Interview – Octopuss

LEMON KISS è il nuovo singolo degli OCTOPUSS, in uscita oggi 8 ottobre per Freecom/ZdB.
Dopo circa un migliaio di date tenute in 3 continenti, Europa, Nord America ed Asia, condividendo il palco con star internazionali come Deep Purple e Scorpions ed essere diventati una delle band europee più importanti in territorio cinese, gli OCTOPUSS “tornano” in Italia con un nuovo singolo, che anticipa la pubblicazione dell’album “A Nut For A Jar Of Tuna”, in uscita in inverno.

In Lemon Kiss ritmo, chitarre e tanto groove si mescolano in un rock energico dall’anima funkche trasporta l’ascoltatore in un mondo di leggerezza e libertà. Il brano, moderno e vintage allo stesso tempo, ha un ritmo incalzante costellato di (potenti) esplosioni e vuoti sonori, creando una spirale di passione e di energia che si conclude con un climax, in cui il ritornello sembra diventare un mantra:“Kiss! You’ll feel much better,Kiss! You’ll feel so good, Kiss me now!”

La copertina del singolo per il releasing europeo del brano è ad opera del famoso artista internazionale Paolo Maggis, da sempre amico e supporter della band.

  1. Potete spiegare il significato del vostro nome? 

Ciao. Il nome “Octopuss”  rimanda chiaramente all’animale marino… ma con una piccola variazione: la doppia “ss”. Ci piaceva l’idea di fare riferimento ad un animale “musicale” tentacolare che ti avvolge con la sua musica.  Il sogno che avevamo, sin dalla stesura delle prime canzoni tutte in lingua inglese, era poi quello di muoverci spandendo i nostri “tentacoli” in tutte le direzioni, fino anche in capo al mondo! Cosa che poi siamo un pò riusciti a fare con in numerosi tour all’estero. 

Ci hanno fatto spesso questa domanda anche durante i tour asiatici; in linea con lo stile metaforico e con la simbologia magica che a loro piace in ogni storia, aggiungendo un tocco onirico al tutto, ogni tanto dicevamo che io e Garrincha (basso n.d.r.) una notte abbiamo fatto lo stesso sogno, e il giorno dopo ce lo siamo raccontanti: portare la nostra musica in posti lontani e sconosciuti a cavallo di polpo gigante! La cosa non è comunque lontana dal vero in fin dei conti.

Per i primi tempi il nome della band era “Octopus” – con una sola “s” – mancava però qualcosa leggendolo. Volevamo aggiungerci un pò di malizia, sulla linea del doppiosenso,  e differenziarci dal nome dell’animale acquatico tout court. Abbiamo aggiunto quindi la doppia “ss”, e la cosa sembrò immediatamente divertente e più sensuale. Il risultato è un nome semplice, che capiscono dappertutto, ce ne piace il suono e ci piace a livello grafico, il logo che ne deriva è anche molto simpatico: insomma, adoriamo il nostro nome!

  1. Chi scrive le canzoni? 

Siamo un trio, e la nostra storia sicuramente ha origine nelle lunghe ore di jam e sessioni in sala prove a creare ed affinare il “nostro” sound. Ed è proprio dal sudore insieme in sala prove che nasce il concetto musicale identitario e primario che caratterizza gli Octopuss, una musica organica che nasce da tre elementi, senza troppi fronzoli, e che così arriva anche sul palco: un trio con la voglia e la botta di dieci elementi, che fa la musica che più gli piace, che più lo diverte e fa godere! 

Ogni canzone, poi, come è naturale ha storia ha sé: alcune sono nate suonando contemporaneamente in tre in sala prove, altre nascono da un riff di chitarra, ed in altre è la linea di basso a determinare l’idea di partenza; molto spesso io e Garrincha abbiamo scritto insieme le parti principali di un brano, in altre occasioni uno di noi ha scritto la linea melodica principale a casa per i fatti suoi (ad esempio nel brano “Run Run Run”, il ritornello è stato scritto da Luca Capasso anche se suona la batteria), e poi la ha condivisa con gli altri in sala prove e si è iniziato a lavoraci sopra in due, o tutti e tre insieme. Insomma le origini dei brani sono eterogenee, e ci piace sia così.

