Interview: Seddy Mellory
Tra i miei dischi gettonati di questo inizio 2016 c’è sicuramente Urban Cream Empire dei bresciani Seddy Mellory. Un giro incendiario sulle montagne russe del rock n roll, con un vagoncino pilotato da gente tipo Kiss, MC5, The Sonics o Hellacopters. I Seddy la lezione l’hanno imparata da Dio e ci mettono personalità, passione, melodie pazzesche e magliette fradicie di sudore: impossibile non venire conquistati da un sound che guarda tanto al garage-punk quanto a scintillanti bagliori glam-rock. Potevamo lasciarci scappare l’occasione di una chiacchierata con loro? Non sia mai…
Ciao ragazzi come state? Siete impegnati a preparare i nuovi live che arriveranno dopo l’uscita del disco?
Ciao Indie Roccia. Diciamo che siamo impegnati a cercare di stipare tutti gli strumenti sul furgone. Il tour parte ufficialmente oggi. Il live è pronto e incendiario, anche grazie alla manciata di date di warm up che abbiamo fatto in autunno.
Allora, com’è avere tra le mani questo prodotto finito e sapere che tra un po’ arriveranno le prime recensioni e i primi commenti dei fan?
Questo disco ha avuto una gestazione assurda. Scritto in meno di dieci giorni e registrato in sette giorni. Tutto molto spontaneo e veloce. Poi sono iniziati una serie di problemi infiniti che non voglio ricordare. Ora semplicemente averlo tra le mani è una gioia immensa. L’artwork sulle dimensioni del vinile rende un sacco ed è accattivante, invoglia all’acquisto. Il disco è ruvido ed è pieno di ottimi pezzi. Siamo curiosi delle reazioni ma allo stesso tempo nessuna critica può scalfire la nostra convinzione che per noi è un gran disco.
Partiamo dalla copertina: pazzesca. Una vera e propria collezione di eroi che, bene o male/più o meno, hanno però tutti l’anima rock e hanno significato qualcosa d’importante nel loro campo o sbaglio?
Il nostro immaginario sta nella New York del punk old school, proprio quello squarcio di America che in questi giorni la serie tv vinyl sta facendo conoscere al grande pubblico. I New York Dolls e quella vibrazione di strada che ha fatto scuola ma anche l’immaginario delle gangs metropolitane. L’artwork prende spunto dalla locandina del film “I guerrieri della notte”, ma al posto dei vari teppistelli agguerriti ci sono decine di personaggi che hanno segnato la storia e la nostra esistenza in ogni campo artistico e non. Lì c’è il mondo che abbiamo imparato ad amare da quando siamo bambini ad oggi, lì c’è gente che conta in varie discipline, lì c’è l’impero della crema urbana.
Posso dire che rispetto a Fake As Your Mom’s Orgasm avete decisamente schiacciato il piede sull’accelleratore in questo caso? Una produzione asciutta e incendiaria che predilige chitarre settantiane e corettoni da mandare a memoria. Se nel precedente disco c’erano momenti per respirare, beh, qui stiamo sempre sulle montagne russe a tutta birra. Che ne pensi?
Verissimo. Ogni disco è figlio di tantissime variabili. Fake As Your Mom’s Orgasm era stato studiato per essere registrato a Stoccolma insieme a membri di Hellacopters, Datsuns e Backyard Babies. Avevamo fatto delle preproduzioni super certosine per arrivare in Svezia pronti a spaccare il culo. Quando poi l’ipotesi Stoccolma è decaduta per un incrocio di sfortune inenarrabile, abbiamo dato in mano il lavoro a Marco Franzoni (Blue Femme Studio) e Dade Mahony affidando in toto a loro le scelte artistiche. Quel disco è meno immediato ma regge benissimo il confronto con il tempo. Gli arrangiamenti lo hanno sicuramente livellato dal punto di vista della rabbia ma gli hanno donato uno spessore che tutt’ora reputo fantastico.
