Interview: Flowers For Boys

Lo scorso 24 ottobre è uscito Se Questo È Crescere, l’album di debutto dei baresi Flowers For Boys. Avendone apprezzato l’energia, l’attenzione ai dettagli e l’elaborazione personale delle influenze, ho colto al volo l’occasione per una chiacchierata con la band al completo via Zoom. Marco, Federico, Nicola e Riccardo si sono prestati volentieri alle mie domande e hanno messo in mostra una forte consapevolezza in relazione alla loro visione artistica e alle loro scelte stilistiche.

La prima domanda che vi volevo fare è che ho visto che avete cominciato a pubblicare musica l’anno scorso e che adesso è uscito il disco, ma la band a quant’è che esiste e quanti anni avete cominciato a lavorare tra di voi prima di iniziare a pubblicare musica?

Marco: Allora, la band come progetto è nata nel 2020, in pieno periodo COVID. Diciamo che ha avuto una storia travagliata, come suppongo in tanti abbiano avuto esperienza. E per travagliata intendo anche con cambi effettivi di informazione all’interno del gruppo. Questa attuale è quella che poi ha dato vita ai brani che dall’anno scorso stanno venendo fuori. C’è stato anche del lavoro precedentemente, però come capita alle volte si guarda a quello che si è fatto e non ci si sente soddisfatti allo stesso modo. Quindi abbiamo deciso di ripartire, anche perché era più corretto come identità rispetto ai nuovi membri del gruppo e soprattutto anche noi, io e Federico, che eravamo già presenti all’interno del gruppo, non ci sentivamo più in quell’identità.

Federico: Diciamo che è stato un percorso di prove lungo prima di arrivare a quello che effettivamente volevamo fare.

Per quanto riguarda come nascono le canzoni, ho letto che Marco scrive le canzoni e gli altri le compongono. Quindi immagino che voglia dire che Marco scrive la base della canzone, melodia e testo, e in seguito gli altri lavorano sull’arrangiamento, è giusto?

Marco: In parte, non è sempre così. Ci sono state delle situazioni in cui l’arrangiamento è in un certo senso arrivato prima e ha poi generato delle idee testuali e melodiche su di esso. In altre occasioni invece magari era proprio così, cioè si partiva da un testo, da una melodia o anche in altre occasioni ancora da una jam, una vera e propria jam per poter mettere in mezzo le idee di tutti e cercare di capire che cosa di buono andava poi tenuto, filtrando tutto quello che insomma veniva fatto.

Federico: Alla fine diciamo che il processo creativo in generale non è molto statico e strutturato proprio perché lasciamo che tutto fluisca, poi chiaramente quando c’è poi da mettere tutto nella canzone, nella forma canzone diciamo così, tiriamo un po’ le fila.

Una delle cose che mi sono piaciute di più ascoltando il disco è la sensazione che musica e testo abbiano la stessa importanza.

Federico: Sì, alla fine la canzone è un mix di tutti i fattori che ci sono in campo e uno dei motivi per cui ci divertiamo a fare il genere che stiamo suonando è proprio perché ci permette di esprimerci tutti allo stesso livello, sostanzialmente, in maniera, chiamiamola democratica, diciamo così. La voce ha la sua importanza perché ovviamente è quella che comunica, è lo strumento che stiamo usando noi per parlare sostanzialmente, però il linguaggio è generale, comprende tutto e questo è un passo per il quale ci è voluto molto per riuscire a trovare la quadra, però alla fine l’abbiamo raggiunto, è la cosa che volevamo, sostanzialmente.

Marco: Tra l’altro l’idea di essere partiti in alcune occasioni proprio dall’arrangiamento non ha ingabbiato o limitato gli strumenti nel dover necessariamente supportare la voce e quindi il processo contrario è proprio che si viene a costituire uno strumentale solido con un’identità ben presente e poi la voce diventa uno strumento che cerca di capire anche quali possono essere i punti giusti in cui emergere, in cui poter dire delle cose anche insieme agli altri strumenti.

Invece sempre per quanto riguarda il suono, non mi sembra di aver letto riferimenti particolari a produttori, a persone che hanno lavorato con voi dal punto di vista del suono, molti dicono che hanno bisogno di un produttore esterno che metta le cose in prospettiva, voi invece se non ho capito male fate tutto da voi anche dal punto di vista della produzione artistica in sé stessa. Non avete un produttore esterno a cui vi siete affidati?

Federico: No, invece c’è, un produttore c’è, si chiama Diego Ceo, è un ragazzo polistrumentista molto ingegnere del suono, molto bravo, preparato, ci siamo trovati fin da subito bene con il primo brano che è stato Fragile, che è stato prodotto con lui e abbiamo trovato l’essenza di quello che volevamo esprimere. C’era, però dovevamo dare un’espressione un po’ più delineata della forma canzone che abbiamo poi sviluppato sul disco.