Per quanto riguarda “Lemon Kiss”, e altri brani dell’album “A Nut For A Jar Of Tuna” che questo singolo va ad anticipare, in quanto chitarrista e cantante, mi sono trovato personalmente ad iniziare a scrivere la canzone, determinandone le linee della parte musicale ed il testo. Con Garrincha abbiamo poi iniziato ad arrangiare, tagliare, aggiungere analizzando il costrutto per renderlo interessante, trovando le soluzioni migliori, sia per la musica che per il testo. In sala prova, poi, tutto si riapre, perché è lì che il vero e proprio suono del brano e della band viene lavorato: tutti e tre insieme affiniamo sound, proponiamo idee e definiamo la struttura per la resa migliore. A volte il processo risulta molto veloce, altre volte sono necessari parecchi giorni di lavoro per arrivare ad una versione finale che ci renda contenti.

  1. Date il meglio di voi dal vivo: cosa provate quando siete sul palco?

E’ un’esperienza che amiamo molto. Adoriamo essere in giro per il mondo a proporre dal vivo la nostra musica: abbiamo avuto occasione di girare parecchio e questo era il nostro sogno già dalle stesure delle prime canzoni. Volevamo portare la nostra visione musicale anche fuori dai confini italiani, ovunque fosse possibile, e proprio per questo abbiamo scelto sin dal primo momento di scrivere i testi in lingua inglese, anche se eravamo ben consci che la strada sarebbe stata più dura e difficile. 

Dopo aver cominciato facendoci le ossa con una lunga serie di concerti in tutta Italia, abbiamo deciso innanzitutto di vedere i luoghi e suonare sui palchi dove il rock era nato e veniva respirato ogni giorno, volevamo “misurarci” con le band locali in America ed in Inghilterra. Così, abbiamo deciso di partire per un primo tour negli States, interamente organizzato con le nostre forze; appena tornati dagli U.S.A., i rumors sulla band hanno raggiunto anche Londra, e siamo stati invitati a suonare in alcuni club della storica città inglese. La soddisfazione per il lavoro svolto cresceva, e maturava la confidenza nei nostri mezzi: sentirsi in giro per il mondo a condividere spesso il palco con band americane e inglesi ci faceva “crescere” esponenzialmente sotto tutti i punti di vista. 

Tornati negli Stati Uniti, avendo già avuto occasione di suonare sia nella East Coast che nella West Coast, due mondi e “scene” molto diverse tra loro, abbiamo scelto di trattenerci e battere a tappeto a suon di live la California, esibendoci spesso a Los Angeles e nei suoi vasti dintorni. “Cat Club” e “Viper Room” sono solo due dei tanti locali toccati, ma certo dal nome più altisonante. In America siamo poi tornati altre volte, ed è proprio in una di queste occasioni che sono avvenute le registrazioni dell’ultimo disco. Così viaggio dopo viaggio, tour dopo tour, siamo diventati una delle poche realtà indipendenti italiane a poter contare quasi un migliaio di concerti tenuti in trecontinenti: Europa, Nord America e Asia, e la cosa fa un pò effetto anche a noi.

Suonare in Paesi differenti, regala sensazioni differenti. Se devo descrivere le sensazioni che colleghiamo ai live californiani, ad esempio, posso dire che ogni concerto in California ti lascia addosso un’adrenalina particolare, perché sai che stai performando nella terra dei top players, sugli stessi palchi che hanno calcato i tuoi idoli prima di te. E’ una sensazione talmente forte che a volte può sorprenderti anche in un bar, in un club, in un motel del Sunset Boulevard, e perfino in un negozio di chitarre, quando riconosci un dettaglio che magari era presente in un vecchio poster che avevi da adolescente appeso alla parete, o sulla copertina di un vinile che avevi consumato a furia di ascolti. In America, condividendo il palco con le più disparate band locali – a prescindere dal fatto che i singoli componenti suonino più o meno bene – ti accorgi subito che hanno una determinazione incredibile sul palco e hanno ben chiaro  il concetto di come si costruisce uno show. 

