Giardini di Chernobyl – Cella Zero
Genere: Alternative rock.
Protagonisti: Emanuele Caporaletti (voce e chitarra), Stefano Cascella (basso), Simone Raggetti (batteria e elettronica).
Segni particolari: Cella Zero è il disco d’esordio della band di Ancona. Il trio si avvale della collaborazione di Giulio Ragno Favero (bassista e produttore de Il Teatro degli Orrori), e viene registrato presso il Lignum Studio; lo stesso studio dove il Teatro degli Orrori e gli Afterhours hanno prodotto il brano Dea, per il remake dell’album Hai paura del buio?
Ingredienti: una corsa infinita, lungo un percorso di insidie, immersi in un buio pesto: dieci brani, in cui si respira a fatica, in un perenne senso di inquietudine. Sofferenza per un amore finito, antichi ricordi che riemergono dolorosamente nella mente: queste le tematiche affrontate nei testi, che rievocano vecchie immagini, sotto un velo di nebbia opaca. Il disco si apre con Noir, con le sue violente chitarre ed una batteria incalzante; sembra una preghiera arrabbiata, urlata, espressione di un desiderio che probabilmente rimarrà inesaudito. Amara dolcezza in Il lungo inverno, che narra di un amore ormai lontano, ma ancora ardente nel cuore. Riaffiorano visioni di momenti vissuti, di tempi andati ormai, e flashback di stagioni passate, nella lenta Foto dall’aldilà. L’atmosfera che permea l’intero disco è quella di un disagio costante, di un malessere interiore che prende forma attraverso furiosi riff di chitarra, eleganti distorsioni, una batteria potentissima. Influenze nu metal in Mentre Lisa dorme; tratti grunge si avvertono in Jekill con le sue dolenti chitarre ed un basso oltremodo massiccio.
Densità di qualità: Cella Zero è una gabbia spinosa, che punge e ferisce. Uno spazio angusto, stretto, in cui cercare disperatamente una via di fuga. Un sound ruvido, ossessivo, anche se non mancano momenti lenti ed orecchiabili, come accade tipicamente nel genere metal moderno (quello degli anni 2000, per intenderci). Tecnicamente ineccepibile, forse la band subisce un po’ troppe influenze (suoni e testi ricordano vagamente i primi Verdena). Sicuramente un ottimo disco, considerato che la band è neonata (i GDC si formano all’inizio del 2014) e siamo solo al loro primo lavoro. Il talento non manca di certo, le premesse per una loro crescita ci sono tutte.
Velocità: 10 pezzi, brevi ma intensissimi, che scorrono velocemente.
Testo: “La tua pelle è pallida, mentre le mani tremano, ed il tu volto è stanco. Sorridono le labbra che ci si posa il tuo sudore, rimani immobile. Sparirai, sparirai anche se lasci qui il suo segno. Sparirai anche se lasci qui il tuo seme. Comincia pure a correre nella nebbia che ti conforta umida…” da Homus.
La dichiarazione: “La nostra non è una visione pessimistica, ma cerchiamo di raccontare le debolezze umane e di come gli individui cercano di reagire alle proprie difficoltà psicologiche e sociali, quindi poi di base c’è un filo logico ottimista, che è appunto la reazione a qualcosa di negativo. Poi in alcuni brani si parla anche di reazione verso un sistema sociale che cerca di venderci una falsa libertà”. (Claphitblog, 2015).