Interview – An Harbor

A volte ci si ritrova fra le mani dei dischi che lasciano senza fiato. Non accade spesso, ma qualche volta succede. Adoro aspettare i lavori dei gruppi che conosco, magari ascoltando il meno possibile le anticipazioni per godermeli tutti d’un fiato, come si faceva una volta, senza internet, e qui spesso capita di andare sul sicuro, ma è ancora più bello quando a lasciarti senza parole sono dischi di artisti sconosciuti o di cui avevo sentito poco o nulla. Non conoscevo Federico Pagani per il suo trascorso ad ‘X-Factor’, ma avevo letto il suo nome spesso nei componenti de Le Sacerdotesse dell’Isola del Piacere. Scoprire che dietro il nome An Harbor c’era lui mi ha molto incuriosito. Poi è arrivato l’ascolto di May e la curiosità si è trasformata in esaltazione e commozione. Un magnifico album pop-rock in cui le molteplici anime dell’artista si trovano in perfetto equilibrio, “giocando” a cercarsi, rincorrersi, legarsi tra di loro, senza che mai una sia più forte dell’altra. Se siete di quelli che non potete rinunciare alle melodie poi, beh, sappiate che qui avrete pane per le vostre orecchie, con ritornelli da mandare a memoria e carezze per l’anima e il cuore, anche se il pugile in copertina può indicare che oltre alle dolcezze ci potrà anche essere qualche momento più ruvido. Lo ascolto ininterrottamente questo disco e non solo per poter scrivere queste domande ma proprio perchè lo ritengo affascinante e suggestivo. Il 30 settembre sarà in tutti i negozi, per ora dovete accntentarvi di queesta bella chiacchierata fatta con Federico…

Ciao Federico, partiamo da quella copertina: un pugile sulla spiaggia. L’iconografia del pugile evoca l’immagine di qualcuno che non molla, che stringe i denti, che cade ma che sa anche rialzarsi. E’ questo che volevi evocare con quell’immagine?
E’ esattamente così, hai abbastanza centrato nel segno. Volevo che la copertina rappresentasse questo mood di solitudine, rabbia e disillusione, ma allo stesso tempo avesse anche un rimando all’estate, al mare, ai “party sulla spiaggia”, che emerge negli arrangiamenti di alcuni pezzi (o almeno nella mia testa). E volevo che fosse una fotografia. Per questo ho chiesto subito al mio fotografo di fiducia (Andrès Maloberti, che è anche autore del video di Like A Demon), spiegandogli appunto quello che avevo in mente e in un attimo se ne è uscito con questa serie di foto che aveva scattato in Australia. Appena ho visto l’immagine del pugile in controluce me ne sono innamorato, era perfetta. Da qui la scelta di impostare tutto l’artwork del booklet su quei scatti.

Ammetto che non sapevo minimamente che tu fossi passato da X-Factor. Arrivato il tuo disco mi sono un po’ documentato e, tra le tante cose che ho trovato, c’è una “ricorrenza”, ovvero tanti appassionati del programma che ti giudicavano “altezzoso”. Al di là di un episodio che può aver fatto scatenare questa idea, è un tratto del tuo carattere che ti pare di avere?
Beh,mi viene da sorridere perché forse se anche lo fossi affermerei il contrario, no?! Purtroppo invece vi posso assicurare che sono tutto il contrario di così e anzi, non essere abbastanza presuntuoso è forse proprio il mio maggior difetto. E mi viene ancora più da sorridere a pensare che qualcuno possa avermi definito così, solamente basandosi su un montaggio di tre minuti visto in TV e allo stesso tempo mi mette molta paura pensare quanto possa influire una cosa così sciocca come un programma del genere sul giudizio di molti. Ma questo è un altro discorso, molto più complicato.

