Perché Sanremo è Sanremo: finge di aprirsi, ma resta uguale a se stesso

Normalmente, non mi occupo del Festival della canzone italiana in queste pagine, ma in questa 71esima edizione c’erano diversi nomi che abbiamo recensito, intervistato e incluso nelle classifiche annuali. Ho, quindi, seguito con curiosità una kermesse così nazionalpopolare, spinto soprattutto dalla curiosità di riscontare sul campo la tanto sbandierata apertura al panorama moderno e alla gioventù. Purtroppo, alla fine delle cinque serate, sono costretto a constatare che tale apertura si è rivelata puramente formale e per nulla sostanziale.

Dico questo intanto perché, tra i diversi giovani in gara, in troppi avevano canzoni deboli e non all’altezza. I vari Aiello, Random, Gio Evan, Fasma e Gaia, semplicemente non avrebbero dovuto essere selezionati. Non ha alcun senso avere una “quota giovani” se poi la quasi totalità delle canzoni che la rappresenta è così scadente, soprattutto perché così non si fanno gli interessi dei giovani stessi, ma, al contrario, li si mette in cattiva luce con il pubblico generalista, perché loro non lo sanno che si sarebbe potuto scegliere di meglio, che in Italia esistono realtà come Ginevra, Maru, Han, Eugenia Post Meridiem, Birthh, Giorgieness, Elasi, Bonetti, Studio Murena, I Quartieri, Mai Stato Altrove, Brenneke, e sono solo i primi nomi che mi sono venuti in mente. Evitando di formalizzarsi sull’età anagrafica ma cercando di focalizzarsi sul senso generale del discorso, è difficile non immaginare che qualcuno di questi avrebbe fatto meglio dei selezionati di cui sopra in termini di qualità e non sarebbero nemmeno state canzoni meno accessibili per lo spettatore medio sanremese; è, quindi, di tutta evidenza che si è solo guardato all’ampiezza del seguito che i selezionati si erano già costruiti. Per questo, dico che non si può parlare di alcuna apertura, e il ragionamento che è stato fatto è lo steso di sempre. Colpa dei nomi che ho fatto io che non si sono proposti? Intanto non possiamo saperlo, e poi, qualunque rassegna musicale che si rispetti dovrebbe essere lei ad avere iniziativa e a scandagliare il sommerso, che poi, in questi casi, tanto sommerso non è. Ma del resto, parliamo sempre di una rete televisiva che, in un passato non troppo lontano, per un’altra sua rassegna musicale, ha contattato Appino trattandolo come uno sconosciuto qualunque.

Solo Madame e Fulminacci sono stati quantomeno credibili, anzi, per i miei gusti sono stati bravi, ma, appunto, parliamo di gusti, e non sarebbe corretto basarsi su di essi in un’analisi come questa. Cercando, quindi, di essere oggettivi il più possibile, si deve poi passare a chi ha vinto la gara, salutato come espressione della gioventù e della musica rock. La gioventù dei Maneskin, invece, è solamente anagrafica, perché normalmente essa dovrebbe esprimersi non solo nel suonare insieme canzoni scritte da altri, ma soprattutto scrivendone di proprie, anche con risultati discutibili, ma creandosi una propria identità anche passando dalla scrittura.

Invece, questi quattro ragazzi hanno affrontato il loro primo tour dopo X Factor suonando solo due canzoni proprie e una serie di cover, per cui viene da chiedersi quanto si fossero dedicati a questa fondamentale fase del percorso di ogni progetto musicale prima di aver raggiunto la notorietà. Viene da pensare che di sforzi, in questo senso, ne avessero fatti pochini, altrimenti quale sarebbe stato il senso di suonare quasi solo cover in quei concerti? Viene anche da pensare che, a quel punto, dato che erano già sotto la guida di qualcuno, si siano fatti dire cosa fare anche in sede di composizione, e non abbiano maturato alcuno stile compositivo realmente proprio.

