Interview – Alessia Scilipoti
Con il suo album di debutto Fragile, pubblicato dall’etichetta Da Vinci Classics, la flautista Alessia Scilipoti ci guida in un viaggio attraverso il tempo, lo spazio e la musica contemporanea. Il disco raccoglie composizioni di autori di diverse generazioni e nazionalità, dal giapponese Tōru Takemitsu al finlandese Kaija Saariaho, passando per italiani come Garuti, Romitelli e Giacometti. L’album esplora il flauto non solo come strumento, ma come mezzo espressivo in grado di avvicinarsi alla poesia e alla voce, con tecniche innovative e interpretazioni originali. In questa intervista, Alessia ci racconta il percorso creativo dietro Fragile, le sue fonti di ispirazione e la visione che accompagna il suo debutto discografico.

Nel tuo album Fragile, pubblicato dall’etichetta Da Vinci Classics, come hai deciso l’equilibrio tra brani più strutturati e quelli aperti alla sperimentazione?
Tra le pagine di Fragile convivono compositori molto recenti, ancora in piena attività, come Malin Bång e Vincenzo Parisi, e figure di un contemporaneo ormai storico come Tōru Takemitsu. Inoltre, l’album esplora linguaggi provenienti da diverse aree geografiche: l’inglese Richard Barrett, la finlandese Kaija Saariaho, il giapponese incisivo di Takemitsu e un filone di italiani connessi tra loro da un sottile filo di storia. Garuti, Romitelli e Giacometti furono infatti compagni di studi nella stessa classe di composizione al Conservatorio di Milano, e Parisi — in tempi più recenti — è stato allievo di Garuti. In Fragile si viaggia dunque non solo nella notte evocata dal titolo, ma anche nel tempo e nello spazio: dal lontano Takemitsu, tra i primi a unire voce e flauto, fino a Alpha Waves, specchio del linguaggio di oggi e dell’evoluzione continua delle capacità espressive dello strumento.
Quali dei compositori presenti nell’album ti hanno ispirata maggiormente nell’interpretazione dei brani, e in che modo?
Voice di Takemitsu è stata la fonte ispiratrice più predominante. È un brano che fa parte dei miei programmi concertistici da qualche anno, spesso accostato a Syrinx e Density 21.5, capisaldi del repertorio flautistico per il modo in cui concepiscono l’uso del flauto traverso. Quando si è presentata l’occasione di registrare un disco, ho cercato le estensioni di Voice nel tempo e nello spazio, trovando molto repertorio affine, anche oltre quello incluso in Fragile. Tra le scoperte più illuminanti ci sono Dying Words (II) di Barrett, che porta all’estremo l’uso della voce fino a trasformare l’interprete in un vero vocalist che canta un verso giapponese tratto dal Heike Monogatari (XIII secolo), e Dia Nykta di Romitelli, scritto in gioventù: un brano luminoso, immaginifico, che rivela una maturità sorprendente e una scrittura cristallina, purtroppo rimasta unica nella sua produzione per flauto solo.
Alcune tracce sembrano esplorare territori sonori nuovi per te: quanto tempo ci è voluto per svilupparle e come sei arrivata alla versione finale, considerando anche il contributo dei compositori coinvolti?
Credo che qualsiasi tipo di composizione — antica o moderna — richieda molto tempo per maturare, e in realtà non esista mai una “versione finale” della musica. Fragile è stata la mia prima esperienza di incisione, circa un anno fa, e mi rendo conto che ciò che è fissato sul disco è già diverso da come interpreto oggi gli stessi brani. È un processo naturale di evoluzione: per questo vale sempre la pena ascoltare un musicista dal vivo, seguirne la crescita e le metamorfosi nel tempo. Il confronto con i compositori viventi e con le registrazioni esistenti è stato fondamentale: mi ha aiutato a capire meglio la direzione interpretativa e le possibilità espressive di ciascun brano.
Guardando all’album Fragile nel suo insieme, quale messaggio o esperienza sonora speri che arrivi all’ascoltatore, e in che modo l’etichetta Da Vinci Classics ha contribuito a rendere possibile questa visione?
Fragile esplora l’unione tra due arti — la musica e la poesia — da sempre legate nella storia, basti pensare alle Quattro Stagioni di Vivaldi. L’album indaga come oggi la poesia possa diventare parte integrante del flauto stesso, dando vita a una nuova figura di musicista “recitante”, resa possibile dalle tecniche estese. Trovo questa evoluzione affascinante: credo possa facilitare l’ascolto della musica contemporanea e avvicinare nuovi ascoltatori a questo linguaggio, rendendo l’esperienza più umana e diretta.
Come hai incontrato e scelto di lavorare con l’etichetta Da Vinci Classics per la pubblicazione di Fragile?
Il progetto di Fragile è nato lentamente, in seguito alla vittoria del Concorso “Città di Desenzano” nel 2024, il cui primo premio consisteva in cinque ore di registrazione presso Da Vinci Classics. Da lì mi sono chiesta: “Cosa avrebbe senso registrare oggi, come giovane flautista del 2024?” La risposta è stata chiara: qualcosa di nuovo, per cui valga davvero la pena fermarsi ad ascoltare. L’etichetta ha accolto con entusiasmo la proposta e mi ha supportata con grande professionalità nelle scelte artistiche e produttive, accompagnandomi in questo debutto discografico.
Nell’ambito della musica classica contemporanea, quanto ritieni sia necessario avere un’etichetta, e in che modo ha influito sul processo creativo e sulla diffusione del tuo album?
Nel mondo della musica contemporanea, avere un’etichetta può essere molto importante: conferisce credibilità, tutela l’artista e garantisce una diffusione più ampia. Tuttavia, ci sono vari fattori da considerare — tra cui la disponibilità economica e la sintonia artistica con l’etichetta. Credo che all’inizio sia possibile anche autoprodursi, magari con etichette digitali, per costruire gradualmente un proprio pubblico e poi arrivare, con numeri e visibilità, a collaborazioni più strutturate.
Quali sono le tue influenze musicali che non potremmo mai immaginare ascoltando il tuo disco? Insomma, c’è qualcosa che davvero non ci aspetteremmo?
È difficile individuare con precisione cosa abbia influenzato l’interpretazione delle pagine di Fragile. Tutto ciò che ascolto, leggo e studio entra inevitabilmente a far parte del mio modo di suonare. Un ascoltatore, per esempio, mi ha detto di aver percepito influenze barocche in Dolce tormento: mi ha fatto sorridere, ma credo che sia vero che tutto lascia un’impronta, anche inconsapevole.
E, ultima domanda, quale domanda avrei assolutamente dovuto farti e invece non ti ho fatto? Quale invece la risposta?
Forse la domanda che avresti potuto farmi è: “E ora, cosa succederà dopo Fragile?” La risposta è che Fragile non finisce qui. L’esplorazione tra flauto e poesia continuerà, andando a coinvolgere anche capisaldi del passato come Syrinx, la Sonata in la minore di C.P.E. Bach — concepita secondo i principi della retorica musicale — e un curioso arrangiamento per flauto solo della Primavera di Vivaldi realizzato da Jean-Jacques Rousseau. Insomma: stay tuned, perché Fragile continuerà a evolversi, come la musica stessa.