Sulla tua pagina Facebook definisci il 30 settembre (data di uscita di May) come una rinascita, una nuova partenza. Sembra quasi che tu voglia “cancellare” il passato (o una parte di esso) o almeno non sentirne il peso, pensi riuscirai a farcela?
Da un certo punto di vista per me l’uscita di questo disco è una grossa liberazione, dato il lavoro gigantesco che è stato fatto per produrlo e la quantità di tempo (e denaro) che mi ha preso. Però più che cancellare il passato o levarmi un peso di dosso è un tentativo di fare capire alle persone (e forse anche a me stesso) che il progetto An Harbor inizia ufficialmente con questo disco, che è un po’ una sintesi di tutto quello che mi piace dal punto di vista sonoro, della ricerca degli arrangiamenti, che non si limita alla solita immagine del ragazzo da solo con la chitarra. Ovviamente parte da lì,ma voglio che sia chiaro che mi piace sentirmi libero di sperimentare e seguire strade diverse, forse anche le più impervie. Penso sia la cosa più stimolante di quello che faccio.

Ho letto che i tuoi “maestri” sono eroi veri e propri come Bruce Springsteen e Greg Dulli. Davvero due artisti superlativi. Eppure ho apprezzato tantissimo la stima e l’emozione che hai espresso anche per Frank Turner, anche lui si merita l’appellativo di maestro, no?
Frank è un vero maestro di vita e di rock’n’roll che avrebbe da insegnare a (quasi)chiunque in Italia. Non importa che suoni davanti a 100 o 10.000 persone, farà comunque il concerto della vita, col sorriso e mettendocela tutta come se fosse l’ultima volta che sale sul palco. E’ impressionante la purezza dell’attitudine che mantiene ancora dal vivo e nonostante sia uno che riempie posti enormi in tutta Europa e Stati Uniti è ancora davvero umile e semplice, senza tante menate per la testa. Ho aperto le sue date italiane ed entrambe le volte appena sceso dal palco è venuto a chiedermi se era tutto a posto, se mi ero trovato bene, scusandosi perché non poteva fermarsi a chiacchierare di più. Conoscete qualche artista italiano che farebbe così con un proprio opener? Io quasi nessuno.

Melodicamente il tuo disco è un vero gioiello, adoro la tua capacità di trovare soluzioni melodiche così intriganti. Eppure mi preme sottolineare come tu riesca a far convivere tante anime: quella più folk da chitarra/voce a quella più pop/rock con l’importanza dell’elettronica ma anche uno spirito e una sensibilità quasi vicini alla “black music”, che più di una volta emergono. Hai trovato l’equilibrio perfetto per tutte queste tue “anime” o ancora ne devi tenere a bada qualcuna?
Ti ringrazio moltissimo per la descrizione. Comunque come dicevo appena sopra in realtà ho capito che non mi piace trovare un equilibrio o lasciarmi ingabbiare da una formula definita o più comoda. Almeno per il momento. La cosa che mi interessa di più è il songwriting in senso stretto, la scrittura di una canzone nella sua essenza più nuda e cruda. Poi come vestire queste canzoni è una cosa che mi piace lasciare libera, a volte nasce direttamente col pezzo, a volte cambia a seconda del momento, della situazione, del mio stato d’animo.

Lasciami dire che Like A Demon lascia senza fiato. Mi dici com’è nato questo brano e la collaborazione con Giulia/Tight Eye?
Like a Demon è stato uno degli ultimi brani su cui abbiamo iniziato a lavorare. Esisteva da tanto tempo ma in una versione diversa. Sentivo però che era un pezzo importante che avrei voluto inserire nel disco e allo stesso tempo sentivo la mancanza di un altro “singolone” forte. Quindi mi sono messo a lavorarci, ho rivisto la stesura e ho abbozzato una prima versione di arrangiamento. Poi mentre eravamo in studio con Cristiano (producer, chitarra e basso sul disco) e Pietro (piano e synth) a limare la veste definitiva del pezzo siamo arrivati a questa versione dello special, molto soffusa e sospesa, che però non riuscivo più a cantare in modo convincente. sembrava proprio adatta a una voce femminile. Con Giulia quindi è stato molto semplice: non la conoscevo e casualmente mi sono imbattuto in un suo pezzo (Orbiter) condiviso su Facebook da un amico che avevamo in comune. L’ho ascoltato e ho subito pensato “santocielo ma da dove salta fuori questa ragazza?”. Le ho scritto immediatamente e ha accettato subito con entusiasmo, nonostante fosse un pezzo molto lontano dalle sue corde. E non smetterò mai di ringraziarla per avere messo davvero una marcia in più alla canzone.