Urban Cream Empire nasce in modo totalmente diverso. Le canzoni sono venute fuori da sole, una dietro l’altra, in ossequio ad un’urgenza creativa totalmente spontanea. La stessa urgenza creativa ci ha obbligato ad entrare in studio (questa volta al Red Carpet di Lorenzo Caperchi), girare la manopola del volume al massimo e darci dentro in modalità quasi live. Il fatto che poi il supporto finale sia il caro e vecchio vinile accentua di molto la spontaneità e l’urgenza del risultato finale.
L’approccio al lavoro e alle registrazioni per voi è lo stesso da sempre o è cambiato nel corso degli anni?
Gli ultimi tre lavori dei Seddy Mellory – l’ep Looking for the wild pialla in the club copula, Fake as your mom’s orgasm e Urban Cream Empire – sono una sorta di trilogia in cui la band ha voluto riscoprire e fare proprie le dinamiche di oltre quarant’anni di rock n roll. Club Copula era ispirato profondamente agli ACDC, e quindi, per quanto ruggente, il mix voleva essere molto ordinato, batteria e basso centrali ben in evidenza e chitarre pannate a destra e sinistra in giochi e incastri tipici del boogie rock anni ’70. In Fake as your mom’s orgasm, la lancetta si è spostata sugli Stones dei 70s immergendoli in una produzione molto ’90s. Urban Cream Empire chiude il cerchio tornando all’immediatezza di MC5 e New York Dolls, la produzione c’è ma in nessun modo si erge ad arrangiamento, è piuttosto il mezzo con il quale si raggiunge il fine di riportare sui solchi l’energia che i Seddy Mellory hanno live. In generale ci piace molto lavorare in studio e sperimentare ma la scelta per Urban Cream Empire è stata quella di evitare ogni elemento non necessario e portare a casa un disco che fosse un calcio nei denti a forma canzone.
Urban Cream Empire…un titolo che ci porta proprio in quella metropoli che si vede nello sfondo in copertina, ma mi viene anche da sorridere, leggendo il titolo e pensando a voi nel profondo est Europa, in una realtà ben lontana dal concetto di metropoli, no?
Ahahah! Idealmente siamo esseri metropolitani, che odiano la luce del sole e le strade più larghe di un vicolo newyorkese. Il nostro immaginario sta all’ombra dei grattaceli e certamente non ha nulla di bucolico. Poi capita che i tour ti portino in posti molto diversi dall’idea di rock n roll. L’esperienza ucraina è stata da un lato devastante ma dall’altro molto arricchente, ne siamo usciti con certezze in testa, soprattutto di natura umana e interpersonale. Sicuramente non vorremmo più trovarci in situazioni del genere ma non si può sapere dove ci condurrà la strada del rock n roll. Se poi vogliamo essere onesti e dire le cose come stanno, da italiani guadiamo all’Ucraina come ad un mondo assurdo e lontanissimo dalla nostra idea di civiltà, probabilmente un rocker newyorkese che arriva in Italia pensa la stessa cosa del nostro paese. Tutto è relativo.
Kiss, Hellacopters, Turbonegro, New Bomb Turks, The Hives: sono alcuni nomi che mi sono venuti in mente ascoltando il disco. “Facile” ricreare un suono, molto più difficile avere l’attitudine vera di quelle band. Ecco quello che veramente emerge da queste canzoni è la vostra VERA attitudine che si sposa al sound e permettimi di dire che è il vero colpo da 10 e lode.
