Intervista – Opera
In occasione dell’uscita del suo disco d’esordio, abbiamo scambiato qualche chiacchiera con Opera, artista dotato di una propria precisa poetica che ha avuto modo di descriverci con efficacia, e che possa
Benvenuto su Indieroccia, Opera. Allora, il disco d’esordio non si scorda mai. Che cosa ti porterai dentro, di queste nove tracce? C’è una fotografia su tutte che senti dentro?
Ciao! È un piacere. Sicuramente dentro di me porterò il duro lavoro che ho fatto per generarlo. Questa è una cosa da non dimenticarsi mai. Conciliare lavoro full-time e trasferte in studio e allo stesso tempo dedicarsi con tutte le tue forze ad una passione, studiare, migliorarsi, dopo qualche anno ti logora in qualche modo. Per questo motivo non dimenticarsi quanto tempo e forza hai messo nelle cose aiuta a ricordarti in futuro il motivo per cui continui a crederci.
Ricordi quando hai cominciato? Come ti sei avvicinato alla musica?
Era un pomeriggio d’estate e avevo 13 anni. Stavo casualmente ascoltando una radio americana. A un certo punta, suona “Changes” di Tupac e sono rimasto folgorato dal ritmo e dalla musica. Un aneddoto molto interessante riguarda il fatto che rimasi molto colpito dalla parte melodica del cantante, Talent, piuttosto che dalla parte rappata. Credo che questo fatto abbia influenzato poi i brani che faccio. La mia prima canzone era dedicata ai miei amici, ma non me la ricordo per niente ahah!
E poi arriva Strongvilla. Si respira una certa aria di “Famiglia”, a leggere i post sui social della tua label. E’ così?
Devo tantissimo a Strongvilla. Quello che leggi sotto ai post è tutto vero. C’è una differenza d’età fra me e la maggior parte dei suoi componenti, quindi negli ultimi due anni ho potuto imparare molto da loro. Inoltre vivono tutti assieme, quindi l’aria di famiglia è quasi obbligata! Sai, condividiamo tutti la passione della musica, dell’organizzazione degli eventi, di attività artistiche. È un team che si da davvero tanto da fare in queste attività, dunque se dovesse mancare una certa affinità si lavorerebbe molto male. La prova concreta che Strongvilla è una realtà indipendente che funziona a tutti gli effetti.
Tra l’altro, il rapporto con i tuoi produttori Virgo e Kuma19 sembra essere diventato nel tempo piuttosto “viscerale”. Segno, insomma, che nel lavorare insieme si sia creata una sinergia speciale tra le parti. Quanto conta, oggi, la figura del produttore? Anche qui, sembra che spesso la canzone venga “dopo”, e che basti la mano di un buon producer per “limitare” i danni di un pezzo scritto non benissimo…
Per carità! Diamo al produttore ciò che merita, nulla di più, nulla di meno. Agli albori dell’Hip Hop ad esempio la figura del produttore era fondamentale. Negli anni questa cosa è andata a scemare e il cantante si è preso tutti i meriti. La cosa più sbagliata a questo mondo. Fortunatamente la figura del produttore è tornata alla ribalta negli ultimi tempi, basti pensare a Mace, The Night Skinny, Charlie Charles, Dardust ecc… I produttori devono però saper lavorare con le persone che hanno di fianco, capirne le loro esigenze e motivazioni. Quando questa affinità esiste, allora anche la musica esiste. Purtroppo, riprendendo la tua domanda, esistono ancora degli esempi in cui “chi lavora alle macchine” si prodiga per far suonare un brano che altrimenti non avrebbe senso compiuto da solo. E questo è un peccato.
E qui arriviamo al claim “L’arte prima”, che negli ultimi giorni abbiamo ritrovato prima su un Manifesto e poi, oggi, come titolo del tuo debutto. Parlaci se ti va di entrambe le cose, e della relazione che intercorre fra le due.
