Intervista: Foggy
Abbiamo sentito Francesco “Foggy” Pintaudi, palermitano di stanza a Lisbona.
Dopo aver suonato per anni con Nicolò Carnesi si trasferisce prima a Berlino e poi in Portogallo.
Il suo primo album a parte essere ricchissimo musicalmente mescola tre lingue insieme (Inglese, portoghese e italiano).
La curiosità è tanta e gli abbiamo chiesto un po’ di notizie in più.

IR: Un progetto a tre lingue (visto che ci metti volentieri il dialetto diciamo quattro) non mi è mai capitato: spiegami la scelta
F: In realtà non è mai stata una scelta, probabilmente il fatto di vivere fuori l’Italia da anni mi ha portato a conoscere meglio nuove culture, e in maniera spontanea ho iniziato a scoprire anche nuovi modi di scrivere rispetto il solo italiano, come facevo prima.
Mi sono accorto nel tempo che avevo raggruppato varie canzoni in diverse lingue senza pensarci troppo, anche col dialetto, per me insolito nonostante io sia Palermitano, è nato il brano “Benzina” quasi per gioco.
Spesso canticchio nella mente dei versi o delle melodie che poi diventano canzoni. A Lisbona, dove vivo, mischiare Portoghese, Italiano e Inglese è la quotidianità.
Spesso mi crea della confusione che magari si riversa nella musica che faccio, ma anche se l’italiano rimane la lingua più facile per me, non potrei fare a meno di continuare a scrivere e ascoltare musica in diverse lingue.
IR: Hai vissuto a Berlino: quanto ti ha influenzato musicalmente?
F: Credo che Berlino sia stata un’esperienza così forte che ha influenzato la mia vita su tanti aspetti, sopratutto se non avessi vissuto a Berlino sicuramente non mi troverei oggi a Lisbona.
Quell’anno e mezzo vicino Maybachufer, lavoravo tanto in un Ristorante e non ho praticamente suonato, ma la cultura underground della città e i luoghi che a volte frequentavo mi hanno introdotto, forse inconsciamente, al mondo dell’elettronica.
Anche se ho iniziato a giocare con Drum machine e Sequencer alcuni anni dopo, Berlino ha segnato una fase importante della mia vita. Oggi dopo anni, vedendo tutto da una prospettiva diversa, mi sento fortunato ad aver vissuto li, nonostante il grande freddo e la percezione di vivere in alcuni casi dentro Trainspotting.
Nella musica la caratteristica che più mi piace è sicuramente il minimalismo.
IR: In un’intervista a Nicolò Carnesi, all’esordio, egli mi confessò che più che dei cantautori era appassionato di musica elettronica. Anche per te vale lo stesso?
F: Per me è stato l’esatto opposto, ho iniziato ascoltanto cantautori in casa, su tutti Lucio Battisti.
Sin dall’ adolescenza ho ascoltato di tutto tranne elettronica, e neanche sono il tipo di persona che balla, paradossale.
Forse il primo approccio è arrivato con “Play” di Moby nel ’99, ma come dicevo prima questa svolta è avvenuta probabilmente a Berlino, unita dall’esigenza di poter suonare anche da solo tanti arrangiamenti senza bisogno di una band.
Dopo aver visto per giorni Live-Set di Nicolas Jaar e Acid Arab su YouTube, decisi circa 4 anni fa di comprare la prima Drum Machine, e da li ho iniziato a sperimentare cose nuove per me.
Oggi probabilmente l’80% della musica che ascolto rientra nell’elettronica.
IR: Lo stile di ogni brano è arrivato insieme ai testi?
F: A volte si, altre volte è il contrario. In alcuni casi, dipende dall’ispirazione del momento, o scrivo delle frasi e pensieri che ho in mente, oppure faccio una jam session con me stesso finchè poi non creo e registro qualcosa di nuovo.
Spesso poi ritrovo testi o basi create di getto e mi diverto ad unirle fino ad arrivare alla combinazione che ritengo migliore.
Nel caso del mio primo disco, tutti i brani sono legati da una storia, dei personaggi o delle conversazioni più o meno reali avute negli ultimi anni a Lisbona.
IR: I brani sono tutti dello stesso periodo o c’è n’è qualcuno composto durante le registrazioni?
F: Tutti i brani sono stati registrati nella mia stanzetta “Home Studio”, dove ho la possibilità e la fortuna di poter fare musica.
Quasi tutti sono stati registrati negli ultimi 3-4 anni, ad eccezione di “Souvenir” e “Un elemento del paesaggio”, scritti diversi anni fa e in questo disco sono arrivati col tempo alla loro versione definitiva.
Tutto il resto proviene da quello che ho vissuto negli ultimi anni, i fattori esterni e il mio modo di metabolizzarli sono la fonte di ispirazione maggiore per riuscire a scrivere qualcosa e sentirmi coerente.
IR: Quale brano è stato più ostico da concludere?
F: Il brano più ostico sicuramente “Paraiso ou Inferno”, c’è troppa emotività dietro questa canzone ma ci tenevo ad averla nel disco perchè era il mio umile modo di omaggiare e ricordare un amico venuto a mancare nel 2020.
Sono convinto che lui apprezzerà, anche se non so bene quando troverò il coraggio di suonarlo dal vivo.
IR: Stai ascoltando qualcosa in particolare in questo periodo?
F: Una recente scoperta è stato il produttore giapponese Shinichi Atobe che in queste ultime settimane mi ha tenuto compagnia con la sua elegante elettronica. Altra grande scoperta Róisín Murphy col suo Ep di cover italiane “Mi Senti”.
Per il resto ho sempre dei pilastri che appartengono alla mia Comfort Zone, negli ultimi tempi sempre più musica elettronica ma sto anche esplorando dei cantautori Portoghesi (Zeca Afonso, B Fachada), tanta musica Brasiliana (Jorge Ben Jor), e tantissima musica Francese (Paradis, Johan Papaconstantino).
Se siete curiosi date un ascolto.
Grazie per il tempo che mi avete dedicato e buona musica!
IR: grazie a te!