Buckingum Palace – Club
Etichetta: autoproduzione
Genere: shoegaze, emo-noise, post-rock
Protagonisti: la band è composta da Clara Romita (batteria/voce/synth), Annalisa Vetrugno (basso/chitarra baritona/synth) e Stefano Capoccia (chitarra/synth). I synth su Dallo Spazio e Rigoglio/Fioritura sono di Steve Scanu. Il disco è stato registrato in presa diretta da Filippo Bubbico presso il Sudestudio di Guagnano, Lecce, è stato mixato e masterizzato da Steve Scanu a Rimini. L’artwork è di Alessandro Romita, le fotografie di Giulia Nardelli
Segni particolari: disco d’esordio per il trio leccese, di rientro sulle scene a distanza di quasi un anno dalla pubblicazione dell’Ep Macedonia, loro primo ufficiale passo nel panorama musicale (Cabezon Records/XO)
Ingredienti: dacchè il disco parte, da quell’assaggio di un minuto e ventitre di Spiagge (preludio di Grande Mole, singolo d’anticipazione di Club), si viene abbracciati da quella ventata di armonie tipiche degli ormai andati anni novanta a cui tutti, chi più chi meno, siamo affezionatissimi. Le distorsioni e i riverberi tipici dello shoegaze richiamano in buona parte quelle genialate alla My Bloody Valentine, pur aprendosi ampiamente verso suoni più post-rock alla maniera dei nostrani Verdena (quelli delle sperimentazioni dei tempi di Solo Un Grande Sasso, per intenderci). Altre parentesi su cui è doveroso soffermarsi, tenendo presente che bisognerebbe soffermarsi su Club nella sua integrità, sono Tsunami, brano che fa dello stile dei già menzionati Verdena un dettame in quanto basato su variazioni ritmiche particolari e inaspettate che valorizzano le capacità di ognuno dei componenti del trio, e Duttile, bellissimo compromesso tra suoni elettrici e sporchi come li vuole la tradizione noise e voce suadente e melodica. Il resto è un’ascesa continua, ascoltare per credere
Densità di qualità: quando si ascolta un disco come Club è inevitabile farsi prendere da quella mistura di malinconia e adrenalina, ogni singolo minuto è un ponte verso quei “dannati” anni novanta da cui è arduo allontanarsi. Convengo che possa apparire esagitato parlare in questi termini di una decade che ha avuto caratteristiche proprie come altre, positive e negative, ma diciamo che chi ha superato la soglia dei trenta anni d’età da poco può senz’altro sottoscrivere tali pensieri e ascoltare Club avendo analoghi stati d’animo. I Buckingum Palace entrano ufficialmente a far parte di quella coltre di band odierne che si prefissano uno scopo ben definito già dal principio: vogliono far si che tali suoni e tali atmosfere possano non cadere mai nel “dimenticatoio”, in quella sorta di oblio che inevitabilmente il corso degli anni offre. In quest’ultimo loro step, i tre ragazzi pugliesi dimostrano di sapersi muovere e di essere in grado di migliorarsi di volta in volta. Macedonia, il già menzionato Ep pubblicato l’anno scorso, ha reso giustizia non solo alle potenzialità e alla destrezza palesi del terzetto ma ha fatto si che si potesse cogliere da subito la direttiva che gli stessi si sono preposti. Dicendola senza troppi giri di parole, se Macedonia ha rappresentato la teoria, Club ne rappresenta la pratica. Ciononostante, per quanto possa sembrare strano, un disco del genere non è stato in grado di trovare una label disposta a pubblicarlo; il materiale è valido, lo abbiamo detto e ridetto, il punto è che senz’altro alla prossima pubblicazione le attenzioni nei loro riguardi saranno maggori
Velocità: alcuni brani sono da head banging e da pogo, altri da ascoltare restando immobili e sopraelevarsi
Il testo: “non ho più bisogno che mi spieghi, non sono più duttile da ieri / se mi guardo allo specchio vedo un vecchio te / forse ti ho già detto che mi fai sentire peggio”, da Duttile
La dichiarazione: la band, a proposito del disco e della scelta della copertina, dice: “Club è per chi nei club non ci mette mai piede, chi invece di bere fino a notte fonda si sveglia alla stessa ora per un incubo e si rifugia in un bel bicchiere di latte. Un rigurgito da indigestione di una cena a base di post-rock, emo e shoegaze”