Interview: Gran Rivera

Dannati Gran Rivera, che mi piazzano il disco più struggente del 2016. Si, sono un vero e proprio nostalgico, sono uno di quelli che si commuove ascoltando certe canzoni e certi testi che rimandano indietro, nel modo giusto le lancette del tempo: e i Gran Rivera fanno tutto giusto. Dal sound così anni ’90 (ma senza risultare fuori tempo, occhio!) e poi quelle parole che davvero sembrano un album fotografico sfogliato con le mani che tremano. Applausi, applausi e ancora applausi. In realtà io ho parlato di un disco unico, ma il progetto “è a puntate”. Pensavo meglio e Pensavo peggio  sono due EP digitali, il primo è uscito il 16 settembre e il secondo invece sarà disponibile dal 16 dicembre: 2 EP o forse le due facce di una sola medaglia. Sta di fatto che uscirà anche un vinile a racchiudere le due uscite. Nel frattempo ecco la mia chiacchierata con questi eroi…

Ciao ragazzi, come state? Da dove ci scrivete?
Ciao Riccardo. Intanto grazie per lo spazio e il tempo che ci stai dedicando.
Al momento ti stiamo scrivendo proprio dal cuore di Milano, cioè dalla Darsena.
Direi che stiamo bene. D’altronde è venerdì pomeriggio è c’è quell’aria frizzantina di week end che prelude la consueta mangiata pre prove del venerdì, in Trattoria da Giulio (Corso San Gottardo 40, tavola calda assolutamente consigliata dai Gran Rivera, ci trovi tutti i venerdì sera dopo le 21 nella sala con la TV, siamo a vedere le partite brutte dei campionati stranieri, hanno Premium…)

Posso partire dalla copertina? Ma come vi è venuto in mente questo sguardo sul congelatore e voi su una forchetta?
La copertina di Pensavo meglio è un minestrone di citazioni, anche extra musica. Il congelatore per cominciare è legato a Titanic di De Gregori, primi ’80, forse il suo disco più bello. La forchetta invece è un omaggio alle macchine inutili di Bruno Munari. Lui scriveva così, per descrivere quelle sculture: “Una macchina inutile che non rappresenti assolutamente nulla è il congegno ideale grazie a cui possiamo tranquillamente far rinascere la nostra fantasia, quotidianamente afflitta dalle macchine utili”. E poi ci siamo noi, piccolini come in “Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi”, che proviamo a tirare un sommario bilancio della vita una volta passata la trentina. Di cosa significa avere trent’anni e rotti oggi.

Ma, da chi vi ascolta, sono arrivati più i ‘pensavo peggio‘ o qualcuno ha osato dire ‘pensavo meglio‘?
Pensavo meglio” è solo un intercalare che adoperiamo spesso e involontariamente nel quotidiano, e ci sembrava adatto per fotografare i nostri ultimi anni. L’ottimismo è sopravvalutato. Onestamente gli amici cari che hanno sentito il disco ci hanno riempito di complimenti (e ci hanno pure riempito di gioia), quindi probabilmente pensavano peggio. Maledetti.

2 EP separati, ma in realtà due facce di una sola medaglia in realtà, sbaglio?
È stata una scelta editoriale per evitare di sparare subito tutte le cartucce. Nel 2016 un disco ha vita abbastanza breve sul web e per altro noi ci mettiamo un sacco a scrivere i pezzi. Conviene cadenzare i contenuti per avere l’occasione di parlare a chi ti ascolta un po’ più spesso. Forse è proprio il formato “disco” che sta perdendo di senso, ma siamo abbastanza affezionati quindi in realtà è un disco unico spaccato in due. Un po’ come Mellon Collie degli Smashing Pumpkings (magari).

