Movie Star Junkies-Son Of The Dust
GENERE: punk-blues
PROTAGONISTI: Stefano Isaia (voce,organo) Caio Montoro (batteria), Vincenzo Marando (chitarra,voce) Alberto Dutto (chitarra), Emanuele Baratto (basso).
SEGNI PARTICOLARI: i Movie Star Junkies riescono nel 2012 a fare ciò che sembra ormai impossibile: creare un album totalmente al di fuori dal trend musicale recente che vede tutto slegato, poco armonico e consumabile entro una breve scadenza. Sarà per la credibilità guadagnata al di fuori della scena musicale italiana, sarà che loro sono veramente bravi, ma loro rappresentano ciò che hanno fatto i Black Keys a livello internazionale ovvero tornare al rock vero, quello dove ogni strumento è ben suonato, dosato e perfettamente in armonia con gli altri.
INGREDIENTI: un disco che parte dallo zoccolo duro, dalle ormai dimenticate Murder Ballad di Nick Cave fino al blues e gli organetti dei Doors. I Movie Star Junkies riescono a rinnovare il classico, soprattutto grazie ai cori dosati in ogni canzone, da quelli maschili e duri a quelli che richiamano le atmosfere di Wendy Renà© che sigillano l’epicità con la nostalgia. Questo è un album fuori dal tempo presente, che tra alcuni anni, quando ci saremo stancati della plastica, tornerà come un buon whisky invecchiato.
DENSITA’ DI QUALITA’: un concept album formato dalla combinazione di ognuna delle dieci canzoni che lo compongono. Fin dall’inizio con ‘These Woods Have Ears‘ trasportano nel mondo del far west, dove l’organetto e la chitarra guidano in un ambiente nostalgico e i cori sono la folata di vento che alza una nebbia di polvere rossastra. ‘In An Autumn Made Of Gold‘ inizialmente sembra fuori ottica, ma nel momento in cui la chitarra viene distorta e si ripropongono i cori, seppur diversi dai primi, questi modificano radicalmente il tenore della canzone. Si passa cosଠal ritmo jazz della batteria in ‘The Damage Is Done‘ dove il ritornello è un’armonia unica tra voce, cori e strumenti che riversa, al pronunciare della parola “pain“, tutto l’affanno coltivato. Inizio formidabile, climax senza preamboli in ‘Son Of The Dust, dove tutto si fonde tenendo in sospeso l’esplosione musicale, anticipata dall’uscita della batteria; qui i cori sono i protagonisti che spingono al massimo il volume e materializzano lo scenario decadente e polveroso del deserto. L’epicità è messa da parte in ‘Cold Stone Road‘ per il dolore e la pesantezza, come anticipazione del buio di ‘The Damage Is Done‘. In ‘A Long Goodbye torna il blues con i cori che, ancora una volta, riportano il rimpianto in una cadenza mesta, passando poi al un tono pi๠tarantiniano di ‘This Love Apart. Le ultime due canzoni ‘End Of The Day‘ e ‘How It All Began‘ sono quasi una parte I e parte II con l’ombra che ritorna, una batteria fatta di tamburi e riff insistenti e provocanti.
VELOCITA’: un disco breve con il ritmo dei passi ben cadenzati.
IL TESTO: “let me bring you in the wet woods / let me show you what I found / when everybody has gross getting drunk / that’s a secret in the ground” da ‘ These Woods Have Ears‘
LA DICHIARAZIONE: Stefano Isaia da Cream webzine: “scriviamo canzoni che sono in realtà racconti, ognuno trae le conclusione che vuole”
IL SITO: ‘www.moviestarjunkies.com‘



