Interview – Bandit

Torna Bandit con un singolo disponibile da venerdì 6 dicembre 2024 su tutte le piattaforme digitali per Bradipo Dischi (in distribuzione Believe): un nuovo brano dal titolo “La nostalgia“, che segue il precedente singolo “Camerata“, pubblicato a novembre. I due brani arrivano dopo una lunga assenza dalla pubblicazione di un piccolo cult della scena indipendente: nel 2011 uscì infatti clandestinamente il primo album di Bandit “Quando la luce grande della discoteca“, pubblicato poi ufficialmente in versione restaurata nel 2023, che fu un inconsapevole manifesto generazionale irriverente e dolce-amaro.

La nostalgia e la retromania hanno stufato, insieme col minimalismo e l’indie-pop. In questo nuovo brano sfrontato Bandit dissacra e dileggia la wave modaiola in atto, cercando di rompere il velo patinato di entusiasmi facili e recensioni che magnificano tutto a prescindere, e provando di fare “letteralmente” una critica musicale. Ne uscirà sconfitto? Certo che sì. Contiene omaggi a Umberto Tozzi fuori tempo massimo, percussioni vintage e, ovviamente, finale in fade-out.

Bandit è un progetto che seguiremo con fame, e non vediamo l’ora di ascoltare il suo nuovo disco, il primo con un’uscita ufficiale e un’etichetta. Ecco cosa ci ha raccontato, nel suo personalissimo stile, a riguardo!

  1. Quali sono le tue influenze musicali? C’è qualcosa che non ci aspetteremmo mai?

Ma le mie influenze mega evidenti sono quelle della prima scuola cantautorale: De Andrè, Guccini, Rino Gaetano, Ivan Graziani, Gaber, Vecchioni. Insomma tutti tranne Venditti. Invece un’influenza insospettabile è il prog degli anni 70. Ma anche quelle cose astruse come Paleopoli, i primi Genesis, Tarkus, i Giganti, gli Area. La mia musica è molto legata ai testi, ma paradossalmente ammiro molto la cosa opposta, quando invece la musica è completamente libera e folle e il testo accompagna e basta.

  1. E tra queste tue influenze, c’è qualcosa per cui hai nostalgia?

Ho molta nostalgia per gli anni 70, più che gli ottanta che invece erano un periodo del cazzo. Negli anni 70 c’è stata quella strana congiuntura per cui la roba raffinata, colta e complessa coincideva con il gusto pop del pubblico. E’ stata una cosa irripetibile, e l’esempio pazzesco è quanto avesse successo il prog, nonostante fosse un genere musicalmente complesso, eppure piaceva a tutti. Per quello ho nostalgia, perché in quel momento il massimo divertimento del pubblico e il massimo divertimento per gli artisti hanno coinciso perfettamente. Diciamoci la verità, i musicisti, quelli che sanno suonare bene, si sono divertiti solo negli anni 70, e ancora adesso si divertono solo a suonare prog o comunque roba di quel periodo. Guarda invece un batterista come è triste a suonare il pop. Li guardi mai in faccia? Sono coscienze infelici, chiedere a un musicista di suonare pop è come chiedergli di annoiarsi a morte. Va che facce che hanno i turnisti, che facce che hanno i suonatori di tecno con l’arpeggio che gira in eterno e entra un cut-off alla sessanta millesima ripetizione. Vorrei sopprimerli per fargli un favore,

Possiamo dire che, rispetto ai tempi del tuo primo disco, sei più introspettivo? Cos’è cambiato secondo te nel tuo modo di scrivere e di suonare? 

In verità nulla, è solo che nel mio primo disco “Quando la luce Grande della discoteca”, a parte la brevissima parentesi finale di Mara, descrivevo un mondo spietato, tossico e violento in cui i sentimenti non avevano cittadinanza.L’unica via per rendere veramente il mondo delle discoteche era il cinismo, e l’ironia per corroderlo dall’interno, ma qualsiasi catarsi era bandita.

Invece in Grigia il mondo che racconto è il presente, è fatto di disillusione e sofferenza, di rimpianti, di sogni che non si realizzano mai, di una crisi generazionale di fronte alle aspettative tradite. Per raccontarlo e dare voce a questo disagio esistenziale non mi bastava raccontare o essere ironico, ma avevo bisogno di mettere in gioco anche la mia intimità, le mie ferite e i miei sentimenti, o di immedesimarmi nelle ferite e nei fallimenti degli altri.

  1. La dimensione “band”, con la quale ti abbiamo visto al Biko, esisteva anche prima?

No non esisteva. Era la prima volta che suonavo con una band in vita mia. Ho sempre cercato di eliminare ogni possibile distrazione dai testi, e di solito dal vivo in band delle parole non si capisce un cazzo, e io questo non me lo posso permettere. Ma in realtà a parte questa mia paura mi è sempre piaciuta l’idea di avere della bella musica attorno. Le voci si sentivano al biko? Se si direi che si può continuare su questa strada!

  1. Quale domanda avrei assolutamente dovuto farti e invece non ti ho fatto?

Forse le mie influenze letterarie avresti potuto chiedermi, ma forse meglio di no, perchè parte il pippone. Però se devo consigliare un libro che divoravo mentre ho scritto Grigia, direi Realismo Capitalista di Mark Fischer.

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