Roccia Ruvida: Massimo Priviero
Ti ricordi quando mesi fa ci fu quella dichiarazione del ministro del lavoro sui giovani dove diceva che si trovano più occasioni con gli amici al calcetto piuttosto che mandando tanti curriculum in giro? Ecco, questo modo di ragionare è il male. Quell’uomo, nella sua grande miseria umana visto il ruolo che occupa, è il male.
Beh che dire. Ancora una volta mi sento inchiodato al muro dalla saggezza e dalla semplicità di un artista e di un uomo che depone la sua grande esperienza non solo nella musica che fa ma anche nell’intelligenza con cui sta al gioco di queste domande. Massimo Priviero torna in scena con un disco assai emozionante: lo ha intitolato All’Italia e ovviamente non potevo farmi mancare il lusso di fargli domande di stretta attualità. Emozionante, acustico, poco rock secondo le etichette degli imbecilli. Forse è vero quando dicono che è questo il disco suo più rock di tutti. Delle volte non serve far finta di essere puliti, ben vestiti, perfetti e ben educati. Delle volte funziona solo e soltanto l’essere semplici. E la semplicità, che prevede onestà intellettuale prima verso se stessi e poi verso gli altri, è una qualità che sta venendo meno. Una bellissima chiacchierata che a rileggerla avrei voluto durasse ancora più a lungo.
Un disco di bellissima musica acustica. Una scelta che cambia radicalmente le aspettative. Un modo come un altro per dire che il rock non è più nelle tue vene? E poi insomma che risponderesti a chi dice che il rock è morto?
Come sai si può fare rock con una chitarra acustica e cercando di fermare la poesia che ti gira in testa. Se poi vieni a un mio concerto vedrai che anche il fiume elettrico continua a scorrere. Boh, non saprei che rispondergli, bisognerebbe per prima cosa intenderci su quel che chiamiamo rock che certo non vuol dire una chitarra ben distorta, giusto per fare un esempio e per capirci. Io penso che oggi si debba parlare soprattutto di musica d’autore (che non vuol dire parlare di cantautori in senso tradizionale, vedi che è un po’ complicato).
Un disco sull’immigrazione. Un modo per esorcizzare i tuoi rimorsi a non aver lasciato questo paese?
Forse è anche questo! Bella domanda. Forse avrei dovuto accettare le proposte toste per far dischi e concerti all’estero che mi arrivarono a trent’anni. Forse avrei dovuto farlo a venti sognante e romantico. Forse avrei dovuto farlo a quaranta una volta realizzato meglio in che paese vivevo. Ma sono profondamente italiano. Nonostante in questo paese un uomo non possa vivere in modo che chiameresti normale e nonostante questo paese faccia il possibile per rendere la vita difficile alla sua gente migliore, tipo quella che racconto in questo album. Sai, finché in un paese si pensa che essere furbi è una qualità non realizza quanto male fa a sé stesso. Non solo a chi costringe ad andarsene.
Un disco ricco di rimandi di grandissimi autori, andamenti tradizionali e il fantasma di Bruce Springsteen sempre presente. C’è anche dell’altro?
Fantasmi di Bruce, fantasmi di Dylan, di Cash..se vuoi vado avanti. Come Dylan aveva fantasmi di Guthrie e Springsteen fantasmi di Elvis. Vuoi che andiamo avanti? Fantasmi di Neil Young dentro Eddie Vedder… Ovvio che il mio non è un paragone personale, ognuno può avere i fantasmi che preferisce, per usare la tua immagine. I fantasmi son lì che ti guardano, tu gli sorridi, li hai anche fatti tuoi in passato, poi però scrivi la tua vita e la tua musica. “All’Italia” è’ una storia di italiani. Ieri e oggi. Fotografati, abbracciati, raccontati. Usando voce, chitarra e armonica perché così era nato questo album a cui poi si sono aggiunti suoni minimali e acustici a sostenere meglio le canzoni. Questo per me è più o meno tutto.
Un lavoro intenso ma decisamente antico nelle sue origini. Cos’è un tuo personalissimo limite nel guardare al futuro?
Non avremo mai domani se non sappiamo vedere ieri. No, non credo di avere limite da questo punto di vista, ne avrò certamente in altri fronti. Tutte le canzoni parlano di chi ha avuto e ha forza di cambiare, se ci vai dentro. Per cambiare serve forza e serve coraggio, qualunque sia la direzione che prendi. E queste due cose ringraziando Dio fino ad oggi non mi sono mancate. Poi, se posso aggiungere, magari cercare l’essenziale in un’esistenza può forse apparire antico in tempi di superfluo. Ma questo è un discorso che avrebbe bisogno di tante righe ancora.
Forse nel disco hai usato troppa poesia e romanticismo. Proviamo a riassumerlo qui: a quale fondo sociale e lavorativo siamo arrivati oggi in Italia?
Allora chiedo scusa per l’eventuale troppa poesia! A quale fondo sociale e lavorativo? Provo a risponderti con un esempio che traduce bene i miei pensieri. Ti ricordi quando mesi fa ci fu quella dichiarazione del ministro del lavoro sui giovani dove diceva che si trovano più occasioni con gli amici al calcetto piuttosto che mandando tanti curriculum in giro? Ecco, questo modo di ragionare è il male. Quell’uomo, nella sua grande miseria umana visto il ruolo che occupa, è il male. Questo modo di pensare uccide chi vorrebbe vivere in modo corretto, provando a realizzare i propri talenti per trovare un posto nel mondo. E ovvio che questo vale soprattutto per i giovani, compreso mio figlio che se n’è andato a Londra. Questo modo di pensare uccide per la sua stupidità. È la stupidità uccide più di ogni altra cosa.
Come sempre chiudiamo queste interviste abbassando l’ascia di guerra e vorrei lasciarti invitandoti a riflettere con me. Per davvero il nuovo disco di Massimo Priviero rivoluziona le aspettati del suo grande rock e ci proietta in una dimensione più intima, acustica, on the road nella vena romantica del termine. Trovo che questo lavoro sia la prova concreta di quanto sia importante lasciare all’arte di ognuno la libertà di essere quello che sente. Solo così escono fuori dischi (come il tuo) di così grande impatto…non trovi?
Grazie! “Libertà di essere (e di scrivere) quello che sente”. Questo prima di ogni altra cosa. Non credo serva aggiungere altro. Grazie per le belle domande, non è cosa così solita crdetemi. A presto.