Intervista – Smokin’ Velvet

Hanno da poco pubblicato il loro primo disco, “Jalapeño“, e noi non potevamo esimerci dall’incontrare il duo Smokin’ Velvet, progetto hip hop che ha esordito nella seconda parte del 2022 e che ha saputo, nel giro di poco tempo, tirare fuori dal cilindro un album denso, gagliardo e dotato dei giusti crismi per non finire nel dimenticatoio. Buona lettura!

Smokin Velvet, è un piacere potervi fare qualche domanda. Pubblicate dopo un paio di singoli il vostro disco di debutto “Jalapeño”: da dove partireste, per raccontare questo esordio?

(Dreabb) Le nostre strade si sono incrociate nel 2018, durante la frequentazione di un laboratorio rap di Hyst (Taiyo Yamanouchi), ci siamo rimasti simpatici fin dall’inizio. A un anno di distanza da quell’esperienza ricontattai Emanuele, avevo intenzione di proporgli di combinare qualcosa assieme.

Partiamo dall’inizio, però: come nasce il vostro rapporto con la musica? Regrediamo all’infanzia insieme, che aiuta sempre a comprendere come nascono i sogni…

(Dreabb) Mio padre è un appassionato di musica, sono cresciuto fin da bambino  ascoltando album dei generi più disparati, a partire dai classici (Beatles, Pink Floyd, Hendrix) fino al mondo della musica black e hip-hop, passando per l’elettronica, la fusion e molto altro. 

(Deep Sheet) Io ho iniziato con il pianoforte da piccolissimo, lo odiavo, ma mi ha davvero aiutato a creare la sensibilità che oggi mi permette di godere così tanto della musica. Poi dal walkmen con i Greatest Hits dei Queen, ai Dogo fortissimo nelle cuffiette dell’iPod Shuffle (che mi hanno fatto scoprire la disubbidienza in musica), alla Blue Struggle, all’hip hop americano, passando per Pino Daniele fino a qualsiasi cosa che mi faccia star bene le orecchie e il cervello.

E poi il vostro incontro, dal quale scaturisce il progetto “Smokin Velvet”: ricordate quel giorno? Cosa pensaste, appena conosciuti, l’uno dell’altro?

(Dreabb) Durante il primo giorno al laboratorio con Hyst, Emanuele (che non era ancora Deep Sheet) disse che non aveva mai registrato niente al microfono. Nel momento in cui registrò la sua prima strofa fu subito chiaro che c’era del talento, grezzo ma con un grande potenziale.

(Deep Sheet) Io ho da subito notato gli attributi e la convinzione di Dreabb, nonché il suo amore davvero viscerale per la musica. 

Tra l’altro, in pieno stile hip hop, praticate diverse attività oltre a quella dei musicisti, cosa che vi permette di curare a 360 gradi ogni aspetto della produzione estetica del progetto… Quali sono i riferimenti “grafici” e “musicali” del vostro metodo di lavoro? 

(Dreabb) Sui riferimenti musicali credo di attingere più a livello concettuale che pratico, non ho un metodo sempre uguale quando creo, né tantomeno cerco di rifarmi ad uno stile. Piuttosto, il lavoro che faccio è incanalare le mie influenze e le mie competenze a modo mio nella realizzazione di un’idea sonora.

(Deep Sheet) Per quanto risguarda i rifermenti estetici sono lo studio visuale e la passione per l’immagine. Detto così è noiosissimo (ride). Ma davvero, io nasco dall’hip hop, dai graffiti e dal fumetto; da lì poi è uno studio davvero costante per fare al meglio ciò che mi piace.

Il percorso che porta al disco è anche un percorso di scoperta, di consapevolezze personali. Ecco, cosa vi ha insegnato questo lavoro, in questi due anni di ricerca?

(Dreabb) Sicuramente ho imparato che per realizzare progetti di questo calibro non bisogna farsi prendere dalla fretta e aspettare il momento giusto, e allo stesso tempo che procrastinare va bene ma fino a un certo punto (ride).

(Deep Sheet) Mi ha insegnato davvero tantissimo. Ho finalmente capito il valore del mettersi in gioco, anche grazie e Dreabb e a chiunque abbia collaborato. O una cosa si fa o non si fa. Ovvio ho anche imparato quanto lavoro c’è dietro un prodotto come questo e la bellissima sensazione di collaborare con gente di talento.

C’è una traccia del disco alla quale vi sentite più legati? Una canzone che magari ha rappresentato per voi una sorta di “uscita” dalla comfort zone?

(Dreabb) Io sono particolarmente legato a “Lontano da qui”, un po’ perché è stata la prima che abbiamo realizzato e un po’ perché sono molto legato alla mia strofa, credo sia la più rappresentativa del mio percorso fino ad ora (oltre che essere l’unica parte in cui rappo nel disco).

(Deep Sheet) Per me “Neruda”. Una delle prime scritte. Mi ricordo ancora l’emozione che mi ha dato quel beat. Ci sono beat sicuramente più complessi in questo disco, più particolari, più significativi (Dreabb perdonami). Ma per me scriverci sopra è stato davvero come volare e ogni volta che la ricanto mi fa ritornare a quelle sensazioni e a quel periodo con un’intensità davvero speciale.

Perché avete deciso di dare al disco il titolo “Jalapeño”?

(Deep Sheet) Jalapeño è un concentrato di piccantezza in un involucro piccolo e all’apparenza innocuo, insomma un piccolo frutto incazzatissimo. Questo nome è uscito per caso a Dreabb in chat, nell’agosto del 2021, ci stavamo scervellando da un po, ma è la semplicità, l’istinto che premia sempre. 

Consigliateci un posto, un drink e un orario durante il quale ascoltare “Jalapeno”, il vostro disco d’esordio per La Rue Music. 

(Deep Sheet) Direi China Town a Milano e Negroni, verso il tramonto di giugno. Ovviamente accompagnato da cibo cinese piccante.

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