La Governante: non manca molto alla fine

Il pop di matrice indie non fa sfoggio di chissà quale trovata originale. Tantomeno siamo davanti un tentativo di ricerca e di trasgressione sonora. Gli ingredienti ci sono tutti e, anche qui, sono ottimamente prodotti e accostati. I synth anni ’80 di prima della new wave, quel modo sospeso di tenere la vita in bilico dentro gelide domeniche pomeriggio e visioni industriali di quando i computer erano fantascienza. Ma non è un disco del passato, non è nostalgico e non ci sono manierismi di finte novità. È la semplice urgenza – oserei dire politica in senso alto della parola – dell’indie pop de La Governante che torna con un disco dal titolo evocativo: “È solo la fine del mondo”. “solo”… che ormai è normale anche questo. E manifesti come la piccolissima “Goderti la vita” mi arrivano centrali e potenti in un disco che farei ascoltare ogni mattina prima di immergersi nell’omologazione quotidiana. Il tutto condito da sana psichedelia popolare…

Vorrei iniziare con una provocazione che so di consegnare nelle mani giuste: un disco questo decisamente severo (e mi trova d’accordo) sulla condizione sociale del vivere in Italia oggi (e non solo direi). Tuttavia lo fate attraverso un linguaggio indie-pop decisamente omologato e standardizzato, con suoni e soluzioni che dai The Giornalisti e Calcutta in poi sono state uno dei centri mediatici main stream della “nuova” discografia italiana. Come ci spiegate questo controsenso… se di controsenso possiamo parlare?
Avresti potuto fare una domanda di riscaldamento! A parte gli scherzi ci hai totalmente spiazzato con questa domanda per diversi motivi. Il primo è che nessuno di noi ha fra i suoi ascolti ne i The Giornalisti ne Calcutta e buona parte di quello che ne è venuto fuori successivamente. Il secondo è che sin dall’inizio della creazione dell’album ci eravamo posti l’obbiettivo di distaccarci il più possibile da quello che girava in Italia dando la precedenza alla spontaneità, quindi probabilmente o abbiamo capito poco di quello che stavamo costruendo, oppure semplicemente ognuno percepisce la musica in maniera differente, anche perchè i feedback e le recensioni che stiamo ricevendo vanno nella direzione opposta alla tua considerazione.

Che poi dentro “Dormivi in un party” (geniale il video, complimenti), c’è tanto di Calcutta… che sia una citazione voluta?
Grazie per il “geniale”, ma non sappiamo veramente cosa risponderti. Non conosciamo tutto il repertorio di Calcutta a parte i pezzi più famosi, quindi non capiamo a cosa ti riferisci, sinceramente. In ogni caso lui è molto più bravo di noi a sviluppare delle melodie estremamente orecchiabili, noi solitamente siamo tendenti alla mono-nota e quindi no, non è assolutamente voluta.

“Italiani vuoti”: un bel calcio sui denti che non lascia vie di fughe. Come riuscite a salvarvi da questo “vuoto” che regna attorno? E come difendete la vostra musica da questo “vuoto” e da tanta indifferenza che circonda la musica in generale?
È il primo brano dell’album e introduce l’ascoltatore nel contesto storico sociale che stiamo vivendo, a prescindere dall’estrazione sociale, l’essere adulto o bambino, ci siamo dentro tutti. É difficile salvarsi o escludersi del tutto, in compenso possiamo osservare il lato artistico e fantasticare pensando di essere dentro un quadro di Escher e scriverci pure una canzone. Dal vuoto musicale che ci circonda non si ha scampo, i tormentoni, il raggaeton, ti ritrovi a canticchiarli in ogni caso.

Il vuoto anche dentro le liriche di un brano che ho apprezzato molto: “Le canzoni felici di Morrissey”. Domanda forse filosofica: uscire dalle regole del gioco sociale, essere non allineati, è un difetto nostro o degli altri?
Più che altro sono c***i di chi lo vive, anche perché il desiderio di abbandonarsi al pensiero unico non sfugge mai del tutto e spesso comporta anche quel senso di sofferenza. Ma vuoi mettere quando poi alla fine ci si ritrova tutti ad un bel concerto/festival a celebrare questo disallineamento? Quindi va bene fare il gioco delle parti, d’altronde una realtà vive solo se vive la sua controparte.

Interessanti innesti di sperimentazione compositiva dentro la tracklist che ho trovato fortissimi nella sintesi. In genere la sintesi è un’arma potentissima… cosa ne pensate e come vi rapportate a questo concetto?
La sintesi è un dono!

Per dirla in chiusa, visto anche il gusto retrò di molti dei vostri suoni: si stava meglio quando si stava peggio? Per voi si deve tornare a certe radici?
Non ha senso tornare a certe radici perchè sono loro che ti rendono oggi quello che sei. E poi dai, non esageriamo, c’è un sacco di buona musica nascosta in giro e la vita sa essere anche una figata pazzesca.

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