Interview: Stefano Bruno
Per le strade del cielo è l’album d’esordio di Stefano Bruno, cantautore milanese classe 1990 con alle spalle varie esperienze musicali, sia da solista che in una band.
Per la creazione dei suoi pezzi, Stefano Bruno si ispira ai grandi nomi del cantautorato italiano, come Battisti e Modugno, ma anche ai miti del rock britannico, come i Pink Floyd e David Bowie, dando vita ad un connubio di generi che rende il disco “intimo e al tempo stesso sfacciatamente pop”.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere col cantautore per saperne qualcosa di più.
1. Ciao Stefano e benvenuto su Indie-Roccia. Cominciamo dalle presentazioni: chi è Stefano Bruno?
Bella domanda, vorrei tanto saperlo anch’io, per non fare scena muta o arrampicarmi sugli specchi ogni volta. A volte mi guardo allo specchio e mi sembra di guardare dentro un baratro. Non so chi sono, non so nulla. Ho sempre avuto sete di risposte, ma ho sempre trovato altri interrogativi…
Stefano Bruno è un sognatore malinconico dall’anima inquieta, che ama la natura selvaggia e sconfinata, la tranquillità e i tramonti sul mare. È uno che per ripiego lavora come salumiere in un supermercato. È un cane sciolto che non ha legami né un posto fisso nel mondo. In fin dei conti Bruno è un cognome-colore che descrive il mio lato cupo. È una tonalità del rosso, che ha una natura passionale. Tendente al nero. Un colore scuro ma lucente.
2. Quando è stato che ti sei avvicinato alla musica e come è nato in te il bisogno di portare avanti un tuo personale progetto artistico?
Ormai sono passati dieci anni. Mi ero diplomato da poco e sono uscito allo scoperto perché mi piaceva una ragazza. Le dedicavo su YouTube delle cover stonate di Battisti ma non è andata come speravo. Così dopo alcuni tentativi mi sono arreso. Il sentimento per lei è passato ma la passione per la musica no, quella è rimasta e non mi ha mai abbandonato.
3. Uno dei brani contenuti nell’album Per le strade del cielo è Aquila, cover dell’omonimo brano del grande Battisti. Perché questa scelta? Cosa rappresentano per te Battisti e quel pezzo in particolare?
Prima di tutto perché è un brano che mi piace. L’avevo cantatonel 2019 in occasione del Premio Poggio Bustone. Cantare a Rieti, nelle terre di Lucio Battisti, in quella piazza e per quella gente, perseguitati dal terremoto, è stato uno dei momenti più belli ed emozionanti della mia limitata esperienza. Fosse stato per me avrei fatto un intero concerto sul repertorio di Lucio ma avevo solo una cartuccia a disposizione, così ho preferito dare eco a un brano meno famoso, che non vuol dire che sia meno bello. Ho deciso di riadattarlo in una versione più elettronica e moderna ispirandomi ai Radiohead e a David Bowie, aggiungendo altre linee vocali. E dato che mi ha portato bene, ho deciso di inserirla nell’album.
Su Battisti che dire? È uno dei miei riferimenti musicali. La sua musica ha influito molto sul mio percorso artistico, umano e musicale. Era un tipo schivo e riservato, sensibile ma sapeva essere anche esilarante e ironico. Come ho detto prima, ho iniziato con le sue canzoni che mi aiutavano a capire di più su di me, sulle mie emozioni e ad “ubriacarmi di fiducia per uscire finalmente fuori” dal mio guscio. Anche la scelta di far uscire l’album il 29 settembre non è stata casuale.
4. Tra tutti i brani dell’album Per le strade del cielo, qual è quello di cui vai più fiero e perché?
Ti lascio stare per le strade del cielo. È il brano che mi fa pensare a ciò che ero, da dove sono partito, ai primi passi e agli inizi. È stato il primo brano del disco ad essere scritto, ma quello che ha richiesto più tempo e lavoro in fase di produzione, proprio perché non avevo abbastanza esperienza e consapevolezza. Quello che mi ha fatto capire che una canzone scritta non esiste finché non viene arrangiata, prodotta e registrata. È solo allora che il pezzo esiste. Quando il sound ti soddisfa appieno da renderti felice come un bambino.
5. Parlaci un po’ del tuo processo creativo. Come nasce un pezzo di Stefano Bruno? Parti dai testi, dalle melodie o preferisci improvvisare?
Per quanto riguarda l’idea di base non esiste una regola fissa.Il più delle volte arriva prima la musica. Altre volte arriva prima il testo. Ci sono volte invece, in cui musica e testo arrivano insieme. I miei brani nascono quasi sempre da una frase, da una storia o da un motivetto che mi frulla in testa. Preferisco camminare piuttosto che stare seduto ad una scrivania. L’ispirazione arriva quando vuole, soprattutto nei momenti scomodi o quando meno me l’aspetto. Mentre guido, mentre lavoro, sulla metro, a un concerto o mentre dormo. Bisogna catturare l’idea prima che svanisca, così registro un audio. Poi in un secondo momento mi rinchiudo per lavorare sull’arrangiamento e portare fuori dalla mia testa la canzone vestita. È questo il momento più affascinante e stimolante ma in certe fasi anche quello più complicato e snervante.
6. Quali sono i pro e i contro dell’essere un cantautore emergente in Italia nel 2020?
Parto dai contro che mi riesce più facile visto che ce ne sono molti di più… Essere solo un cantautore è difficile e quasi sempre non basta. Sei costretto a fare più cose e questo può essere un bene se fai qualcosa che alimenta e dà linfa al tuo mondo, alla tua passione o un male se diventa un ripiego o una deviazione forzata che ruba energie e ti fa perdere soltanto tempo allontanandoti dall’unica cosa che conta e da quello che sei davvero.
7. Qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri?
Quello che più mi manca è suonare dal vivo.
Ma in questo momento, visto che fare live o uno showcase è pressoché impossibile,
continuerò a lavorare alla promozione dell’album. Girerò il video di un altro brano e mi dedicherò allo studio e alle produzioni. Mi piacerebbe lavorare insieme ad altri artisti e autori, scrivendo non solo per me ma anche per altre persone, magari per una voce femminile.