Interview – Mariano Casulli

Con Bellissimi e infelici, Mariano Casulli costruisce un ritratto intenso e contemporaneo della gioventù: un ossimoro emotivo che unisce bellezza estetica e fragilità interiore. L’album nasce da un processo creativo di tre anni, in cui le immagini e le sensazioni si sono sviluppate spontaneamente, senza forzature, ma con un’attenzione precisa all’estetica e alla coerenza narrativa. Attraverso arrangiamenti calibrati, alternanza di momenti intimi e brani più stratificati, e una scrittura che fonde parola e melodia, Casulli propone un percorso musicale che oscilla tra introspezione e impatto emotivo, trasportando l’ascoltatore in un viaggio fatto di capitoli diversi, ma legati tra loro da un filo comune: la ricerca di verità e autenticità.

Nel costruire Bellissimi e infelici, quale direzione emotiva o narrativa ti guidava? Hai cercato un’estetica precisa o il disco è nato più come un flusso spontaneo di immagini e sensazioni?
Avevo voglia di raccontare questo grande ossimoro che interessa i giovani di oggi: da un lato esteticamente bellissimi, dall’altro infelici. Mi sono fatto quindi trasportare da tutte le emozioni che mi arrivavano, dando un senso narrativo al tutto. Il disco è nato in una fascia temporale di circa tre anni, quindi ho aspettato che i brani venissero fuori in maniera naturale, senza forzare la mano. Certamente però, ho cercato di mantenere un’estetica fedele al mood che volevo dare al disco, quindi un senso di ricerca e introspezione.

La produzione del disco alterna momenti molto intimi ad altri più stratificati. Come hai lavorato sul suono per far convivere vulnerabilità e impatto, senza perdere coerenza stilistica?
In questo mi ha aiutato molto il mio produttore, Molla. Con lui abbiamo lavorato ai suoni del disco, cercando di creare la giusta amalgama tra testi e musica, facendo movimento nel disco affinché l’ascoltatore venga trasportato in un viaggio dove ogni capitolo ha qualcosa di diverso da raccontare.

Il rapporto tra parola e melodia nei tuoi brani sembra sempre molto calibrato: parti più spesso da un’immagine, da una frase, o da un’idea musicale? Come si sviluppa il processo di scrittura nei suoi primi minuti?
Il mio processo di scrittura è abbastanza variegato, non seguo regole precise. Mi capita di partire da una frase particolare che mi ha colpito, da un’immagine o da un sentimento. Di solito scrivo sempre con la chitarra, quindi musica e parole emergono insieme in maniera naturale. Solo per un brano del disco, La fine, è nato prima il testo e successivamente la parte musicale.

Quali sono le tue influenze musicali, qualcosa che non riusciremmo mai ad immaginare ascoltandoti?
D’impatto ti direi i Coldplay. Quelli contemporanei sono molto mainstream, da stadio, ma i primi dischi sono profondi e ispirati, e quell’influenza ho cercato di portarla anche nei miei brani.

Quale domanda avremmo assolutamente dovuto farti e non ti ho fatto? Qual è, secondo te, la risposta?
L’origine del titolo del disco. La risposta è che sono rimasto molto colpito dal film di Sorrentino, Parthenope, e queste parole vengono fuori proprio da un momento di quel film.

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