Intervista – Pintus
Francesco Pintus è un giovane cantautore che ha radici sparse un po’ in tutta Italia: cognome sardo, natali campani, infanzia calabrese prima di trasferirsi a Padova, da dove è partito (almeno, ufficialmente) il suo percorso da cantautore qualche mese fa.
Dopo “Fuori fase”, “Erisimo” (pubblicato giusto qualche settimana fa) è il secondo singolo del cantautore di stanza in Veneto, sempre prodotto da Fabio Grande e Pietro Paroletti: abbiamo fatto qualche domanda all’artista per saperne di più in merito al suo lavoro in studio e alla sua proposta.
Ciao Francesco, partiamo da te: come stai, e quanto ti senti cambiato da giugno, dopo il tuo esordio con “Fuori fase”.
Ciao a tutti, credo di star bene dai. Quanto sono cambiato penso riuscirò a capirlo solo tra un po’ di tempo, la parabola che ha iniziato l’uscita di Fuori fase è la stessa che ha portato all’uscita del nuovo brano e che ancora non so bene quando si chiuderà.
“Fuori Fase” racconta una visione di te che, in qualche modo, trova continuità anche in “Erisimo”. Qual’è, se esiste, il filo rosso che collega i brani?
Esiste, sono stati scritti nello stesso periodo e registrati nelle stesse settimane quindi le affinità sono inevitabili. Sono brani molto autobiografici, in cui però invece di limitarmi a raccontare le mie storie ne ho sempre cercato in un certo senso la morale, ammesso che ci sia. Il filo rosso è la mia condizione di vita di quell’anno in cui scrivevo queste canzoni (il 2019) ma che non è molto distante da quella attuale.
“Erisimo” è l’erba dei cantanti, come molti nostri lettori sapranno. Perché hai scelto proprio l’erisimo, come simbolo del tuo nuovo singolo?
Mi sembrava un espediente interessante e soprattutto realistico (ne faccio uso, come molti cantanti, perché la mia voce è sempre un su e giù) per descrivere una condizione più complessa, cioè quella di ostinarsi nel cercare soluzioni pratiche e razionali ai nostri problemi perché si fa fatica a vivere in uno stato di accettazione. Non voglio dire che l’erisimo sia inutile, ma spesso non è la soluzione, eppure, se ne abusa cercando sicurezze controllabili.
Quali sono le cose che lasciano Pintus “senza voce”? Quello che ti viene in mente!
Probabilmente la capacità, che spesso perdo, di osservarmi, prendere atto della mia condizione (dove sono, cosa faccio, come vivo) e conviverci serenamente.
Che rapporto hai con il Pintus che sale sul palco? C’è chi “on stage” vive spesso uno sdoppiamento, rispetto alla propria natura “quotidiana”. Cosa libera in te l’esperienza live?
Questa è una storia mutevole dal mio punto di vista: anche sul palco cambi come cambi nella vita (che poi la differenza spesso è sottile). Negli anni passati sui palchi sono cambiato e cambio tuttora molto, da un lato cercando la mia dimensione personale che non mi costringa a mettermi una maschera, dall’altro portando avanti la mia visione di musica senza lasciarmi frenare dalle presunte aspettative altrui.
È un processo lunghissimo che non so se avrà mai una fine, ma ha piuttosto dei micro-obiettivi, il mio per ora è sentirmi a mio agio completamente, quindi per rispondere alla domanda: essere totalmente me stesso.
Tra l’altro, sei reduce da date in giro per lo Stivale. Ci fai un resoconto delle sensazioni del tuo tour?
Sì, sono reduce ma in realtà non mi sono ancora mai fermato e dubito lo farò a breve. La prima sensazione è stata la sorpresa, nessuno si sarebbe aspettato di tornare sui palchi così presto e con questa frequenza. Ma la verità è che tutti, musicisti e pubblico, avevano così voglia che i concerti tornassero ad essere quotidianità al punto tale che delle volte si è respirata persino una sensazione di normalità, quella sconosciuta.
Bene, ora quali sono i prossimi passi? Ci aspetta un disco?
Adesso continuerò a suonare sempre il più possibile (per me la dimensione live vale tutto, non troverei altrimenti stimoli per fare il resto), in primavera poi uscirà un disco, si. Saranno nove tracce (tra cui i due singoli già usciti) che porterò live tutta l’estate insieme ad altri pezzi precedenti e nuovi inediti.