Vinicio Capossela @Conservatorio Sala Verdi, Milano, 19/10/2025
C’è qualcosa di alchemico, di irripetibile, nell’atmosfera che si è respirata al Conservatorio di Milano durante il concerto di Vinicio Capossela per il Barezzi Festival, un evento speciale pensato per celebrare i venticinque anni di Canzoni a manovella.
L’album, pubblicato nel 2000, rappresentò allora una svolta radicale: un cambio di rotta nel modo di scrivere, arrangiare e concepire la canzone d’autore. Oggi, riascoltarlo dal vivo, nella sua interezza e con nuovi innesti sonori, è stato come aprire una vecchia scatola musicale e ritrovare, intatti, i meccanismi della meraviglia.

Capossela entra in scena e sembra un narratore antico, un menestrello meccanico che aziona il suo teatro di suoni e visioni. Attorno a lui Vincenzo Vasi al theremin, che innesta suoni che sembrano arrivare da un altro mondo, Mirco Mariani alla batteria, il grande ritorno di Roy Paci alla tromba chiamato a riproporre la magia di quelle session.
Completano il quadro Raffaele Tiseo agli archi, Daniela Savoldi al violoncello, che con fiati e chitarre evocano un intero immaginario novecentesco, tra cabaret, circo e osteria.
“La musica che si fa racconto”: tra rebetiko e marce funebri, valzer e mambo, arie d’opera e scoppi di aerostati, ogni brano è un piccolo universo in bilico tra sogno e rovina.
Sul palco scorrono palloncini, ballerine sui bicchieri, intermezzi balcanici, e quella poesia venata di truce attualità pur arrivando da ben più lontano di quel 2000, è la vera anima di Capossela: si parla di aggeggi sferraglianti, macchinari solo immaginari ma risolutivi e luna, di marinai e burattini che risorgono nel fondo della memoria.
Nel ricreare Canzoni a manovella, Capossela non si limita a celebrare un anniversario: ne fa un rito, un ritorno al laboratorio da cui è uscita una delle opere più inventive della musica italiana contemporanea.

Chi ha vissuto in diretta quella nascita rivive un pezzo della propria storia, chi per anagrafica non lo ha potuto fare scopre mondi nuovi e alla fine resta l’impressione di aver assistito non solo a un concerto, ma a un esperimento di resurrezione poetica: un carillon impazzito che continua a girare, generando meraviglia e vertigine.
Dopo venticinque anni, Canzoni a manovella non suona come un ricordo: suona, ma come un futuro che non smette di tornare.