Beh, non potremmo ricevere complimento migliore. L’attitudine è tutto, soprattutto in campo punk rock. Non a caso una grande band come i Misfits hanno fatto del vocabolo “attitude” una canzone e una bandiera. Nei tempi che viviamo fare un disco che spacca è la cosa più semplice del mondo, la tecnologia permette cose inimmaginabili e la professionalità dei tecnici e produttori (finalmente anche in Italia) può portare chiunque a confezionare una manciata di canzoni che fanno gridare al miracolo. Essere credibili e rispettati è tutt’altra cosa. Insomma, si fa presto a parlare e a spacconare, poi arriva il momento in cui sul palco non si può far finta e le palle bisogna tirale fuori letteralmente. Dei Seddy Mellory si può dire tutto, che siamo grezzi, sfacciati e sopra le righe, ma le palle e la faccia la mettiamo sempre. Chi ci ha visto live lo sa. Torniamo al concetto di gang metropolitane di cui si parlava prima, c’è un momento in cui le chiacchiere stanno a zero e quello che conta è avere i coglioni di fare quello che predichi.
C’è qualcosa che ti ha particolarmente sorpreso nell’album, magari risentendolo a disco finito?
La versione in vinile è allo stesso tempo profonda e grezza. Suona davvero come vorremmo suonasse. Quando ho sentito il test pressing mi è venuta la pelle d’oca. E’ un disco rock di una volta, grezzo, organico e tutto da cantare. Anche l’artwork visto sulla grandezza del vinile è pazzesco. Se lo vedi in uno scaffale ti viene voglia di comprarlo a scatola chiusa.
Secondo te il successo di un gruppo come i Giuda può essere da stimolo ed esempio per dimostrare che, anche dall’Italia, può arrivare roba valida a livello internazionale o è più un fuoco di paglia?
Noi siamo e sempre saremo provincia dell’impero di ciò che conta nel music business. Questo non significa che tutto è inutile, piuttosto che tutto è più difficile. E allora non’appena qualcuno sembra farcela ci stupiamo. Ci sono tantissime ottime realtà in Italia ma soprattutto in ambito rock n roll difficilmente riescono ad emergere attraverso i canali nazionali. Non dimentichiamoci che stiamo qui a parlare di Giuda grazie a Mojo, una rivista inglese. L’esterofilia ci perseguita, abbiamo mille cavalli di razza che sbuffano nelle scuderia della provincia italiana, ma fino a che un inglese non viene a dirci che siamo fighi non ci crediamo neanche noi. Non fraintendetemi, non voglio sminuire i Giuda che anzi amo, conosco personalmente e nel mio lavoro cerco perennemente di promuovere, semplicemente non mi stupisco del loro successo, mi sembra naturale che una band quadrata come loro, con ottimi pezzi e con un approccio filologico sbandierato all’estremo spacchi culi ad ogni latitudine.
Con quale brano potremmo chiudere la nostra chiacchierata?
Chiuderei con Get in /Get out, il brano che apre il disco, il manifesto del presente dei Seddy Mellory. Siamo nel 2016, siamo tempestati di input sonori e visivi, la comunicazione è tutto e molte volte è più importante del prodotto in quanto tale. Beh, dal nostro punto di vista quello che conta è sempre il suono di una chitarra elettrica sparato dentro una testata valvolare, una batteria quadrata e minimale e un mucchio di cori da hooligans da appiccicarsi in testa e urlare a squarciagola. La musica si spinge sempre oltre, nuovi generi nascono e muoiono nel giro di una stagione, tutto questo è positivo, non siamo certo dei passatisti, semplicemente per noi quello che è successo nel rock underground dal 1969 al 1976 è immortale. Ciclicamente anche nelle redazioni patinate che fanno tendenza se ne accorgono e allora tutti in strada con i jeans a sigaretta, gli stivaletti a punta e gli Strokes nell’ipod. Qualcuno potrà pensare che i Seddy Mellory sono questo. Niente di più lontano dalla verità. Siamo tre persone che sanno quello di cui parlano, abbiamo un look definito ma sul nostro furgone le pose stanno a zero. In tanti si riempiono la bocca di rock n roll, noi lo siamo e fanculo chi la pensa diversamente.