Iosonouncane: il punto d’incontro tra ricerca musicale e accessibilità
Ve ne sarete sicuramente resi conto: abbiamo sempre meno voglia di scrivere recensioni. Ormai i dischi sono a disposizione di tutti e appare sempre più superfluo fornire una spiegazione e/o un commento a essi. Ci piace di più fare intervista in modo da mettere in campo il punto di vista del musicista, e segnalare nomi nuovi tramite news e anteprime. Però, ci sono dischi su cui non si può evitare di spendere qualche parola, e tra essi figura certamente IRA, il nuovo disco di Iosonouncane. Certe cose le sapete ormai tutti: 17 tracce, 109 minuti, il mancato uso della lingua italiana, sono dati che da soli danno la sensazione di un’opera impegnativa, e anche l’ascolto conferma che non si tratta certo di canzonette da cantare sotto la doccia. Però, vorrei sfruttare questo spazio per esprimere il mio punto di vista su un particolare di cui si è discusso spesso nella mia bolla social, che magari è anche la vostra.
Sto parlando di diversi pareri che, più o meno, sostengono che tanta gente stia lodando questo disco solo in funzione del suo hype, e che, in realtà, di dischi così se ne sono già fatti molti e se ne continuano a fare, anche in Italia. Ora, non si può certo negare che l’hype abbia la propria importanza nella percezione collettiva di ciò che viene realizzato da un progetto musicale, però bisogna intanto dire che Jacopo Incani se l’è ampiamente meritato, visto che non mi pare abbia chissà quali “poteri forti” dietro, ma rappresenta il classico caso di chi ce l’ha fatta grazie a un misto di lodi della stampa specializzata e passaparola dato soprattutto dalle proprie performance live. Ricordo io stesso di aver letto tante recensioni positive di La Macarena Su Roma, ma di non aver fatto in tempo ad ascoltare il disco prima di un festival in cui suonava, e, steso dal live, mi sono affrettato a comprare il disco seduta stante, e poi non mi è nemmeno piaciuto, nel senso che il live era tremila volte meglio. Trovo che, difficilmente, senza quel live così forte, ci sarebbe stata tanta attesa per l’uscita di DIE, e poi non si trattava certo di un’attesa così spasmodica come quella che ha accompagnato questo IRA, e solo la qualità del disco e, ancora una volta, dei live, in solo e con la band, hanno portato Iosonouncane allo status di cui gode oggigiorno. Insomma, c’è stato un crescendo di consensi svoltosi in un percorso assolutamente sano, di quelli dei quali si dice, a parole, che se ne sente la mancanza quando, invece, spuntano i nomi dal successo immediato ed effimero.
Il punto fondamentale, però, è un altro: questo disco è così lodato perché ha una cosa che le opere impostate allo stesso modo, semplicemente non hanno, ovvero è accessibile pur non perdendo nulla in termini di sperimentalismo e mancanza di compromessi. Voglio dire, se io mi vado ad ascoltare un disco di Scott Walker, o dei Father Murphy, nomi che sono stati fatti per giustificare l’assunto che “è uno scandalo che IRA sia così lodato e altri dischi dello stesso tipo invece no”, questo punto d’incontro tra ricerca musicale e accessibilità non lo trovo. Magari poi ci entro al quarto/quinto ascolto in quei dischi, ma non certo al primo, e magari per apprezzarli ho bisogno di un ascolto super attento, invece di lasciarli andare mentre lavoro, o mentre cucino, o mentre scrivo questo articolo. Invece, trovo che IRA sia in grado di coinvolgere completamente fin dal primo ascolto e anche se lo si sta ascoltando mentre si fanno le cose di cui sopra, e, ripeto, lo fa senza ammiccamento alcuno, ma con un linguaggio musicale radicale ed estremo, e pure dotato di una spiccata riconoscibilità.

È questo, secondo me, il punto di forza più importante di un lavoro destinato a essere ricordato nel tempo, così come lo è stato Wow nello scorso decennio, e, secondo me, per gli stessi motivi. Certamente non è un lavoro che influenzerà una generazione di musicisti, così come hanno fatto i vari Vasco Brondi, Brunori e Calcutta, semplicemente perché è troppo difficile fare un disco così, e chi ha dentro di sé il sacro fuoco per provarci, ce l’ha indipendentemente dal successo di IRA. Del resto, quanti tentativi di imitazione di Wow avete visto in giro? Nessuno, e certamente nessuno proverà a fare un nuovo IRA, mentre, per fortuna, continueranno i lavori di ricerca musicale, ognuno con la propria personalità, ma probabilmente, senza questa mirabile unione tra estremismo e accessibilità, due concetti che normalmente vengono visti come antitetici, ma che, appunto, opere come Wow e come IRA dimostrano che possono coesistere.
Per cui, cari amici che invocate l’hype come unico motivo del grande consenso che IRA sta ottenendo, mi dispiace per voi, ma non è così, e ci dovete stare: IRA è il Wow, e diciamo anche il Kid A, di questo decennio: un lavoro che porta la ricerca musicale sul terreno dell’accessibilità, mantenendo ai massimi livelli ambizione e alto profilo. Chi è in grado id arrivare a un simile risultato è una perla rara, e come tale va trattata, altro che hype.