Quantità e qualità in musica: intervista a Giorgio Riccitelli
L’estate scorsa ho scritto qui il mio pensiero in relazione allo spinoso argomento del rapporto tra qualità e successo in musica e di come poter fare in modo che questi due aspetti vadano di pari passo, al contrario di ciò che sta succedendo oggi. Adesso, grazie a Giorgio Riccitelli, abbiamo la possibilità di approfondire il discorso con l’importante punto di vista di un operatore e appassionato che da tantissimi anni svolge, ad alto livello, attività di promozione musicale, management di artisti e organizzazione di concerti.
Giorgio ne ha viste tantissime e sa perfettamente come funzionano le cose, potendo vantare un curriculum ampio e a 360 gradi. La sua esperienza, infatti, va da Petrolio a Radar, dall’attuale collocazione nel gruppo All Things Live alla forte presenza in Dice, fino a RDR MGMT, nuova realtà di mgmt e label, scopritrice di nuovi talenti come STUDIO MURENA, RIP, BEATRICE GRANNO’, MÒN, ALICE ROBBER, ORUAM, CALZEENI e molti altri). Grazie alla sua disponibilità, ho ripreso, nelle domande, le tematiche su cui mi ero espresso nell’articolo, in modo che le sue risposte rendessero la trattazione più completa. Adesso, per merito di queste risposte, i lettori possono avere un quadra davvero dettagliato di tutta la situazione, che non è incoraggiante, ma che può migliorare, con le giuste scelte.
Si parla molto, ultimamente, di come gli addetti ai lavori scelgono i progetti musicali su cui puntare. Del resto, però, anche noi semplici ascoltatori facciamo delle scelte su chi ascoltare prima o con più attenzione, e sappiamo che, negli ultimi vent’anni, ci sono stati diversi cambiamenti nel modo in cui scegliamo. I cambiamenti sono stati altrettanto importanti anche per gli addetti ai lavori?
Il mondo per come lo conoscevamo (e amavamo) vent’anni fa è totalmente cambiato. Gli addetti ai lavori, dai discografici fino ai promoter di concerti, ci siamo ritrovati a navigare in un mercato totalmente in balia di tempistiche e dinamiche folli. Un overbooking di prodotti musicali, (e bada bene dico prodotti e non artisti ahimè), che sono difficilissimi da selezionare e gestire. Ovviamente nessuno ha imposto a nessuno di mettere sotto contratto centinaia / migliaia di artisti, ma è stata proprio una logica globale di puntare tutto sulla quantità, che ci ha portato a cascata in questa situazione delirante.
Noi appassionati sappiamo che un progetto musicale può essere promosso e seguito da varie entità: etichette discografiche, manager, uffici stampa, e certamente può aiutarlo anche l’inserimento nel roster di un buon organizzatore di concerti. Da persona che ci lavora, puoi spiegare meglio ai lettori il ruolo di ognuno, ed eventualmente come si sono evolute o si stanno evolvendo le dinamiche tra essi?
Anche in questo caso il mondo si è completamente capovolto. I ruoli e i rapporti sono in alcuni casi svuotati, dispersivi, anacronistici e spesso lontano da ogni logica di team. Ad un artista emergente che ha davvero talento sicuramente conviene accentrare diverse figure della filiera, almeno in una fase iniziale, per favorire così una crescita per step. Trovatevi un buon manager che crede in voi e un buon ufficio stampa, poi iniziate prima possibile a fare concerti e crearvi una fanbase organica e se le cose funzionano arriverà anche una buona etichetta. In questi anni troppi nuovi artisti, anche bravi, ho visto bruciati da queste dinamiche, annebbiati da anticipi apparentemente importanti e dal miraggio del successo tutto e subito, si sono ritrovati dopo un anno parcheggiati e impotenti.
Nell’articolo che ho scritto l’estate scorsa, parlo dell’importanza di tener conto del fatto che non tutti i prodotti musicali di qualità sono adatti a far presa su un pubblico ampio. Sei d’accordo?
Beh la qualità non è quasi mai sinonimo di pubblico ampio. Però è anche vero che se produci artisti a tavolino solo per inseguire i trend, poi non ti puoi lamentare se dopo un anno devi ricominciare da capo.