Sono illazioni, le mie, me ne rendo conto, ma i fatti che ho portato a supporto di esse le rendono molto verosimili, e, in ogni caso, di evidente c’è che l’identità della band, ancora oggi con la vittoria a Sanremo in cassaforte, esiste solo per il timbro vocale riconoscibile, perché se si toglie quello, il sound dei Maneskin non esiste, ed è composto solo da standard ben radicati nella storia della musica rock. E, da che mondo è mondo, fare rock significa, lo ripeto, anche e soprattutto crescere partendo da una base che nasce dall’interno della band, e solo da essa, perché, altrimenti, semplicemente la propria musica non c’entra niente con il rock, come del resto già non c’entra con la gioventù.

Inoltre, visto quanto appena detto, non può essere un caso che la canzone vincitrice contenga evidenti scopiazzature da un’altra pubblicata diversi anni fa, e la fantomatica perizia tecnica della Sony non fa altro che confermarlo, rendendo manifesto a tutti che, legalmente, la band non è perseguibile per plagio, ma in verità, dietro ai discorsi su metrica terzinata, complessità ritmica, assenza o presenza di riff e senso semantico, c’è una potenza di fuoco, quella della Sony, che è impossibile da contrastare per qualunque realtà davvero indipendente. È davvero triste che un gruppo di ventunenni possa stare al riparo dalle accuse unicamente sfruttando il lavoro di un pool di tecnici e avvocati, ma del resto, c’è sempre stato il bambino che, al primo momento in cui una situazione usciva dalle righe, andava a dirlo alla maestra. La fanciullezza, e la gioventù in generale, sono, però, un’altra cosa.

Ciò che rende vincente, agli occhi dello spettatore medio sanremese, questa strategia, e che spinge anche molta stampa generalista a parlare di modernità, di gioventù e di musica rock, e che la strategia stessa si innesta perfettamente con la visione della musica propria di queste persone e di questi giornalisti, che, ad esempio, hanno incoronato come regine della manifestazione una 70enne capace solo di gridare e atteggiarsi in modo vistoso e un’86enne che ha ancora classe da vendere ma che ha mostrato enormi sforzi solo per stare in piedi sul palco e una dizione che tradisce la stessa stanchezza di fondo, con entrambi gli elementi che creano un risultato per nulla artistico. Invece, è stato tutto un coro di elogi e lodi sperticate, come se solo il fatto che alla loro età ancora si sforzino di esibirsi in pubblico possa giustificare tutto. In definitiva, gli anziani possono fare tutto e va sempre bene, e i giovani sono ammessi solo se hanno già un seguito, e ancor meglio se si sono fatti guidare da mani esterne fin da subito, in modo da poter essere ben plasmati e, allo stesso tempo, difesi da ogni tentativo di smascherare quando copiano. Difficile non credere che le due cose siano collegate.

In tutto questo, ci fosse almeno un po’ di gusto per la competizione in sé, ma non c’è nemmeno quello, dato che ha la possibilità di vincere solo chi, vedi sopra, si è già saputo costruire una massiccio seguito sui social. La distribuzione del “peso” tra televoto è giurie era corretta due anni fa, quando, infatti, ha vinto un giovane bravo che se lo meritava, ma no, Sanremo è il festival della ggente, con due g, e questo è il risultato, ovvero che, ad esempio, chi è arrivato secondo ha come unico merito di aver sposato una donna con la maggior influenza sui social.

Del resto, Sanremo è Sanremo, ovvero il simbolo del conservatorismo di chi sposta i numeri veri nella musica italiana e del pubblico che li segue, stupido io a sperare nel contrario. Però stavolta l’avevano confezionata bene, e non mi sento così gonzo nell’esserci cascato. Spero solo che, nei prossimi anni, con l’annunciato passo indietro di Amadeus, chiamino il Carlo Conti di turno, e non qualcuno che possa illudermi di un effettivo cambiamento. Non amo molto la sensazione di aver sprecato il mio tempo e la mia attenzione, e questo mi è successo proprio in questi giorni.

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