Gli Avvoltoi: si torna a parlare di beat
Questa ristampa che in verità custodisce anche due inediti di nuova generazione, non è solo un “amarcord”… è tutto quel che serve per non dimenticarci mai cosa siano certe origini. Tornano Gli Avvoltoi e torna a risuonare quel magico disco dal titolo “Il nostro è solo un mondo beat” che arriva nel nuovo tempo digitale a festeggiare 40 anni di grande carriera. Era il tempo delle rivoluzioni di stile, delle tante derive di sentirsi anche un poco punk. Era il tempo in cui la libertà significava davvero essere indipendenti. Un pezzo di storia che torna, rinnovata nella formazione, sempre beat come piace a noi nostalgici di quella scena musicale. Andate a spulciare anche il loro bandcamp per saperne di più.

Secondo voi in che modo “Il nostro è solo un mondo beat” ha influenzato la scena musicale italiana indipendente del tempo?
Diciamo che in quel periodo ci fu una grande riscoperta di un certo tipo di sound, come un fiume in piena arrivarono le prime ristampe e con loro gruppi che riportarono alla luce sonorità fortemente influenzate dai sixties. Anche in Italia il movimento prese piede e si sviluppò in maniera rilevante con bands che nel giro di poco tempo riuscirono a ritagliarsi uno spazio importante anche all’estero. Fra tutti questi gruppi che cantavano in inglese, gli Avvoltoi sono stati fra i primi a riproporre il cantato in italiano. Già dal primo singolo “Questa notte” si creò immediatamente un forte interesse, tanto che la Contempo Records ci mise sotto contratto e senza perdere troppo tempo vide la luce l’album “Il nostro è solo un mondo beat”. Il disco destò un esteso interesse, sia della critica che del pubblico. Un prodotto fresco e scanzonato, una vera novità per quel periodo, malgrado i chiari riferimenti a due decadi prima. Ecco, era un periodo molto fertile in generale, onestamente non so se il disco abbia influenza o meno ma i risultati furono davvero ottimi.
Esistono tracce dei quella semina ancora oggi?
Il movimento non è mai morto, col tempo sono nati gruppi che si rifanno chiaramente a quello stile, ma d’altronde anche noi avevamo dei riferimenti. Diciamo corsi e ricorsi storici.
La scelta di includere due bonus track nella ristampa sembra voler restituire un tassello mancante alla storia di quel disco… è un segno di “continuità” o di nostalgia?
Diciamo che sono due tracce che non avrebbero comunque fatto parte dell’album originale, sembrava giusto allungare un po’ il minutaggio, di un album comunque corto, per dare al pubblico un qualcosa in più. No, no, niente nostalgia.
Negli anni ’80, il panorama musicale italiano era dominato da generi diversi dal beat. In un certo senso eravate contro-corrente? Come lo sono oggi, che so, i cantautori?
Tornado al discorso iniziale, la mia generazione arrivava tutta dal punk e dalla new wave, la sottocultura, l’underground aveva un ruolo ben definito, era molto distante dal mercato discografico di massa, cosa che col passare del tempo si è assottigliata. Pensa che nel 1990 ci chiamarono a Sanremo ma noi rifiutammo, era davvero un altro mondo.
Come dicevo prima, sempre per il gioco dei corsi e ricorsi eravamo una novità e di conseguenza contro-corrente.
Quanto ha inciso la collaborazione con figure come Franco Serena, Umberto Palazzo o Dome La Muerte nell’evoluzione del suono e dell’identità del gruppo nel tempo?
Col tempo abbiamo subito molti cambi di formazione per vari motivi e devo dire che ogni elemento nuovo ha sempre portato una rinnovata freschezza insieme a piccoli ma continui spostamenti di stile. Il nostro percorso non è stato sempre lineare, abbiamo cercato in più occasioni di spostare il suono senza mai abbandonare il punto di partenza, sperimentando senza mai uscire troppo dal nostro linguaggio. In Italia non è mai facile, se parti con un genere dichiarato, come abbiamo fatto noi, la gente fa fatica ad accettare i cambiamenti. I nomi che hai fatto nella domanda sono stati fondamentali per la nostra crescita, se uno non si chiude c’è solo da imparare.
L’opera degli Avvoltoi è spesso attraversata da contaminazioni folk, psichedeliche e rock. Oggi secondo voi che suono meglio vi rappresenta o vi rappresenterà?
Anche qui riprendo la risposta del punto precedente, innanzitutto quarant’anni di carriera ti portano per forza di cose ad attuare continue piccole modifiche, ma soprattutto non sono tanto il suono o i cambiamenti ad essere in primo piano ma la passione, penso sia l’ingrediente fondamentale che ti spinge a continuare e malgrado tutto a sognare ancora.



