Roccia Ruvida: Francesco Lattanzi
Devo dire che queste risposte alte che trovo dentro la penna di Francesco Lattanzi, sono un degno spunto per le mie riflessioni. Ha ragione nel dire che le nuove normalità, il futuro, non deve per forza essere demonizzato… ma è pur vero, anzi lapalissiano, di quanto abbiano preso il posto di abitudini sane, codificando come normale certe pratiche sfacciatamente assurde. Andiamo oltre: perché oltre si deve andare in questo nuovo disco del cantautore romano dal titolo “Alla morte”, prezioso ricamo di classicismo d’autore. Tante influenze storiche nella sua vita, forse Battiato su tutte, e ora questo secondo disco che dista circa 10 anni dall’esordio. Di recente anche il bellissimo video di “Vincent le stelle”, il suo personalissimo omaggio a “Vincent” di Don Mc Lean. Andiamo oltre…
Il cantautore oggi. Di che vive? Come resiste? Un artista poi come te ampiamente ancorato allo stile classico. Vi fa così paura il futuro o non ci credete?
Pochi cantautori vivono (alcuni anche meritatamente) con tanto, molti cantautori, a stento sopravvivono (Ride). Le nuove generazioni di artisti, che di artistico non hanno nulla, sono strani personaggi costruiti a tavolino dal management di riferimento, che li propone perché in loro ha scoperto una qualche peculiarità che fa tendenza. Punto. Basta quello per avere seguito tra le nuove generazioni. La qualità musicale non è presa in considerazione, anzi è deleteria, il pubblico si sta abituando al torpore artistico, al piattume musicale. E un mediocre viene fatto passare per genio. Così stanno le cose oggi. E chi prova ad impegnarsi, e magari tira fuori anche un buon prodotto, si vede sbattere la porta in faccia dai manager proprio perché non è allineato a quel piattume musicale imperante. Non parlo ovviamente di me, su ciò che faccio io lascio esprimere gli altri. Dico però che, anche io, da utente, ascolto qua e là, e qualcosa di buono in giro c’è, ma viene soffocato da etichette, giornalisti del settore e manager, per i motivi che ho spiegato, cioè perché, semplicemente, non è….alla moda. Una situazione simile dovrebbe scoraggiare chi cerca di tirare fuori buoni prodotti. Io invece dico ai tanti che si impegnano di credere in quello che fanno e di provare a fare ogni giorno meglio di ciò che hanno fatto ieri. La perseveranza paga alla lunga.
Che poi lasciati dire che questa copertina non somiglia proprio al suo disco. Dal titolo alla grafica… come la gestiamo questa contraddizione?
Come una contraddizione appunto. Il gelato a forma di mappamondo che si sta sciogliendo è la metafora del disco, cioè dei valori che si perdono, che stanno morendo. Ma la civiltà dell’uomo ha dimostrato nei secoli che una resurrezione, una riumanizzazione, mi piace usare questo termine, è sempre possibile. Il disco sottintende anche questo. Non è la morte di tutto. E’ anche una possibilità di catarsi.
E poi la guerra, i rapporti, la vita… anche i tempi sono “vecchi” anzi classici. Mancanza di ispirazione?
Io ripartirei da gente come, per esempio , De André, secondo cui le problematiche umane sono sempre state le stesse e rimarranno le stesse fino a che la civiltà umana vivrà. Una cosa che mi interessava analizzare in questo disco era proprio il rapporto tra la gente, piuttosto che analizzare, diciamo, politicamente, l’attualità. Come ho fatto notare ad altri vostri colleghi, la classicità, il passato e l’antichità sono lì come una fiaccola. Ogni tanto dobbiamo fare ricorso a loro per ritrovarci. Chiediamoci perché si continuano a studiare nelle scuole Leopardi piuttosto che Tasso, perché sulla Voyager lanciata nello spazio nel 1977, nella speranza di contattare civiltà aliene abbiamo mandato Bach. Perché Leonardo e Botticelli sono gli autori dei quadri più “visti” al mondo. La classicità insegna e non ci abbandona, siamo noi che la stiamo abbandonando per inseguire le chimere di una finta arte. E tutto questo discorso può essere trasferito alla musica di oggi.
E dal suono poi? Batto molto sul piede del “futuro” proprio per capire se e come la musica cambia in ragione dell’evoluzione tecnica. E mi sorprende sempre trovare un artista che in qualche modo la evita…
Me lo hanno chiesto praticamente ad ogni intervista, e capisco lo sconcerto di trovarsi di fronte a suoni troppo “normali”, troppo “standard”. Ma come diceva una pubblicità di qualche anno fa – Noi siamo scienza, non fantascienza – . E’ stata una delle questioni più dibattute con Gianni Ferretti e Andrea Mattei (i due arrangiatori e curatori della parte armonica del disco). Siamo giunti alla conclusione forse più scontata, questi testi non avevano bisogno di suoni galattici. E alla classicità dei testi abbiamo affiancato la classicità dei suoni, clarinetto, fisarmonica, violino, percussioni eccetera. Niente suoni fotonici, niente sperimentazione, niente ricerca, o se vogliamo una ricerca di ciò che dal punto di vista delle sonorità, antiche, appunto, oggi quasi non esiste più.
E Spotify? Non posso non chiederlo anche a te. Ormai è diventata la domanda di rito. Tutti ci lamentiamo del lavoro che manca però poi il lavoro prodotto lo regaliamo agli streaming service. Perché?
Non dobbiamo pensare che tutto ciò che genera novità sia per forza di cose negativo. Il mondo va avanti. Anche se non ci piacciono determinate cose, se vogliamo essere competitivi dobbiamo, un minimo, adeguarci. Possiamo fare l’esempio dei social network, un uso eccessivo di Facebook o Instagram sicuramente, distoglie l’attenzione dal prodotto musicale, proprio perché da un certo punto in poi si punta alle visualizzazioni e ai like e non al messaggio che tramite i social si vuole proporre. Quindi usati nel giusto modo, questi megafoni possono tornare utili, perfino ad uno come me che non ha tanta dimestichezza con la tecnologia. La cosa sbagliata è credere, appunto che questi siano il centro attorno a cui ruota la comunicazione, dovrebbe essere invece la comunicazione che si serve del social network per lanciare un’idea, un messaggio, una riflessione, piuttosto che le foto ritoccate con photoshop.
Chiudiamo sempre tornando seri. Grazie di cuore per esserti prestato al veleno di queste domande. Sai che ho trovato questo disco di quell’intensità che pare proprio avere nel suo sangue l’urgenza di dire la sua. Esiste questa urgenza oppure è solo una mia sensazione?
È un po’ quello che dicevo nella domanda precedente. Ed è un’altra di quelle cose che dovrebbe costituire il fulcro del cantautorato moderno. Io con una canzone, un libro, un quadro, una scultura, ecc., sto proponendo il mio punto di vista su un dato argomento, sto cercando di raccontare una storia, sto dicendo fondamentalmente una cosa. Una sola. A cui magari fanno da corollario pochi “effetti di riempimento”. Che le gravitano attorno. Ma è un messaggio. Oggi ascoltando il 90% delle canzoni si ha la sensazione che si dicano un mucchio di banalità, sempre le stesse oltretutto, e che non esista nulla che sta al centro. Insomma tanta bella vernice sulla porta, che però è fatta di un legno scadente.