REA: il futuro, un sogno tra macchine e umani

Incontriamo da vicino Maria Mircea, in arte Rea, cantautrice bolognese che in un tempo nuovo non si rifugia dentro i cliché di sicure soluzioni ormai passate alla storia. La “nuova” canzone pop d’autore si fonde con la macchina ormai pensante, lavora in simbiosi senza mai lasciare che marchi il passo e detti legge. REA sa bene come raccontarci il mistero del tempo, del nostro tempo, del probabile futuro… lo fotografa (o immagina di poterlo fare) dentro questo suo primo disco dal titolo “Futuro Dirigibile”. Forme leggere come “Cielo aperto” o soluzioni dal colore industriale come la splendida “Città vuota”, ci descrivono di un disco che porta con se l’urgenza e, al tempo stesso, l’ingenuità delle opere prime. Sono solo punti di forza che poi, puntualmente, perdiamo tutti, strada facendo.

La musica è un punto nevralgico dove far incontrare allegorie e nuovi modi di dire le cose. Partiamo dal corpo, dalla danza, da quel senso di dialogo intimo ma anche di regole. Dentro questo disco è un punto nevralgico o sbaglio?
Sì, è così! Il corpo in questo disco è un mezzo di trasporto, un dirigibile emotivo che viaggia tra intimità e slanci più esterni. Infatti negli arrangiamenti, anche all’interno della stessa canzone, si alternano momenti più riflessivi e momenti in cui lasciarsi andare e ballare… che poi la danza è anche una metafora per la disciplina: imparare i propri passi per poi poterli disordinare con coscienza.

E poi la ciclicità: come nel Visual… così dentro molte soluzioni che ascolto. Sembra che tutto resti in circolo… non so come spiegare. Secondo te ha senso?
Assolutamente sì. Mi piace pensare che le canzoni abbiano un moto orbitale: ci sono parole, immagini, suoni che ritornano, come se ogni brano fosse una nuova traiettoria dentro la stessa orbita emotiva. Anche il Visual rafforza questa idea: tutto è destinato a ripassare da un certo punto anche se con una forma diversa.

Perché un dirigibile? Cioè in realtà lo spieghi bene dentro le note di stampa… io però ci vedo anche quel risvolto industriale nel suono che è il manifesto del futuro della tecnica come lo è stato appunto un dirigibile… che ne pensi?
Hai colto un punto fondamentale: il dirigibile è un oggetto poetico ma anche tecnico. È stato simbolo di un futuro possibile ma presto dimenticato come certe visioni del progresso che avevamo e che oggi ci sembrano “vintage”. È proprio questo il concept del disco: un (mio) futuro musicale che oscilla tra la ricerca della “tecnica” e l’incertezza dell’errore, che potrebbe cancellare tutto, proprio come è successo ai dirigibili.

E anche le foto, la cover del disco: in bilico tra finzione e realtà. Sembrano risultati di A.I….
Sì, è voluto. Viviamo in un momento in cui l’estetica “artificiale” si è fusa con quella ’“umana”. L’immaginario del disco sta in questo binomio. La copertina non è stata generata dall’AI: solo il dirigibile lo è. La foto, anzi, è stata scattata in analogico con una macchina fotografica medio formato, poi stampata su acetato e colorata con dei cartoncini.

A proposito: per te il futuro sarà delle macchine o i corpi degli uomini torneranno a toccarsi, a danzare?
Credo che il futuro sarà un ibrido. Le macchine stanno già scrivendo parti della nostra quotidianità, ma il corpo resta il luogo più potente dell’esperienza. Toccare, danzare, sentire: sono cose che nessun algoritmo potrà mai replicare davvero. Il rischio, forse, è di disimparare il corpo, di dimenticare cosa vuol dire davvero abitarlo. Ma io voglio continuare a scrivere canzoni che partano da lì, da un cuore che batte, da un piede che sbaglia un passo.

Che poi, parliamo tanto di futuro ma io in questo disco ci sento tanti retaggi del passato, della canzone pop anni ’60 anche… non trovi?
Sì, perché il futuro non esiste senza passato. Le canzoni che scrivo sono sempre un compromesso tra l’oggi e tutto quello che mi ha formato. C’è sicuramente un’estetica rétro in certe melodie ma è filtrata attraverso un modo moderno di produrre e arrangiare. La musica degli anni ’60 aveva una semplicità struggente secondo me… un modo diretto di dire cose complesse. Io cerco lo stesso effetto: raccontare il presente con la dolcezza e la malinconia del passato.

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