Interview: Kelevra
I fiorentini Kelevra sono quel classico gruppo che ti chiedi come mai non siano in alta rotazione su tutte le radio d’Italia: il loro synth-pop è accattivante, ben congegnato e in grado di non scivolare mai nelle canzonette usa e getta. Certo, ora questo sound pare (e sottolineiamo pare!) fin troppo abusato, ma dischi come Cronache Per Poveri Amanti (secondo album per la band toscana) fanno perfettamente intendere chi ha le idee chiare sul genere e non lo fa solo per convenienza del momento. Distinzione doverosa per trovare veramente i lavori di qualità, come il disco di cui stiamo parlando. La dicitura che li contraddistingue è “pop amaro” e vi assicuriamo che è tutt’altro che sbagliata, con la doverosa indicazione che pop non esclude affatto il concetto di approccio indie-rock, suonato e vissuto. I Kelevra l’11 luglio saranno sul palco di Piazza Duomo, al Pistoia Blues, in apertura dei quotatissimi Bastille. Anche alla luce di questo importante appuntamento abbiamo deciso di scambiare due chiacchiere con loro…
Ciao ragazzi, come va, da dove ci scrivete?
Ciao, tutto bene… ci stiamo preparando ad un Luglio molto attivo. Scriviamo da dove viviamo e da dove abbiamo iniziato a muovere i primi passi: Firenze.
Tre anni tra il vostro esordio e questo ottimo secondo lavoro: un tempo dedcicato alla scrittura e ai concerti o un momento anche per rifiatare?
Un po tutti e tre: la fase di scrittura è una fase costante e, almeno per noi non c’è bisogno di “prendersi una pausa”per farlo; questi tre anni ci sono serviti per ricercare, ossessivamente il nostro sound, per far quadrare il cerchio, l’ attività concertistica, anche se ridotta, ci è servita per testare i nuovi pezzi, vedere come giravano.
Oggi giorno sembra che tutti abbiano scoperto il “l’elettro-pop” di matrice anni ’80 grazie ai Cani. Mi piacerebbe un vostro giudizio: possibile che debba sempre arrivare “l’idolo” del momento per accendere gli occhi su un genere o un sound che già ben prima era più che vivo? Di riflesso altre band ne possono “gioire” o non funziona cosi?
L’ “idolo” del momento è qualcuno che azzecca la formula giusta (tempo, modo e culo) e ben venga se questo porta attenzione ad una scena. Uno deve poi, cercare di migliorare la propria produzione e non ricalcare le orme di chi ha iniziato un ciclo… si rischia di diventare delle “macchiette”.
Vasco Pratolini: Un punto di partenza decisamente importante e “ingombrante”, perchè si parla veramente di un autore molto importante. Eppure davvero il suo neorealismo è più che mai contemporaneo…
In realtà Pratolini non è stato un punto di partenza ma piuttosto di arrivo. Alla fine del disco ci siamo resi conto che il disco richiamava molto a quelle atmosfere, attuali più che mai come dici te, ed essendo io (Matteo, voce) un verace lettore dell’ autore fiorentino, il gioco è stato semplice e naturale.
“Pop amaro” sono due parole che paiono in antitesi, perchè il pop nell’immaginario è collegato a qualcosa di spensierato, zuccheroso e solare. Eppure la vostra definizione, per il vostro disco, è tutt’altro che sbagliata. Pensate che l’amarezza potrà essere stemperata da qualcosa di dolce prima o poi?
Questa dicotomia, ci ha subito affascinato… anche se non è stato qualcosa di deciso a tavolino, ma ci è stato attribuito dalla Canaglia (altro artista della scena musicale fiorentina). Quella malinconica e la voglia di fare musica popolare sono due indoli fortemente radicate nella nostra attitudine alla musica e , ad ora, sono l’ unico, o almeno il più congeniale, modo di esprimersi che abbiamo.
Il vostro approccio synth pop è legato dalla costante ricerca della melodia, che colpisce sia nei brani più ritmati sia in quelli più d’atmosfera. Nella vostra scrittura ci sono degli approcci classici o dei punti fermi?
