Roccia Ruvida: gli Unkle Kook

Sempre si traballa con moralismi facili davanti alla domanda di Spotify. Occuparsi di musica significa anche non svenderla come merce di scambio per la propria visibilità. Significa anche averne rispetto per il suo valore… ma questi sono tempi che mettono sempre in grande difficoltà. Al gioco ci stanno gli Unkle Kook, formazione bolognese che ci regala (come ormai si dice visto che tutto è gratis) il primo disco d’esordio “Coming in Bunches”. Si gioca ma non si scherza. Si fa dell’allegoria ma non c’è spazio per le fandonie. Il rock si inasprisce, dalla leggerezza del surf alla ricerca di suono psichedelico. È un disco anarchico, anomalo, privo di abitudine. E noi come sempre provochiamo…

Molti dicono che c’è un abuso di dischi e di artisti. Ormai tutti suonano. Ormai tutti fanno tutto. E quindi questo disco che contribuisce alla folla, dove e perché dovrebbe distinguersi?

La scelta di fare un disco di rock’n’roll, registrato su nastro, in presa diretta, strumentale, psichedelico e pubblicarlo nel 2023 è abbastanza coraggioso e così dovremmo esserci distinti…

E parliamo di Surf ma anche di beat e di rock e di tanto altro… ma tanto siete coscienti che se non c’è una bella donna nuda in un pop digitale pochi resisteranno dopo il primo minuto? A voler essere ottimisti…

Le donne nude nei video, nelle copertine e dentro le registrazioni digitali ci sono dappertutto. Noi preferiamo incontrarle in sala prove e si garantisce durata superiore al minuto.

Domanda delle domande: tutti su Spotify giusto? Tutti schiavi dell’esistere nel sistema. Eppure questo disco ha suoni e modi lontani dalle mode… insomma dov’è il trucco? Come si dipana questa incoerenza?

I concerti sono alla base della nostra musica. Lavorare in studio ci piace molto come processo creativo ma l’intento è quello di arricchire lo spettacolo e venderlo il più possibile. L’esistere del sistema? Roba da investitori inetti che spesso riempiono le orecchie di musichetta. Ovvio che per girare devi far girare in quel salvadanaio di pochi centesimi come Spotify. Che i colossi commerciali facciano quello che vogliono, noi preferiamo occuparci di musica.

Che poi l’ironia gioca un ruolo da padrone: come a dire che se le cose non si capiscono alla fine volevate solo scherzare?

Ironia certamente, ma non scherziamo. Al progetto ci lavoriamo sodo, molte prove, molta ricerca. Un cantiere continuo.

Come sempre chiudiamo abbassando l’ascia di guerra. E grazie per la vostra disponibilità. Davvero “Coming in Bunches” ha mille facce e forse la più importante è quella che sa di libertà e di fuga. Ho trovato questo disco liberatorio contro i rigori della comunicazione moderna. In questo senso assai sociale, un manifesto programmatico su quel che dovremmo fare un po’ tutti, cioè tornare ad usare la fantasia. Non so cosa ne pensate…

Diciamo che questo disco per noi sicuramente è stato liberatorio, rappresenta il nostro punto di partenza. Alla base del metodo compositivo del gruppo c’è una grande libertà, una voglia di anarchia e di assenza di giudizio, con la fiducia nel fatto che ogni idea può essere una buona idea, ogni argomento può essere utilizzato per costruire un dialogo arricchente e i cardini di questo tipo di comunicazione sono una grande energia ritmica, una pasta sonora densa e coesa ma non soverchiante, con in cima una melodia forte e chiara, che trascina dietro a sé tutto il resto. Brani brevi e ricchi, dove non si perde troppo tempo in preliminari o divagazioni, ma tutto fa parte della narrazione e trascina l’ascoltatore verso un mondo fantastico e surreale.

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