ShineWithout a Light è davvero un brano piuttosto articolato, parte con questo suggestivo piano/voce per poi cambiare più volte strade e sorprenderci con questo finale evocativo che diventa ritmato. E’ sempre stato così nella tua testa questo brano o si è costruito strada facendo?
No, diciamo che questo è il brano il cui arrangiamento più di tutti ha preso forma direttamente in studio, quantomeno per la seconda parte, l’”outro”, se così possiamo chiamarlo. E’nato tutto mentre Pietro stava registrando dei synth e ha continuato a suonare anche dopo la fine del pezzo, creando questo coda ambient di synthpad che subito mi ha fatto impazzire e a cui inizialmente avrei voluto aggiungere dei soli di chitarra a la Pyramids di Frank Ocean. Poi l’abbiamo accantonato per un bel po’ e quando l’abbiamo ripreso in mano non sembrava più un’idea così geniale ahahah! Quindi ho pensato di cambiare strada, portare i bpm a 120, inserire una cassa dritta e un loop e farlo diventare un pezzo house, né più né meno. Le parti di basso e chitarra poi sono tutte opera di Cristiano. Il risultato è quello che sentite.

Ai due estremi dell’album, inizio e fine album, ci sono episodi in cui la chitarra ha forse la massima esposizione: dal riff magnifico di ‘Minerva Youth Party’ alla malinconia più acustica di ‘Not Made of Gold’. Non credo sia una casualità, è come se il disco fosse un vero e proprio percorso, con una partenza “pimpante” e un punto di arrivo (magari “un porto” per citare il tuo nome) in cui finalmente riposarsi e guardare anche con orgoglio e forse nostalgia a quanto si è fatto. Che ne pensi?
Anche in questo caso hai detto giusto e sono felice che questa cosa non sia solo nella mia testa, ma venga colta anche da qualcun’altro ahah! Sì, c’è assolutamente un percorso che attraversa il disco. Non voglio dire che sia un concept perché non lo è e non ha mai avuto la pretesa di esserlo, però certamente la scelta della tracklistè stata tutta incentrata a creare appunto un“viaggio”, sia sonoro che lirico, che avesse un suo inizio e una fine. Ognuno poi è libero di leggerci quello che preferisce e soprattutto che sente più suo. Ma è innegabile che una storia ci sia. A questo proposito Not Made Of Gold è stata scritta quasi appositamente per chiudere il disco e lo stesso titolo May l’ho scelto per il suo significato multiplo ma allo stesso tempo univoco nel racchiudere tutto il disco in una sola parola.

Certo che tu non riesci proprio a stare con le mani in mano: non solo il tuo progetto An Harbor, ma anche Le Sacerdotesse dell’Isola del Piacere e Ants. Con Le Sacerdotesse addirittura l’album imminente. L’agenda piena spaventa o al contrario è un piacere avere così tanti impegni?
Fa parte proprio di quello che dicevo prima, del mio non riuscire a stare mai fermo su un singolo percorso. Mi piacciono troppe cose, provare nuove strade è la cosa più stimolante che ci sia e non riesco a precludermela. Per forza l’agenda diventa inevitabilmente fitta e un po’ può spaventare, lo ammetto, ma in realtà non potrei chiedere di più o di meglio. E’ quello che mi piace fare e in cui mi sento nel posto giusto e che quindi vorrei poter fare ogni giorno della mia vita finché ne ho le forze. Detto questo, ne approfitto per ricordavi appunto di dare un ascolto al disco degli Ants e a quello delle Sacerdotesse, in uscita a breve.

Grazie ancora Federico. Classiche domande di chiusura: cosa attende An Harbor per l’ autunno e…ultime parole famose…
Grazie mille a voi! L’autunno sarà tour serratissimo in tutta Italia (per questo ringrazio i ragazzi di This Is Core). Sono abbastanza eccitato e agitato allo stesso tempo, spero che il pubblico capirà e apprezzerà il disco e avrà voglia di venire ai concerti e cantare i pezzi con me. Insomma incrocio le dita e staremo a vedere. A questo proposito le ultime parole famose comunque sono sempre queste: https://www.youtube.com/watch?v=GACGSsO8xqY (Sam Cooke – Twisting the Night Away)

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