Intervista – Dena Barrett

Due singoli all’attivo e una forte identità che si fa strada attraverso la proposta artistica di una band formata da anni di gavetta e di ricerca poetica: i Dena Barrett sono quel nome che tornerà a rimbalzarvi nelle orecchie nei prossimi mesi, ma che potete già provare ad imparare a memoria per non farvi trovare impreparati all’appuntamento con la storia – almeno, la loro, che intanto si sta facendo a colpi di qualità e distorsioni giuste. Dopo “Halloween”, “Vorrei farmi esplodere la faccia” è il secondo singolo estratto dal disco d’esordio della band, che fra poco vedrà la luce.

Vi abbiamo scoperti con lo scorso singolo e non potevamo che innamorarci di voi. In “Halloween” cercavate l’elemento “anarchico” della festa, qui caricate l’esplosivo. C’è una connessione fra i brani fin qui pubblicati?

Una connessione c’è – non solo con questi due brani, ma con tutto l’intero disco – ed è quella di esplorare un disagio. Il senso di inadeguatezza che nasce quando non ci sentiamo bene in un luogo, in un corpo o in una situazione è sicuramente un argomento che ci interessa. Entrambi questi nostri due singoli raccontano questa sensazione, con sfumature molto diverse.

Come nascono i Dena Barrett, e a che cosa devono il loro nome d’arte?

Nasciamo a Viareggio a fine 2019, quando Io (Tommaso) ed Elia, abbiamo deciso di scrivere insieme. A noi si sono aggiunti Michel e Marco e da lì abbiamo cercato un nome adatto per una band. L’idea di utilizzare un nome e un cognome ci è sempre piaciuta, così abbiamo cercato un po’ e alla fine abbiamo scelto Dena Barrett, anche per omaggiare Sigourney Weaver in Ghostbusters uno dei film preferiti da tutti e quattro. 

Nel brano, le chitarre esplodono con fragore su un testo che sembra quasi alludere alla necessità di far detonare il mondo per poterlo ricostruire. E’ così? Cosa racconta “Vorrei farmi esplodere la faccia”?

Racconta la voglia di liberarsi da qualcosa che ci ha tenuti intrappolati in un corpo e in una mente che non era la nostra. Per rendere l’idea ancora più forte ci siamo affidati alla parte visiva del brano, grazie al visual realizzato dai ragazzi di Mindbox. È una canzone urlata, con solo basso e batteria per tutta la prima parte e volevamo rendere questa idea dell’essenziale e del crudo lavorando sul corpo. Un corpo immerso nel buio dello sfondo, immobile per i primi secondi e poi frenetico e agitato. Abbiamo voluto integrare l’immaginario della canzone con alcuni richiami al film Memento di Christopher Nolan, in primis la citazione dello scriversi addosso. Per noi è la metafora giusta del volersi cancellare, l’eterna lotta tra quello che sentiamo dentro e quello che sembriamo fuori.

Quali sono stati gli ascolti che maggiormente hanno influenzato la vostra produzione artistica? Perché si avverte non solo l’impronta rock, ma anche i richiami alla canzone d’autore…

Dal punto di vista delle influenze musicali c’è sicuramente una bel “pentolone di roba”. L’ attitudine generale sicuramente è anni90, in quanto, essi rappresentano il decennio delle band sia a livello internazionale che nazionale. È un’epoca che ci ha ispirato e continua a farlo. Sicuramente essendo una band con una forte vena cantautorale, l’attenzione verso tutto il “nuovo” cantautorato è molto viva. Citando solo alcuni artisti di riferimento a livello nazionale non possiamo non nominare Pierpaolo Capovilla, Vasco Brondi, Zen Circus e Giovanni Truppi.

Se doveste collegare il brano con un film, quale scegliereste?

Visto che Memento lo abbiamo già citato per il visual, dobbiamo sicuramente scegliere un film splatter… quindi: Gli schizzacervelli di Peter Jackson.

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