Una cosa che adoro dei vostri testi sono le immagini così chiare e limpide, vere e proprio fotografie per nulla sfuocate, ricche però di quei particolari che, mannaggia, a volte mi fanno venire una nostalgia che non vi dico (perchè un po’ ci lavorate con cura sulla dannata nostalgia, no?). Eppure sono proprio i particolari a fare la differenza. Gli spunti immagino proprio siano la vostra realtà quotidiana, no? A me poi sembra che Milano stessa sia fondamentale…
Milano è cambiata. Negli anni ’80 non era mica così bella, te li ricordi i film di Pozzetto e Celentano? Era diversa, un po’ più grigia. Questo cambiamento (in meglio) l’abbiamo inevitabilmente sentito sulla nostra pelle, e l’abbiamo provato a raccontare. La nostra Darsena che stava per diventare un posteggio e invece guarda qui che roba, gli amici, il Trottoir ma soprattutto la trattoria, la nostra sala prove, i figli, il lavoro che cambia, e anche tanti problemi da sbrigare. Cose semplici ma molto precise. Per farla breve ci stanno abbastanza sul cazzo i sultani del sentimento che nei pezzi mescolano rime da quattro soldi e non comunicano nulla. In questo senso il rap anni ’90 ha molto da insegnare, racconta storie e lo fa bene. Penso a Colle Der Fomento, Bassi Maestro, il primo Fibra.

Uova Sode è roba da far tremare i polsi a chi è cresciuto con l’emo anni ’90 e poi invece ecco arrivare il synth-pop di ‘In fondo al Naviglio non c’è niente’ che ci porta praticamente a scuola di pop: com’è venuto in mente questo arrangiamento riuscitissimo?
Uova Sode è la prima che abbiamo scritto, 3 anni fa. Ormai è così vecchia che sembra il pezzo di un altro. Giri emo Texas is the Reason, ritornelli sbrodolati, sudore da saletta.
Ai musicisti piace molto, per chi ascolta la musica sul tram abbiamo pezzi più adatti.
Il Naviglio invece è tutta farina del sacco di uno dei più capaci produttori d’Italia. Uno che ha lavorato con gente enorme, ma che per beghe di lavoro resterà anonimo in questa intervista. È un ragazzo con cui abbiamo un rapporto di lunga data, un amico prima di tutto. Gli abbiamo chiesto una mano e ce l’ha data, ci siamo presentati con un demo raccapricciante e lui ha tirato fuori in discreta autonomia questo singolo. Dal vivo la suoniamo con le chitarre quindi ha un altro sapore. Ci divertiva il fatto di avere un pezzo che non c’entra nulla. Anche per farsi dare dei venduti dagli integralisti della scena underground. Un pezzo schifosamente pop con un testo poco pop.

Ci credete che a volte, ascoltandovi, ho ripensato ai mitici Delicious, ovvero i pre-Albedo?
Qui hai vinto. Perché significa che hai ascoltato davvero. Figurati che da ragazzini, nel 2004, ci avevamo suonato coi Delicious, in un pub della Brianza più amara (avevamo un altro gruppo). Loro avevano appena firmato con Massive Arts e li invidiavamo moltissimo. Dopo anni ci siamo incontrati nuovamente con Raniero ai concerti, e adesso condividiamo la passione comune per gli amici “Nient’altro che macerie”. A lui (il cantante dei Delicious, oggi Albedo) il nostro disco è piaciuto molto, ed è uno dei pareri che contano davvero.

Ripariamo tutto con lo scotch‘, urlato in quel modo potrebbe davvero diventare una frase fondamentale in tantissimi rapporti di coppia: in quel crescendo emotivo sonoro da brivido, ve ne uscite con sta frase che sembra sancire anche il trionfo di una fragilità e la sua accettazione, pur di stare meglio. Magari mi sbaglio…
Lasciarsi è un casino, a ogni età. Quando una storia finisce, quando è ancora fresca, l’unico pensiero che ti gira in testa è quello di aggiustare, anche in qualche modo, pur di avere tutto indietro. Spesso è una cazzata enorme rivolere tutto indietro, ma non ci sai rinunciare. Cesare Pavese nel Mestiere di Vivere diceva : “Se il chiavare non fosse la cosa più importante della vita, la Genesi non comincerebbe di lì”.

Mi parlate di questo vinile che racchiuderà i due EP? E’ già disponibile? Dove si potrà trovare?
Ci siamo quasi. Abbiamo voluto fare le cose per bene quindi siamo in ritardo. Lo troverete ai concerti. Che poi è il modo più bello per incontrarsi, conoscersi. Il banchetto ce lo facciamo da noi, alla vecchia, non siamo quelli che mettono lì una bella figa per vendere 2 copie in più. Se vi va, noi siamo lì, oppure al bar.

Grazie ancora ragazzi. Con che brano, vostro o di altri, potremmo chiudere questa nostra chiacchierata?
Chiudiamo con i Fine Before You Came dai, i più cazzuti di tutti. Anche noi abbiamo sempre chiamato i nostri insuccessi ”Sfortuna”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *