Roccia Ruvida: Jacopo Perosino
È vero quando Jacopo Perosino dice che trattiamo i cantautori come le vecchie cabine telefoniche senza più telefono. Ma mi fa tremare leggere anche da lui la terribile resa al paradosso della musica liquida. Ci siamo arresi al paradosso. “Estramenia” è un disco che meriterebbe tanto di più, intelligente, libero nelle forme, semplice e soprattutto credibile. Eppure è liquido, digitale o fisico che sia, liquido e inutilmente normale com’è (purtroppo) ovvio che sia. Perché continuate ad essere voi gli artefici di questo stesso male? Non lo capiremo mai… provateci a pensare invece di parlare a vanvera di filosofie dell’accettazione (che mi sembra una resa): ma se tutti smettessimo di regalarla la nostra musica, cambierebbe qualcosa? Io penso proprio di si…
Voce a Jacopo Perosino, cantautore astigiano anche figlio di una scena teatrale e che giunge ora al suo terzo disco di inediti nato anche con il contributo di NUOVOIMAIE. Voce ad un disco bello quanto basta per farmi capire che ancora vive qualcosa oltre Sanremo e la televisione dei talent…
Il cantautore… ma oggi che il futuro incombe, fare ancora il cantautore non trovi che sia totalmente inutile? Nel tempo della distrazione…
Totalmente inutile, sono d’accordo. Ma chi crea artigianalmente qualche fatto artistico lavora e crea sull’Inutile, proprio per non sottostare alla schiavitù dell’Utile, del profitto necessario come parametro. Nell’arte si ottiene spesso il minimo risultato con il più abnorme degli sforzi. Io adoro l’inutilità è scrivere canzoni mi riappacifica con tutto questo. E poi l’Uomo è affezionato alle cose che cedono alla vetustà: poco tempo addietro ho letto di una protesta per mantenere presenti, nella città, le cabine telefoniche anche vuote. Penso sia per un discorso affettivo: cosa c’è di più inutile delle cabine telefoniche nell’era del “telefono intelligente”? Trattiamo i cantautori come le vecchie cabine telefoniche, quelle senza più telefono.
Che poi tu fai anche critica sociale. Tutti fanno critica sociale. Eppure poi alla fine tutti aderiamo al sistema… non trovi che sia un controsenso?
Non conosco il sistema a cui fai riferimento ma se si tratta di un posto dove posso fare ricerca, studiare, scrivere canzoni ed essere pagato per questo (non tanto, il minimo per sopravvivere!) allora presentami questo sistema. In realtà io non conosco nessuno che fa critica sociale proprio perché sembra non vendere più nulla. Ritorna l’errore di associare l’arte con il mondo dell’utile. Un tempo così acritico e sonnolento non so se ci sia mai stato però mi pare di cogliere tutti gli ingredienti per un risveglio. A quel punto i cantautori critici potrebbero essere l’ultimo dei problemi.
E sempre restando sul tema: non trovi che nel fare tutti tutto, si crea solo rumore di fondo a cui ci facciamo l’abitudine? Come quello che passa tutti i giorni davanti al Colosseo tanto che non ci fa più caso?
Su questo, con me, sfondi una porta aperta. Io preferisco, da sempre, fare al massimo 2-3 cose, cercando di farle al meglio. Il rumore di fondo credo sia dato dalla bulimia di input che il nostro sistema non riesce a processare appieno. Questo, in campo musicale, ha portato a prodotti tutti uguali nel mainstream. In pratica una canzone sola, infinita. Questa domanda sarebbe carino farla ai Mangiafuoco della discografia (quello sì che è un bel sistema) così da sentire una delle solite risposte retoriche con supercazzola e scappellamento a destra.
E poi che senso ha pubblicare 5 brani soltanto? Che senso ha pubblicare solo in digitale sugli streaming service? Come a dire: lavoro, investo per regalare tutto alla fine? – Giusto per prevenire la tua risposta penso che una delle peggiori del nuovo secolo possa essere: se non fai così non esisti. Cosa ne pensi?
In primis mi verrebbe da dirti che nel mondo dei singoli “fuori ora”, delle playlist, del one-shot… Pubblicare un Ep di 5 brani è già un atto di coraggio. La realtà è che a me piace l’idea organica di un album, coerente per sonorità e contenuti, per lo stesso motivo per il quale mi piacciono più i libri dei tweet e i film rispetto alle serie tv. Ma il mio è un ragionamento anacronistico e ho imparato a conviverci. In questo caso si trattava di un lavoro che per me aveva un senso urgente ma un unicum nel mio progetto musicale, forse un ponte tra una prima parte della mia carriera e la direzione che sto cercando di prendere.
Devo però rettificare sul fatto della sola pubblicazione in digitale: il disco esiste anche in copia fisica in quanto requisito richiesto da Nuovo IMAIE che ci ha aiutati con un contributo a fondo perduto previsto da un bando 2023.
Per quanto riguarda i costi del lavoro di registrazione ormai accettiamo che sia un vuoto a perdere: i supporti non si vendono quasi più e le piattaforme liquidano una miseria. La musica registrata è regalata alla liquidità salvo poi “campare” con l’attività dal vivo e, per i più affermati, con ospitate, sponsorizzazioni, ecc. Ecchest’è!
Come sempre grazie per esserti prestato al gioco delle domande acide. Chiudiamo tornando sulla retta via. Questo nuovo Ep ha un titolo importante. Ragionandoci su penso che uscire dalla propria zona di confort non sia solo una sfida personale quanto proprio un concetto sociale, anzi politico quasi. Trovo che il disco sia tutto dentro questa parola, questo concetto… che ne pensi?
Ti ringrazio, hai colto appieno lo spirito del lavoro. I muri, sia fisici che metaforici, sono il vero filo rosso che lega queste cinque canzoni. La riflessione sulla quale mi soffermo però non riguarda l’abbattimento dei muri bensì la presa di coscienza di essi e piuttosto il riciclo di quelli esistenti per creare bellezza; come vedere il bello in una cicatrice, cogliere l’unicità umana attraverso i difetti. Tutt’al più si può valutare la stupidità di volerne costruire di nuovi, nuovi confini e nuove frontiere. Uscire dalla propria bolla significa accogliere con curiosità e senza diffidenza, con stupore e non con paura. Se devo pensare ad un messaggio che mi preme condividere con il mio lavoro, questo è sicuramente uno dei principali.