Parlando sempre di questo aspetto, che per me è importante, c’è l’idea molto diffusa, e alla quale anche io aderisco, secondo cui, negli anni Novanta, la missione di coniugare qualità e capacità di far presa sul pubblico è stata compiuta molto meglio rispetto al secolo in corso. Anche qui, ti chiedo se sei d’accordo.
Sono sicuramente d’accordo. C’era più spensieratezza e soprattutto non c’erano i famigerati algoritmi e i social a dettare legge, Un sano tam tam che nasceva dai concerti, produceva album che hanno fatto la storia e carriere lunghe, tutto il contrario del fast food a cui stiamo assistendo.
Sempre se sei d’accordo, a cosa può essere dovuto, secondo te, il progressivo scollamento tra qualità musicale e successo ottenuto? Secondo me, ai musicisti stessi sta mancando qualcosa. Nell’articolo scrivo che “la qualità musicale, da sola, non basta. Serve visione, serve unità di intenti, serve estrema convinzione nei propri mezzi”. Cosa ne pensi?
Sicuramente gli artisti negli ultimi anni si sono molto adagiati su quello che gli chiede il mercato e questo non può che portare ad un abbassamento della qualità. C’è pochissima sperimentazione, poca visione a scapito della produzione di musica in serie.
Un elemento evidente nella storia della musica italiana indipendente in questi ultimi decenni è quello linguistico: a un certo punto, sembrava obbligatorio dover cantare in inglese, poi è tornato prepotentemente l’italiano. Da operatore indipendente con una presenza costante come la tua, come hai vissuto questo aspetto?
Questo è un aspetto interessante. Negli anni 90 è vero che si cantava in inglese ma è anche vero che non si riusciva ad andare molto lontano. Con l’esplosione dell’italiano c’è stata sicuramente un evoluzione qualitativa, che in alcuni casi ha consentito anche di riprendere il discorso anglofono con maggiore maturità e padronanza. Mai come negli ultimi anni l’Italia è vista con molto interesse dai mercati internazionali, e non solo per l’effetto Maneskin.
Per molto tempo, si è sperato che la Rete desse sempre più possibilità alle singole persone di farsi una propria opinione, su qualunque argomento, non solo la musica, senza alcuna necessità di seguire una o più voci che fungessero da guida. A oggi, periodo in cui ormai è possibile ascoltare qualunque canzone in qualunque momento, pensi che il pubblico sia maturo per farsi delle opinioni proprie, o pensi invece che le voci autorevoli che educhino i gusti delle persone siano ancora importanti?
Le figure autorevoli servono sempre, quando hanno la giusta credibilità e competenza. Ora più che mai, visto l’appiattimento del web. Sicuramente sono cambiati i canali, mentre un tempo seguivamo le recensioni sui giornali cartacei, ora i trend musicali più importanti nascono soprattutto su tik tok, e ho detto tutto.
Sempre parlando di questo aspetto, è innegabile un deciso aumento delle voci che esprimono, cercando di farlo con autorevolezza, le proprie opinioni. Rimanendo sull’ambito musicale, c’è chi, come me, vede in questo fenomeno una dispersione che indebolisce la capacità di educare i gusti del pubblico, ma c’è chi, invece, la pensa diversamente. Tu da che parte stai?
Sicuramente come dicevo prima, la quantità non fa certo la qualità. Ma se si cercano buone dritte musicali consiglio sempre di andare a cercare all’estero piuttosto che in Italia, in cui resistono ancora pochissimi buoni divulgatori culturali, che spingono ancora la buona musica con passione e sincerità, come un titolare di negozio di vinili che consiglia con cura le ultime uscite, come fai tu, il mitico Fabio Nirta e Luca De Gennaro, tanto per citarne un paio.
In conclusione, tu hai una ricetta per provare a far riavvicinare qualità e successo? Oppure di ricette non ne esistono e, se si vuole ottenere questo risultato, bisogna semplicemente tener conto dei gusti attuali del pubblico e della diversa percezione che ha della musica, e agire di conseguenza?
La ricetta perfetta non esiste. Sicuramente la coerenza e la visione artistica, anche quando sembra la via sbagliata e sarebbe più facile cedere alla banalità. Non smettere mai di fare scouting e supportare sempre i veri talenti che suonano e compongono musica di qualità. Se si segue il mercato ciecamente, solo alla ricerca di numeri e views, per quanto mi riguarda non si va da nessuna parte.