Marco: ci ha dato un coordinamento tecnico che serviva.

Federico: alla fine l’orecchio esterno, rispetto a quello che magari è una creatura che può venire da noi quattro, serve sempre. È stato utilissimo Diego per anche, alle volte, farci esprimere ancora meglio rispetto a quanto poi all’inizio le canzoni venissero, ma anche Luca B che ha curato il mix, Eleven Master che ha fatto il mastering, insomma sono stati tutti passaggi per poi arrivare a un album che mettesse in luce i passaggi fondamentali. Anche per questo serve molto l’orecchio esterno, cioè da dentro c’è una percezione diversa. Con quattro persone a volte è difficile diciamo anche mettersi d’accordo, con la persona esterna sicuramente c’è un fattore più neutro che consiglia.

Riccardo: le pause, i momenti per dare la svolta alla canzone o per rientrare, tipo un bridge che poi sfocia nel ritornello, un altro tipo di ritornello nel finale. La cosa bella di questa produzione non è che noi abbiamo dato, questo lo vorrei sottolineare, il prodotto in mano, lui l’ha fatto e ciao, questa è la canzone, no, abbiamo lavorato tutti e quattro più il produttore, come se lui fosse un quinto componente.

Marco. Ma tra l’altro la differenza rispetto al passato, diciamo a quello che abbiamo prodotto in passato e quello che invece è stato fatto in quest’anno, sta proprio nel team che abbiamo avuto dietro, perché Diego e chi è stato citato sono sicuramente figure che hanno avuto un’importanza enorme, ma non sono state le uniche, perché tutto il team di Altrementi che ci ha seguito e tutto il team di Mosho Dischi, la nostra etichetta, ha collaborato, ognuno in ogni modo, e direi fino al punto di essere all’interno, dentro le nostre canzoni, perché alla fine di un brano dove cantiamo tutti insieme, quasi senza strumenti, l’abbiamo cantato con tutti i ragazzi di Altrementi Quindi è un po’ il brano di tutti, sarebbe Polaroid.

Sì sì, ho presente, infatti una delle domande che vi volevo fare è che a me sembra che, nel circuito alternativo, ci sia sempre meno la voglia del cantare per il bello di farlo, invece nel vostro disco ce ne sono un sacco di questi momenti in cui mi immagino proprio di essere lì, con la testa in alto e la bocca spalancata a cantare solamente per godermi questa cosa di cantare.

Marco: Il release party è stato praticamente così, c’è stato veramente un cantare insieme a chi c’era, e poi è una grande emozione perché nel corso di quest’anno sono state veramente poche le occasioni in cui abbiamo avuto modo di esibirci, perché non era uscito abbastanza materiale anche in alcuni casi E quindi vedere che al release tante persone che ci avevano ascoltato su Spotify già cantavano con noi i brani che erano pubblicati, ci ha salvato.

Federico: Diciamo che metaforicamente questo album rappresenta anche il nostro modo di fare musica, abbiamo fatto questo album, abbiamo composto queste canzoni per il gusto di farlo principalmente, l’immagine che tu hai detto è giusta, ma immaginati e ci immaginiamo a suonare e cantare esattamente con lo stesso spirito, lo facciamo perché ci diverte fare questa musica in questo determinato modo e cantare allo stesso modo.

Da persona che ha ascoltato moltissimo il rock alternativo negli anni 90 e nel decennio Zero, mi sembra che voi l’abbiate ascoltato tanto quanto me, nel senso che sento soprattutto le influenze di questi due decenni per quanto riguarda la struttura, lo stile, nella vostra musica, quindi non so se siete d’accordo, se avete dei nomi in particolare

Federico: Da un certo punto di vista, questo genere, soprattutto in Gran Bretagna e Irlanda sta avendo di nuovo importanza grazie ai Fontaines DC, agli Idles, ai Wunderhorse, ai Gurriers, c’è tutta una corrente lì e sono album usciti negli ultimi anni, che hanno dato nuova linfa a questo genere musicale, è musica fatta veramente di pancia e che ha ispirati e ha anche in un certo qual modo spronati nel percorso di fare musica di pancia, non gettata lì come può essere, positivamente, il punk, però mettersi a nudo attraverso le canzoni che si producono. Per questo motivo abbiamo toccato dei temi che sono molto introspettivi, anche perché gli Idles ad esempio, un gruppo fra tutti, hanno ulteriormente amplificato la questione di parlare di temi molto personali, molto anche oscuri, però con un linguaggio musicale duro anche alle volte, come è giusto che sia, perché determinate cose interiori sono anche dure.

Ho provato a immaginarmi come mai il primo singolo vostro, Bipolare, non è finito sul disco, io mi sono fatto l’idea che dal punto di vista del testo, alla fine c’entra molto con il resto delle canzoni, ma dal punto di vista del suono è parecchio diverso.

