Roccia Ruvida: Lorenzo Bonfanti
Ultimamente inanelliamo puntate davvero interessanti in questa rubrica ispida e velenosa. È sempre interessante potersi confrontare con un pensiero limpido e privo di filtri. E in fondo da Lorenzo Bonfanti me lo sarei atteso e l’intervista che segue lo dimostra a pieno. “Amare è così” è un disco acqua e sapone e il suono artigiano che disegna è “così”, come la vita… semplice. Un esordio che esce dopo l’esperienza entusiasta di X-Factor. E noi siamo sul pezzo, velenosi come sempre.
Il suono semplice, il cantautore, l’amore… ma il futuro proprio non ci piace? Fa paura cambiare eh?
Cambiare fa paura perché ci fa entrare nella sfera dell’ignoto e ci fa affrontare temi o sfide che mai abbiamo provato. Credo però che il cambiamento debba essere congruo a chi siamo nella vita di tutti i giorni e per poter affrontare l’ignoto bisogna affidarsi alle piccole certezze che abbiamo. Bisogna anche domandarsi, come giustamente fate Voi con questa domanda, cosa sia il futuro: per me è buttarsi in un qualcosa che mai avevo fatto prima, prendermi la responsabilità di mettere la faccia (e la voce in questo caso) dicendo che quello che sono per partire, poi, verso una nuova avventura.
Trovo molto stimolante farsi queste domande e Vi ringrazio per avermele fatte, perché sono spunti per stuzzicare la creatività andando verso luoghi non ancora, quantomeno da me, esplorati.
La complessità delle cose semplici contiene le risposte che voglio farmi per i prossimi lavori, sapendo che scrivere e arrangiare con un occhio al “passato” è solo l’inizio. Si può scrivere un disco che attraversi ogni epoca musicale, ma deve lasciare il segno sopratutto nell’epoca in cui ci si trova. Per me voleva essere un inizio, qualcosa da sviluppare, che non lascerà forse il segno in quest’epoca ma che richiamerà le epoche vissute da ognuno di noi. Verso un futuro che non ha ancora i connotati del presente possiamo provare ad arrivarci, lasciando trapelare la verità sull’amore e sulla vita sperando che possa trovare eco nelle vite di tutti. Un bel punzecchiamento questo sul futuro, una bella riflessione, una domanda che fa paura come il sapere di dover cambiare, cambiando però nella versione “aggiornata” di noi stessi.
E tutto cinguettano della semplicità da raggiungere… ma poi viviamo dentro i pacchetti digitali della vita comune. Tutti sinceramente attenti ai contenuti, così dicono, ma tutti in prima linea per apparire…
L’ultima canzone del disco l’ho iniziata a scrivere su una macchina da trafila quasi dieci anni fa, quando ancora non c’era il boom dell’apparire e del mostrarsi, una canzone che parla di accettarsi per chi si è sapendo che si può sempre cambiare, rimanendo fedeli a se stessi. Questo mi porta a pensare che riflettere davanti allo specchio, pensando a chi vediamo riflesso in quello specchio, è forse la vera chiave per capire quali contenuti vogliamo mostrare. Abbiamo paura di quello che gli altri pensano di noi o è la paura di non sentirsi abbastanza? Tutti abbiamo fallito nella vita, per una cosa o per l’altra, ma non lo mostriamo perché abbiamo paura del giudizio, forse perché siamo noi i primi a giudicare. Raggiungere la semplicità ha un significato diverso per ognuno di noi ed è straordinario quanto ognuno di noi è diverso dall’altro, perché ci rende unici. Riconoscere l’unicità dell’individuo è diventato però uno scoglio dovendoci uniformare a degli standard in cui “il talento” viene prima della “costanza”. Non dandoci il giusto peso e il giusto spazio fingiamo che le nostre vite siano vasi di porcellana perfetti quando sappiamo tutti che ogni tanto ci siamo rotti. Credo che prima o poi ci accorgeremo che essere imperfetti ci farà credere di più in chi siamo senza preoccuparci troppo di mostrare, dando più spazio al di-mostrare a noi stessi che siamo unici.
E a proposito: Spotify? No perché chiedo a tutti: lavorate e spendete tempo, energia e denaro per fare un disco. E poi? Poi lo regalate alla rete… e vi lamentate che la musica è in crisi. Dove sta la soluzione a questo paradosso?
Non sono nessuno per trovare una risposta a questo grande tema: trovo però che l’idea di “regalare” una canzone sia già di per se la risposta. Quando si scrive una canzone non è più di chi l’ha scritta ma di chi la ascolta. Il valore economico di un supporto digitale o di un supporto fisico, non andranno mai ad essere vicini al valore sentimentale che una canzone da, perché può essere di supporto, di aiuto, di sfogo, di pianto, di gioia, di euforia per ognuno di noi.
