico o familiare… perché no?, anche dalla lettura di un filosofo. Tutto è pensiero, umanità, eros che scorre.

Ti senti più Moderno o post-moderno?

Il post-moderno è secondo me l’era in cui viviamo noi occidentali, epoca di crisi di valori in cui l’obiettivo sempre più diffuso è di capitalizzare qualsiasi aspetto della vita umana, compresi i sentimenti. Se questo è il post-moderno, di cui parlo ampiamente nel disco a partire dalla mia esperienza, beh, preferisco tornare al pre.

Quanto spazio pensi ci sia ancora per la filosofia e per i filosofi nel mondo del 2021 iperdigitalizzato dei big data?

La filosofia ha senso solo se è un mettere in discussione il mondo. Quella degli accademici la rispetto, ma preferisco quando si cala nelle menti di tutti e le illumina. Oggi c’è meno tempo e voglia di riflettere, ma la filosofia sarà sempre un bisogno naturale degli esseri umani: più cerchi di cacciarla dalla porta, più entra dalla finestra. Magari attraverso una canzone. 

Musicalmente, quali riferimenti hai adottato nella composizione dei brani di Storia di un occidentale?

Negli anni ho arricchito notevolmente le mie influenze. All’indie italiano degli anni ’10 e al punk hardcore da cui provengo, ho aggiunto mille ascolti che vanno dal folk intimista (Sufjan Stevens, Keaton Henson, TTMOE ecc) all’elettronica. Ovviamente ho recuperato anche la lezione dei nostri cantautori, ma preferisco una scrittura più contemporanea (Niccolò Fabi, Vasco Brondi e Niccolò Contessa in testa).

È corretto affermare che il titolo dell’album è una sorta di “programma” di quello che hai voluto comunicare con il disco?

Nei brani c’è tutta l’irrequietezza di una generazione e di una società in cui vivo. Tutto questo in un contesto di “comfort” che però non ci salva dai problemi. Racconto la storia di uno o di tanti ragazzi persi in una precarietà costante, in amori sballati, in scelte sofferte di vita, che però non cancellano una cosa: la voglia di infinito.

Quali sono le tue aspettative per questo disco? Che obiettivi vorresti raggiungere?

Ho fatto uscire ora questo disco dopo un’attesa di più di un anno, perché la vita mi ha messo di fronte ad altre priorità. Spero adesso di ripagare gli sforzi messi in questa opera prima, approfittando della bella stagione per poter suonare in giro e far parlare di me. Ringrazio chi mi ha supportato e chi mi supporterà in questa romantica impresa!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *