Interview: Riccardo Sinigallia

In occasione dell’uscita di Ciao Cuore, ho avuto l’onore di poter parlare al telefono con Riccardo Sinigallia. Le sue risposte mettono in luce alcuni aspetti che stanno dietro al suo lavoro sulle canzoni e sui diversi elementi che le compongono.

Gli intervalli in cui tu hai alternato le tue produzioni non sono regolarissimi, quindi volevo chiederti cosa determina la lunghezza delle pause tra un disco e l’altro.
Innanzitutto l’idea che la mia vita debba diventare una pausa tra un disco mio e un altro disco mio è una cosa un po’ infelice, cerco di fare anche altre cose, questo mi porta via del tempo. Cerco non solo di scrivere, ma semplicemente di mettermi in gioco come essere umano e poi sono anche un po’ lento a scrivere, a selezionare e a produrre. Questo è sicuramente un limite ma è anche una metodologia che mi consente di fare dischi che reggono negli anni.

Tra il primo e il secondo disco è passato più tempo che tra il secondo e il terzo quindi volevo chiederti se c’è qualcosa di specifico che ha determinato questa diversa lunghezza tra le due pause.
No, tra il primo e il secondo disco sono passati tre anni, è tra il secondo e il terzo che ne sono passati sette. Questo è dovuto al fatto che, tra il secondo e il terzo disco, ho vissuto un periodo un po’ complicato, perché il disco lo avevo finito qualche anno prima ma nessuno era interessato, poi ho avuto la fortuna di essere stato chiamato a Sanremo e a quel punto ho ripreso le canzoni.

Una cosa del tuo lavoro che mi piace è che se prendi diversi elementi, ovvero lo stile vocale, melodico i suoni e i testi, sono tutti ognuno funzionali agli altri, volevo chiederti se è una cosa a cui lavori e se sì ce c’è uno di questi elementi da cui parti oppure se quando scrivi le canzoni hai una visione globale.
Si, sono attento alla relazioni tra i vari elementi e credo che questo tutt’uno sia una magia, è il motivo per cui la canzone ancora oggi, come forma artistica, mi entusiasma. È una cosa su cui sono molto attento e ho una visione immediata anche quando lavoro solo sulla musica o sui testi. Tengo presente l’idea di una globalità consequenziale. Capita anche di fare delle canzoni in cui le parti nascono contemporaneamente. Sono rari episodi in una vita e te li ricordi per sempre.

Se andiamo a guardare questo disco mi sembra che la natura di questi elementi e l’unione tra gli stessi crei una cosa più diretta, più schietta e, contestualizzando, che ci sia meno attenzione rispetto al passato all’unitarietà complessiva del disco.
Riguardo alla prima cosa che hai detto sono molto d’accordo, la responsabilità maggiore ce l’ha Caterina Caselli che mi ha fatto molto concentrare sull’aspetto espressivo. È stata un punto di riferimento importante in questo disco e mi ha sempre detto: se tu riesci a dare la stessa importanza che dai al suono e alle parole anche all’aspetto espressivo e alla tua vocalità hai la possibilità di rivolgerti ad un pubblico più ampio e devo dire che ho fatto molta attenzione ai suoi consigli. La seconda cosa che hai detto secondo me non è del tutto vera perché il primo disco secondo me è ancora più eterogeneo. Poi il secondo è il più acustico e cantautorale, e nel terzo ho cominciato a mettere in gioco un po’ di elettronica. In questo disco c’è ancora di più questo aspetto.

Volevo chiederti qualcosa di specifico sulla voce perché mi sembra che qui rispetto al passato ti sfidi di più da questo punto di vista, mi sembra che tu vada a cercare delle sfide maggiori dal punto di vista del canto.
Questo è l’effetto Caselli, quello che dicevo prima di Caterina è che mi ha detto, prova a tirare fuori la tua voce perché ce l’hai, ho accettato questa sfida e mi è piaciuta e poi avevo voglia anche io ad un disco più soul non come genere ma come attitudine.