La musica è in crisi perché si da più importanza alla sua rappresentazione all’interno del mondo economico piuttosto che al mondo spirituale. Non voglio essere naif, la musica è il mio lavoro e ci devo campare, e Spotify come altre piattaforme sono una delle tante vetrine per invogliare chi ci ascolta a venire a vederci dal vivo e magari comprare il supporto fisico. Quella deve essere una conseguenza. Avere la possibilità di diffondere la propria musica in tutto il mondo è qualcosa di straordinario, diffondere arte solo un click wow.
C’è una discorso che andrebbe fatto a parte che include tutta quella fetta di musica che il mondo del Business selvaggio ha inglobato dentro di se, dando l’idea che fare musica sia uno dei tanti modo per poter diventare ricchi e famosi. Non credo debba essere quello il messaggio, ma come dicevo prima sono ancora alla ricerca del futuro quindi ho delle “fette di passato” sugli occhi Ahahahahah. La musica è il mio lavoro, è ovvio che in ogni lavoro si cerca sempre di arrivare ad una posizione più alta, ma l’obbiettivo per me è essere di successo, non fare successo, realizzarmi come persone e come artista e per farlo devo investire su me stesso e sulle mie capacità (anche economicamente) per crearmi una nicchia di pubblico affezionata alla mia musica. La prima idea è quella di mettersi in rete, creando una sorta di paradossò tra quello che vorremmo essere e il compromesso che dobbiamo accettare per entrare in quella dinamica ma forse, e dico forse, senza i paradossi l’arte non andrebbe più avanti no?
E poi molti fanno dischi per parlare di se e di come reagiscono alla vita. Ma secondo te, nei problemi di tutti ogni giorno, può davvero interessare il tuo modo di stare al mondo?
Credo di si, credo tutte le vite siano degne di essere raccontate e ascoltate. Ognuno di noi le racconta a modo suo e gli artisti hanno forse una più spiccata propensione a raccontarsi essendo magari più estroversi. L’idea di condividere con tutti la propria vita tramite una canzone penso abbia un significato solo se che la ascolta si relaziona ad essa. La canzone può diventare “tua amica” se ne accetti il ruolo di voce che riempie i silenzi delle giornate di ognuno, poi ovvio che se le canzoni sono dei sermoni sul senso della vita forse non puoi ascoltarle mentre sei in viaggio o mentre ti alleni. Quello che tutti cerchiamo, sopratutto oggi che il mondo va a mille, è qualcosa o qualcuno con cui relazionarsi e/o immedesimarsi perché ci fa sentire meno soli. Ogni bolla di vetro in cui viviamo più essere facilmente rotta dall’intimità di una canzone a cui ci sentiamo legati perché in quel momento “ci capisce” e vorremo subito condividerla. I problemi di tutti i giorni sono i problemi di tutti noi, e tutti noi siamo gli stessi che sono alla ricerca della soluzione al problema: sentirci accettati, meno solo, capiti, amati.
E come sempre torniamo in riga e grazie di cuore per esserti prestato alle domande velenose. Spero abbiamo dato lo spunto giusto per raccontare altro ancora. “Amare è così” è davvero un titolo importante. Ma la vita penso proprio sia “così”… io trovo che questo, per riallacciarmi alla domanda precedente, sia un disco di tutti noi. Sia un disco… “così”, com’è la vita. Da questo disco ho raccolto un messaggio di accettazione… che ne dici?
Grazie mille a voi per aver fatto queste domande. Peccato non si possa trascrivere le risate ma sappiate che mi sono fatto delle ghignate stupende con queste domande e se le avessimo fatte faccia a faccia mi sarei illuminato, quindi davvero grazie!
Credo che hai colto nel segno capendo che questo disco è un disco fatto per chi lo ascolta dando lo spunto per accettarsi. C’è tanta nostalgia di quando si era bambini perché, nel mio caso, è stata l’età più bella prima che le cose diventassero molto complicate. La verità su questo disco è che ho voluto parlare di amore perché volevo far trasparire tutto ciò che l’amore può curare. Come giustamente dici tu “la vita è così”: imprevedibile, piane di alti e bassi, lenta nei momenti brutti e troppo veloce in quelli belli. Ma se la vita è così dobbiamo imparare ad accettarlo e viverla appieno, senza farci fermare dalla paura del futuro. Grazie ancora per queste bellissime domande!