Musica e amici – giugno 2023
Continua il mio tentativo di recuperare, per quanto possibile, i dischi del 2023 che meritano, e che, come ho detto, sono moltissimi, dividendoli in gruppi in base a un qualcosa che hanno in comune. Stavolta, il criterio è esageratamente autoreferenziale, ovvero questi musicisti di cui sto per parlare sono miei amici. Sono persone che ho incontrato tramite la loro musica, ma poi, nel corso del tempo, il rapporto è diventato di amicizia, e con loro ho condiviso chiacchiere, confronti, discussioni, racconti di vita personale, altre passioni in comune oltre alla musica. Soprattutto, con loro si è stabilita una connessione che va al di là rispetto alla dinamica del recensore che apprezza l’artista e l’artista che apprezza ciò che scrive il recensore, ma che rappresenta proprio il trovarsi bene con altri esseri umani.
Ogni tanto, si sente dire che chi scrive di musica non dovrebbe parlare dei propri amici, ma, per fortuna, è un’affermazione che si sente sempre meno, e sulla quale, ovviamente, non sono d’accordo. Ho già ampiamente parlato di ognuno di loro in passato, con grandi elogi, naturalmente, e sono felice di rifarlo ora che tutti e tre sono tornati dopo anni di assenza (a ben vedere, potevo usare questo come criterio, ma sentite, non mi interessa, preferisco giocare a carte scoperte). Ovviamente, la mia opinione è al 100% sincera e slegata dall’amicizia, non dovrei nemmeno dirlo ma già che sto mettendo tutte le carte in tavola, voglio essere chiaro senza fraintendimenti.
GRIMOON – Clair Obscur
Da sempre devoti al potere della fantasia ma, nello stesso tempo, attenti a ciò che succede nel mondo reale, i Grimoon dedicano questo loro ritorno al dramma contemporaneo delle migrazioni, di cui si parla solo in caso di eventi tragici o di biechi giochi politici sulla pelle delle persone, ma che, purtroppo, si rinnova di continuo anche quando non è sotto la luce dei riflettori. Solenn, Alberto e i loro ospiti propongono una manciata di canzoni che riprendono le consuete caratteristiche del progetto, e quindi risultano cinematiche, evocative e ricche di dettagli e sfumature, e allo stesso tempo ampliano il ventaglio stilistico, soprattutto con la scelta di un suono più compatto e con la voglia di mettere in primo piano una psichedelia alla Flaming Lips, nella quale convivono gomito a gomito l’inquietudine e la voglia di rimanere positivi. La forza di questo disco è la sua capacità di far sentire l’ascoltatore realmente in movimento e in mezzo a turbolenze fisiche e emotive, in un’atmosfera in cui non si distingue più tra immaginazione e realtà, in modo che si capisca che ciò che viene raccontato viene troppo spesso percepito solo come un’altra notizia sul giornale, in TV e in Rete, ma la verità è che si tratta di una questione estremamente drammatica. Solo i Grimoon potevano essere in grado di dare una simile concretezza a questo stato di cose, e, anche se non si sono fatti sentire per diverso tempo, si confermano sempre più unici, impossibili da classificare e da paragonare con chiunque altro.