Lo scrivere in italiano e la ricerca della melodia sono i punti fermi della nostra produzione. Punti che abbiamo deciso all’ inizio e abbiamo portato cocciutamente avanti, nonostante le difficoltà che un genere come questo 5 anni fa, poteva incontrare in una scena musicale come quella fiorentina. Le melodie nascono sempre da me e mio fratello (chit), poi io ci aggiungo i testi; il gruppo è attivo da 5 anni ma io e Ce sono più di 10 anni che scriviamo (praticamente da quando lui ha imparato a suonare la chitarra), con gli anni abbiamo affinato non tanto metodi tecnici ma di confronto. La sopravvivenza di un equilibro fra due autori è fondamentale, sennò si finisce, almeno noi, per scannarci ad ogni pezzo.
Baustelle, La Crus, Bluvertigo: ho letto un sacco di accostamenti, ma ci credete se io più di una volta, in voi, ci sento le primissime cose del buon Enrico Ruggeri?
Non sei il primo…e la cosa più strana che l’ 80% degli accostamenti sono qualcosa che noi non abbiamo mai ascoltato, e questo credo sia la parte fantastica della musica: l’ interpretazione delle sfumature. Noi non ci siamo mai approcciati dicendo “vogliamo fare roba così o come lui”, e questo all’ inizio è stato anche un limite, un grosso minestrone….poi però, una volta definito il tutto il ventaglio di sfumature ne guadagna di ampiezza e sostanza.
Tra poco (11 luglio, per l’esattezza) sarete sul palco del Pistoia Blues con i Bastille: un bel colpo. Di solito aprire per band così importanti fa si che ci sia un occhio particolare nella scelta dei brani live?
Inevitabilmente… hai poco tempo e molta gente davanti, devi catturare l’ attenzione. I pezzi devo essere quelli più coinvolgenti possibili, pochi fronzoli e vedere che succede.
Poco fa ci sono stati i Duran Duran a Firenze, siete andati a vederli?
No, non credo che nessuno di noi fosse a Firenze quel giorno…peccato perchè deve essere stato un bel momento, significativo: la band simbolo degli anni ’80 suona nella città simbolo degli anni ’80 (in Italia)… un bell’ amarcord di spallette, lacca e musica di qualità.
Non Hai Gravità è un pezzo che adoro: meravigliosamente new-wave, con un piglio così incisivo. Com’è nata la collaborazione con Davide Toffolo per il brano?
Era una collaborazione che volevamo intensamente fare…ci siamo fatti 300km per raggiungerlo ad un incontro sui fumetti, ci siamo presi una birra e gli abbiamo lasciato il disco. Il resto è venuto fuori in maniera molto naturale, Davide è stato molto disponibile, considerando che non aveva mai fatto una cosa del genere…abbiamo capito insieme qual’ era il pezzo più congeniale e poi abbiamo registrato tutto nello studio del nostro produttore, l’ El sop Recording di Leo Magnolfi.
Acrobata ha forse il potenziale pop più elevato dell’intero disco, com’è nato questo brano? La stessa cosa te la chiedo però anche per quella chiusura così struggente e da brivido di Si Vide La Luna Morire, pare proprio che sia la descrizone forte di un momento realmente successo…
Acrobata è un pezzo molto semplice e di getto; nato al pianoforte era stato pensato per due voci, un botta e risposta e anche il testo era diverso. Poi vidi un documentario sui circensi, che trovai incredibile, soprattutto per lo stile di vita e per la visione della vita che hanno ed ecco il pezzo. L’ arrangiamento del pezzo in realtà, ci è sempre stato un po scomodo, live la versione è totalmente diversa. Luna è la cronaca di quella sensazione che ti assale quando, volente o nolente, di senti legato a qualcosa che è successo vicino a te, non troppo da colpirti nel profondo ma abbastanza per sentirti parte di quella cosa, sentirti spettatore impotente.
Progetti per l’estate?
I progetti sono molto semplici: suonare, suonare, suonare.



