Kublai – Kublai

ANNO: 2020
GENERE: cantautorato, psich-rock, alternative rock

PROTAGONISTI: In questo caso, seppur si tratta del primo disco del progetto solista di Teo Manzo, è giusto parlare di protagonisti al plurale. Perchè il protagonista autore e compositore milanese di questo disco è sì, Teo Manzo, in arte Kublai, ma anche l’omonimo Kublai Khan. Nipote di Gengis Khan, eroe silenzioso e sinistro, sempre rinchiuso all’interno del suo enorme palazzo, un unico amico: Marco Polo, che torna periodicamente da lui per raccontargli i suoi viaggi, a lui che probabilmente non uscirà mai da lì. Morto suicida per solitudine Kublai, quello che non conosciamo e che non ha ha fatto questo disco, ha influenzato quell’altro Kublai, Teo Manzo, suo alterego che, secoli dopo, ci troviamo ad ascoltare.

INGREDIENTI: In questo disco, ci sono le conversazioni perdute tra Kublai Khan e Marco Polo, che si intrecciano e si nascondono sotto questi fiumi di chitarre dal retrogusto medio-orientale. Teo Manzo, che arriva dal cantautorato classico e lo dimostra anche qui, sfacciatamente, contaminandosi con diverse influenze, che vanno dalla scena alternative rock che va dai Marlene Kuntz, Afterhours e Verdena, ad altri nomi della scena internazionale, tra James Bay, il primo Tom Odell, Lewis Watson e Harrison Storm, ma anche James Blake o Perfume Genius.

DENSITA’ DI QUALITA’: Un disco che si nasconde dietro la facciata di questa storia misteriosa e dimenticata, ma che, se in grado di lasciarci trasportare completamente, si può apprezzare, e parecchio, senza capirne ogni parola, senza dover a tutti costi aver la spiegazione e l’origine di tutti. Questo disco è come andare in un paese straniero, dall’altra parte del mondo, un’ondata di profumi, visioni e, anche se il disco in italiano, è come sentire una lingua straniera, di cui si coglie una parola, forse no, forse il senso generale, ma di cui non siamo sicuri di niente. Bellissimo.

  • 9/10
    Voto - 9/10
9/10

Giudizio riassuntivo

Questo disco è come andare in un paese straniero, dall’altra parte del mondo, un’ondata di profumi, visioni e, anche se il disco in italiano, è come sentire una lingua straniera, di cui si coglie una parola, forse no, forse il senso generale, ma di cui non siamo sicuri di niente. Bellissimo

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