Marco: Sì, esatto, è giusto. Tra l’altro, consideriamo Bipolare come ciò che è rimasto del nostro passato e che, con Fragile, abbiamo voluto rompere. Infatti la cover del singolo e tutto il concept che c’è attorno è la distruzione del vaso di fiori con la mazza da baseball, proprio perché c’era bisogno di tirare fuori qualcosa che era rimasto troppo dentro.

Invece avete altre canzoni da parte, o vi siete concentrati solo su queste? Siete prolifici oppure avete giusto realizzato queste otto, perché era giusto andare avanti solo con quelle?

Federico: Diciamo che una volta che apri il rubinetto della creatività, quando devi fare un disco, le idee vengono fuori a bizzeffe, a milioni E’ chiaro che ad un certo punto bisogna filtrare tutto e capire quelle che possono essere elaborate in un determinato modo, quelle che magari hanno ancora bisogno di tempo per arrivare a una forma definitiva. Ce ne sono altre cinque, sei in cantiere che non hanno visto la forma definitiva in tempo per questo album, però in futuro magari, chi lo sa.

Nicola: Ci stiamo godendo l’album, ci stiamo godendo il primo frutto, poi sicuramente torneremo a lavorare su queste idee.

Marco: C’è già più di qualcosa che sta dicendo: “OK, però è il momento di rimettersi in saletta”, infatti siamo davanti alla sala prove.

La mia canzone preferita del disco è Va Bene Così, perché mi sembra la più completa, c’è la parte finale dove si canta, c’è la parte iniziale dove si spinge, se dovessi spiegarvi con una canzone forse sceglierei quella.

Marco: Questo è uno di quei brani più, lasciami passare il termine, più catchy, nel senso che ha proprio l’idea di, quando è stata pensata, abbiamo bisogno di qualcosa da cantare con chi verrà ai concerti, con chi sarà con noi, e la ripetizione anche di un Va Bene Così è facile, orecchiabile, e soprattutto, paradossalmente, Va Bene Così ma non va bene per niente.

Beh, ma poi scusate, chi è che non ha mai passato un momento così descritto bene dalle prime parole della canzone: metto la sveglia, faccio tardi lo stesso e sono stanco anche, a chi è che non è capitato.

Marco: Sì, sì, non c’è nulla che vada a favore.

Federico: Dal punto di vista musicale, ha avuto una gestazione abbastanza lunga, e vengono fuori una serie di influenze, a parte rispetto alla scena indie 90 e 2000, che fanno più riferimento a, penso, a qualcosa di new metal, qualcosa di funk Perché, ad esempio, l’incedere della batteria, l’incastro con il basso, tutto questo spazio, eccetera, che si crea, riempito dalla chitarra, la voce che c’è a intermittenza, eccetera, cioè, questo spazio grande che si crea nelle battute, riprende molto da quel filone lì.

Nicola: poi si avvicina molto più al punk, la parte finale soprattutto, anzi, più che al punk, a quella che è la scena più metalcore, parlo per me, batteria: Bring Me The Horizon, Underoath, però poi, comunque, mantiene sempre quell’aspetto funk, tipo Incubus, ma anche Rage Against the Machine, tanto martellare e tanto spazio tra le battute

Va bene, dai, vi faccio l’ultima domanda sui vostri live, nel senso che, sperando che, intanto, se avete delle date in programma, e poi, insomma, che cosa ci possiamo aspettare quando veniamo a vedervi dal vivo?

Federico: Il 12 di novembre al Risonanza Festival, e il 14 suoniamo nel backstage della Sveva Arena Backstage Arena, che sarebbe la parte interna della Sveva Arena, a Bisceglie, e apriremo il concerto di Davide Amati, saremo l’opening act della serata E c’è altro, ovviamente, in ballo.

Bene, e, insomma, il vostro live, come lo descrivereste?

Federico: Energico, essenzialmente, come primo aggettivo.

Marco: Per noi liberatorio, penso che è proprio un momento in cui sfuggire fuori e cercare anche di condividere, quindi l’idea che qualcuno possa, in un certo senso, sentirsi coinvolto è ancora di più liberatorio.

Federico: Soprattutto nel cantato, nelle parti di cui parlavi prima, in quei cantati, sentire il pubblico che canta con noi è molto bello. Diciamo che, come ogni concerto di un certo tipo, è un evento catartico, cioè tu canti con chi sta sul palco per liberarti di buona parte dei pensieri che hai per quel momento in cui stai cantando, per quei 40 minuti di set Poi ti senti più leggero alla fine dei concerti, e quella è la stessa cosa che abbiamo notato in chi ci ascolta e abbiamo notato in noi, soprattutto.

Marco: al release party c’era poco spazio, però proprio il fatto di avere poco spazio ci ha permesso a un certo punto addirittura di pogare mentre stavamo suonando, ed è stato bellissimo.

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