GIULIANO DOTTORI – La Vita Nel Frattempo
Questo ritorno del cantautore milanese rappresenta non solo un’ottima raccolta di canzoni, ma un vero e proprio manifesto, sotto diversi punti di vista. Il primo di essi è quello squisitamente musicale, perché Giuliano si ripropone in una veste certamente poco consueta in Italia, ma, invece, piuttosto in voga all’estero, che prevede un suono dilatato, etereo e decisamente filtrato e manipolato, anche nella parte vocale. Del resto, se siamo in tanti ad ascoltare l’art-pop declinato in diversi modi e comunque proveniente da Gran Bretagna e Stati Uniti (i Wild Beasts e i progetti solisti conseguiti al loro scioglimento, il Bon Iver più recente, i Nation Of Language, i Sorry, e così via), perché ciò non deve essere rispecchiato anche da ciò che gira nel nostro Paese? Un altro forte statement è contro la possibilità di disporre comodamente di tutta la musica in streaming, infatti, per ascoltare questo disco per intero, anche con questa modalità, lo si deve comprare, e non basta un abbonamento a una delle consuete piattaforme. Poi, sono molto importanti i testi, nei quali vengono affrontati temi universali come il dolore, la perdita e il loro processo di accettazione, con un taglio molto personale e senza alcuna remora nell’aprirsi, che non esistono formule che vanno bene per tutti in questo ambito, ma ognuno ha il proprio modo. Ma l’affermazione più importante è quella contro la distrazione nell’ascolto, piaga sempre più imperante oggigiorno e che, più di ogni altra cosa, ha influito sui destini dei progetti musicali. Per apprezzare questo disco, infatti, è assolutamente necessario prestare la massima attenzione al suo contenuto, e solo così i messaggi che porta si svelano in pieno. Certamente, non si tratta di un ascolto difficile, per cui ci sta anche metterlo su mentre si fa altro come ormai siamo abituali a fare, ma così si percepisce solo una parte di ciò che queste canzoni sono in grado di dare. Il consiglio, quindi, è quello di spendere i soldi che servono per avere questo disco e ascoltarlo estraniandosi dal modo, come del resto eravamo abituati a fare prima di questa sorta di bulimia che ci ha presi tutti: si avrà a che fare con un lavoro importante, intenso, capace di accarezzarci e farci capire che qualunque difficoltà può essere affrontata nel modo che va bene per noi e che l’unico errore che si può fare è tenersi tutto dentro.
DENISE – Dov’è Finito Il Mare
L’assenza più lunga tra le tre di cui parlo qui è proprio quella dell’artista campana, che ha non pubblicava un disco dal 2012. Va da sé che, con questo suo terzo lavoro, Denise taglia in modo netto col passato e mette in scena quello che è quasi un nuovo inizio. Se, per caso, avevate ascoltato qualcosa, magari anche solo il singolo Rain, che aveva avuto un discreto air play televisivo e radiofonico, dimenticatevi tutto, e, in particolare, non aspettatevi nulla di quel pop giocoso, ricco di colori e cantato in inglese che caratterizzava la proposta della Nostra. Ora, la lingua quasi unica è l’italiano, le sonorità non sono per nulla sgargianti, le melodie sono più morbide e rotonde e le sensazioni coinvolte sono più intime e profonde. Rimangono il timbro vocale dolce e acuto allo stesso tempo e arrangiamenti dalla struttura piuttosto stratificata e ricca di dettagli, ma, per il resto, Denise si propone come una cantautrice nel senso più classico del termine, raccontandoci come si sente e ciò che vede attorno a sé con uno stile maturo e di alto profilo. Questo disco è molto valido sotto qualunque possibile punto di vista: le melodie sono tutte ottime; il cantato esprime molto bene ciò che viene raccontato nei testi, i quali sono ben scritti e efficaci nell’esplicitare il modo in cui l’autrice vede se stessa e il mondo in cui vive; il suono è modero e ben congegnato, poiché è capace di mettere in campo sincerità e schiettezza e anche di proporre una buona varietà tra le diverse canzoni. C’è anche la mano di Edda nell’ultima canzone, e sappiamo tutti molto bene come Rampoldi non sia certo uno di quelli che basta pagare per farlo lavorare a un progetto, ma se ci mette il proprio contributo significa che crede ciecamente nella qualità del progetto. Quindi, se non vi fidate del mio giudizio perché voglio bene alla persona Denise, fidatevi di colui che ha fatto, di gran lunga, il disco più bello dell’anno scorso: Denise è tornata alla grande, con canzoni molto belle che meritano ascolti attenti e ripetuti.