Fragile – Alessia Scilipoti
Il primo disco di Alessia Scilipoti si presenta come un lavoro ambizioso e attentamente costruito, in cui la flautista mostra non solo una tecnica impeccabile, ma anche un carattere musicale forte e definito. Alessia Scilipoti è una flautista classica con un animo punk, e questo contrasto si percepisce in ogni brano: precisione accademica e controllo esecutivo convivono con audacia timbrica e scelte interpretative che sfidano la convenzione, creando un ascolto intenso e originale.
La produzione del disco esalta pienamente il flauto a traverso, con registrazioni limpide che fanno risaltare tanto l’ampiezza sonora quanto i dettagli più sottili. Ogni respiro, ogni sfumatura diventa parte integrante del racconto, permettendo all’ascoltatore di percepire la personalità dell’artista e la sua volontà di uscire dagli schemi tradizionali. Le composizioni scelte mostrano una scrittura contemporanea e sofisticata, ma al tempo stesso accessibile: è un disco classico anche per chi non ascolta musica classica, capace di affascinare con sonorità nitide e arrangiamenti intelligenti senza richiedere conoscenze pregresse del repertorio accademico.

L’album si apre con Voice di Tōru Takemitsu, un caposaldo del repertorio flautistico contemporaneo: in questa traccia la poesia è recitata, urlata e sussurrata in un continuo dialogo con la tradizione del teatro Nō giapponese. Prosegue con Dolce tormento di Kaija Saariaho — un’ossimorica esplorazione del tormento delicato — e con Dying Words II di Richard Barrett, dove il linguaggio musicale si dissolve in frammenti e tensioni sospese. In ’72 Tape Machine, scritta appositamente per questo album da Vincenzo Parisi, la collaborazione con un musicista che parte dal rock si fa evidente: il flauto esplora timbriche percussive, memoria e ritualità, conferendo al progetto un orizzonte moderno e contaminato.
La musica classica è spesso lontana dalla scena underground, ma non è il caso di Alessia Scilipoti, e lo dimostra anche la sua collaborazione con Parisi che arricchisce ulteriormente l’orizzonte sonoro del disco, creando momenti di dialogo tra strumenti che enfatizzano la chiarezza e la bellezza del flauto senza mai appesantire l’ascolto, avvicinando il repertorio classico a sensibilità più contemporanee e vicine a pubblici diversi.
La musica di Alessia è quindi un ponte tra mondi apparentemente distanti: la scena classica e quella underground, la precisione dello studio accademico e l’energia ribelle dell’improvvisazione controllata. Le influenze extra‑classiche emergono in tocchi timbrici, fraseggi insoliti e piccole dissonanze che non disturbano, ma intrigano, conferendo all’album un respiro internazionale e un fascino immediatamente riconoscibile.
Nel complesso, il disco si distingue per coerenza, attenzione ai dettagli e capacità di sorprendere, risultando un lavoro che parla sia agli specialisti della musica contemporanea sia a un pubblico più ampio e curioso. Alessia Scilipoti si conferma come un’artista capace di coniugare tecnica, sensibilità e coraggio creativo, trasformando un esordio in un manifesto del suo approccio unico: classico, ma con uno spirito punk che rende ogni nota viva, personale e imprevedibile.