Invece per quanto riguarda la produzione, tu sei abituato anche a lavorare anche con altri artisti e quindi hai l’idea di quello che è l’importanza dell’occhio esterno come produttore e quindi ti chiedo: il fatto che tu debba andarti a produrre le tue cose fa in modo che tu senta comunque la necessità dell’occhio esterno, e visto che comunque c’è Laura che ti affianca alla produzione, mi sono chiesto se lei lavori con te perché tu hai necessità di un occhio esterno.
No, lei lavora da sempre, fin dal primo disco, perché noi ci siamo innamorati durante i Tiromancino e quindi dal primo disco lei c’è sempre stata nello stesso modo, però in questo volevo che fosse evidente che lei per me è come Andy Warhol per i Velvet underground. È una persona che io considero come un’ispirazione immensa e ogni cosa che faccio la riferisco a lei completamente e quindi lei è molto importante. In linea di massima, però, vedo il produttore artistico come un ruolo evitabile perché ogni artista farebbe bene ad evitare qualunque filtro esterno, sarebbe bene farsi per conto proprio, visto che ormai la tecnologia lo consente, le opere e portarle a termine da soli.

Però se in tanti continuano ad averne bisogno tu sei anche contento visto che questo lavoro ti è utile economicamente ma ti piace anche.
Si mi piace come lavoro ma, in alcuni casi se potessi evitare di farlo eviterei, poi però ci sono alcuni autori e alcuni gruppi che mi conquistano allora in quel caso mi ci metto ma è un lavoro molto impegnativo e molto faticoso.

Spesso si tende a fare una contrapposizione tra dischi prodotti con tanta attenzione agli strumenti e al fatto di suonare in studio, e altri in cui l’artista fa tutto da solo. Mi sembra che ogni tanto non abbia molto senso dire “se ho suonato tanto tempo in studio allora sono bravo invece se ho fatto tutto da solo non va bene”.
Io penso che non ci sia una regola, penso che se tu trovi la forma espressiva che va d’accordo con la tua personalità e che somiglia a te hai già fatto il passo più importante e che a quel punto puoi avere diverse possibilità: puoi chiamare un produttore, puoi andare in studio tutti insieme, puoi lavorare traccia per traccia in overdubbing, ogni cosa va bene basta che tu trovi per te stesso la metodologia di lavoro più idonea. Secondo me possono andare bene tutte, non ce n’è una giusta.

Come ci dobbiamo aspettare dai concerti?
Ci sarà una parte importante del concerto dedicata a questo disco, quindi un po’ più elettronica rispetto al passato, e poi penso di suonare alcune canzoni del passato, anche del primo disco che somigliano molto anche alle canzoni di questo e quindi riprendere dal vivo un po’ di canzoni che è da molto che non faccio e poi suonerò anche qualcuno dei miei classici e in quel caso andrà più sull’acustico, quindi sarà un concerto che avrà due parti separate ma molto contigue senza stacchi feroci e dal punto di vista del racconto sarà abbastanza continuo.

Volevo poi chiederti del gruppo di fan su Facebook, il “ Bar Sinigallia” che a me piace perché, rispetto ad altri gruppi di fan, non è strettamente necessario parlare solo della tua musica, ma ci iscrive lì per vedere come sono umanamente le persone che hanno questo gusto musicale in comune.
L’abbiamo impostato insieme proprio così, volevano creare un mio fan club ed io ero molto onorato ma anche molto imbarazzato da questa forma classica di riferirsi solamente all’artista, e invece, siccome sono tutte persone particolari e straordinarie in qualche modo e con un livello musicale abbastanza sopra la media portano tutti, chi più chi meno, musica interessante e mi fanno riascoltare delle cose di cui io stesso mi ero dimenticato, quindi è una specie di bar dove ognuno porta la propria vita, la propria persona e la propria personalità, questa è la cosa che mi piace di più.

Foto di Fabio Lovino

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