Viviamo in una società povera di ideali, di distruzione dell’essere. L’arte a mio avviso è l’unica cosa bella che l’uomo ingenuo riesce ancora a creare. Riconosciuto questo fatto, l’arte va “messa prima” di tutto il resto. Quando dico “tutto il resto” mi riferisco a inutili distrazioni che non sono importanti tanto quanto l’opera d’arte. Nell’ultimo periodo, sempre più spesso, capita che l’artista anteponga i propri interessi, il proprio ego, le proprie certificazioni alla genuinità dell’opera. Io lavoro nell’ambito musicale, e i traguardi mi interessano, ma non devono diventare il motivo che spinge alla creazione. Nel processo creativo abbiamo l’artista, l’opera d’arte e il pubblico. Non sono in ordine d’importanza, sono semplicemente in ordine di funzione, tutte le parti dovrebbero prendersi cura l’una dell’altro. Invece viviamo in un sistema che sembra voler mettere su un piedistallo l’artista a scapito di tutto il resto.
Concentriamo la nostra attenzione sul bello, sulla condivisione, sulle emozioni che scaturiscono dal dare vita alle cose. Questa è una sintesi di ciò che enuncia il manifesto. L’abbiamo scritto e poi stampato per mano dall’artigiano Francesco Testi mentre Edoardo Setti che ha diretto il video di “Gazza di Monet” ne ha documentato la reazlizzazione. Il disco sostanzialmente riprende questa linea di pensiero soffermandosi sui valori, sulle emozioni che al giorno d’oggi sembrano andate perse.
In che modo le nove tracce del tuo disco d’esordio mettono “l’arte prima”? Spiegaci per bene questo concetto, che troviamo essere centrale di tutta la tua poetica.
In questo disco il riferimento all’arte è a 360 gradi. Nelle canzoni tratto temi ormai finiti in fondo al mare, nell’ “Intro” leggiamo il manifesto e anche la copertina parla chiaro. Tommaso Barbato che ha curato l’artwork si è preoccupato di illustrare la semplicità di un mio ricordo d’infanzia: una bottiglia di vetro che usavo da bambino a casa di mia nonna per bere lo sciroppo alla menta. Non solo. Anche i titoli dei brani riportano chiari riferimenti al mondo artistico o al processo creativo. Basti pensare a “Prova 3”. C’è però una distinzione da fare. Il disco e il manifesto dell’arte prima sono due cose che viaggiano in parallelo. Il disco è la messa in pratica di tutti gli ideali espressi nel manifesto dell’arte prima, come se ne fosse il primo esperimento.
Uno dei tuoi brani, “Sono ancora un bimbo”, riesce a fondere insieme la tua venatura hip hop con un impianto di matrice quasi “blues”. Ma tu in che cosa ti senti ancora un bambino, oggi? E in cosa invece credi di aver perso quell’ingenuità necessaria a non invecchiare mai?
Mi sento ancora curioso come un bambino. La necessità di scoprire cose nuove che ti regalano altrettante nuove emozioni è secondo me la cosa più bella del mondo. Diventi imprevedibile, persino a te stesso. Ti rendi conto di esserti lasciato trasportare dalla tua curiosità in situazioni che mai avresti pensato di vivere. È come un abbandono alla vera natura dell’uomo, quella della ricerca costante di risposte, che a volte arrivano e a volte no. È però una ricerca che ti porta in posti mozzafiato e talvolta inaspettati.
Come ho appena detto lasciarsi andare è una libertà assurda, ma non sempre lo puoi fare. Crescendo perdi questa libertà. Ti ritrovi ad essere più responsabile e limitato dalla vita di tutti i giorni. La vita però non deve diventare un limite, ma un’esperienza da godersi appieno. E su questo ci sto lavorando molto.
E’ molto bella anche la metafora di “Vestiti”… raccontala ai nostri lettori, se ti va.
Gli indumenti sono una metafora, racconto di confessioni e ricordi sinceri, onesti. Come se mi mettessi a nudo. C’è anche un riferimento, ai vestiti che indossiamo e dietro ai quali ci nascondiamo. Molte volte pensiamo che siano proprio questi oggetti a raccontare agli altri ciò che siamo.
Bene Opera, il nostro tempo insieme giunge a conclusione. Salutaci, ma dacci un appuntamento utile a conoscerci, per davvero!
È stato un piacere. Possiamo vederci quando volete insieme ai ragazzi di Strongvilla per scambiare due chiacchiere sul manifesto dell’Arte Prima insieme! A presto.