In Cina, le emozioni non sono state di certo da meno. Innanzitutto si tratta di un salto culturale ben superiore: interfacciarsi con l’estremo Oriente, soprattutto all’inizio, è stata cosa non da poco. Le barriere culturali e linguistiche sembravano essere infatti insormontabili: eravamo ormai abbastanza ferrati su cultura e modus operandi degli addetti ai lavori e dei fan europei e statunitensi, ma, senza che nessuno di noi tre parlasse una parola di cinese, abbiamo dovuto preparare con dedizione doppia i primi tour in Cina, accettando di buon grado la nuova e difficile sfida in Oriente, ma senza realmente sapere cosa aspettarci. Superate le difficoltà e gli ostacoli iniziali, abbiamo ricevuto una risposta incredibile da parte del pubblico cinese. Una sensazione che ricordo forte dei primi tour in Asia è il senso pionieristico dell’attività che stavamo svolgendo: non eravamo circondati da molte altre band occidentali in tour in Cina, ed in alcune città tra le più sperdute che abbiamo toccato, eravamo probabilmente i primi “occidentali” ed essersi esibiti suonando rock. Così, viaggio dopo viaggio, assestandosi sempre più le cose, abbiamo sentito in modo sempre più nitido la sensazione che stavamo portando con successo la nostra musica lontano, molto lontano, come era nel sogno da cui tutto era partito, e la cosa ci risultò doppiamente gratificante dacchè vedevamo che anche così lontano veniva molto apprezzato il nostro lavoro. Questa è la motivazione che regge ogni viaggio, e ci piace un sacco. 

L’emozione di salire sul palco è sempre una cosa che adoriamo, sia che l’esibizione sia in Italia, sia che sia all’estero; ma forse all’estero ci divertiamo un pò di più, anche perché il concetto di essere in tour diventa pieno e totalizzante… Una volta tornati a casa, scendere dalla giostra non è sempre così facile: si rimane per qualche giorno in una sensazione di “sospensione”, tra la vita che prevede un viaggio, un hotel ed un concerto al giorno e la vita ordinaria di tutti i giorni prima del tour, e far scendere l’adrenalina e riprendere l’adattamento al quotidiano richiede qualche tempo: e la domanda è sempre la stessa… come trascorrevamo le giornate prima di partire? 

Credo di poter dire che il palco, a conti fatti, è ciò che sentiamo essere la nostra casa. E’ il luogo a noi più congeniale, il nostro habitat naturale, dove possiamo dare libero sfogo a tutto quello che abbiamo dentro. Ci è capitato più volte di essere dall’altra parte del mondo, stanchi, affamati, a volte pure mezzi malati, ma una volta saliti sul palco si accende qualcosa che ci è molto familiare: le luci, noi tra gli amplificatori e il pubblico, a sudare e dare tutto, si fa lo show e il pubblico risponde, è uno scambio di energie incredibile, è la nostra cura per tutto, e molto spesso riteniamo che sia il vero motivo per cui facciamo questo mestiere. Il palco, quindi, ha per noi il sapore di casa, di comfort, a prescindere dal Paese che sta ospitando il nostro show, e ci fa sentire magnificamente bene

  1. Siete la band europea che ha tenuto più concerti in Cina negli ultimi 5 anni, avete intenzione di partire nuovamente per un tour asiatico o ne state organizzando uno anche in Italia? 

Si, con all’attivo dieci tour di circa un mese ciascuno, abbiamo conseguito questo primato. La notizia è giunta dopo un recente “report” della music industry cinese: il ranking si basava sul numero di spettatori agli show e il numero di show tenuti in un determinato lasso di tempo. Abbiamo infatti suonato in tutte le livehouse più famose del Paese del Dragone, e sopratutto abbiamo avuto occasione di esibirci in più edizioni dei festival più grandi e prestigiosi del Sol Levante, davanti a diverse migliaia di persone, siamo stati invitati ad importanti trasmissioni televisive locali, esibendoci per milioni di spettatori, e siamo anche stati premiati dall’Università di Scienze e Tecnologia di Pechino e per l’attività di interscambio culturale svolta tra la scena musicale Italiana e quella Cinese. Sono risultati importanti, ed ogni tanto sembrano incredibili anche per noi!

Impossibile pensare, quindi,  di non tornare in Cina in tour appena sarà possibile. abbiamo ricevuto inviti per concerti già sulla fine del 2021, ma per via della situazione epidemica mondiale rimanderemo le prime esibizioni in Asia nel 2022, sperando che tutto torni alla normalità.

Certamente, con l’uscita dell’album, ci saranno anche date in Italia e altri paesi europei: le due cose non sono affatto antitetiche. Come dicevo adoriamo esibirci dal vivo, sia che il concerto sia in Italia, in Europa, in Asia o Nord America: noi non ci diamo preclusioni e non vediamo l’ora di ripartire per veri e proprio tour.

  1. Il periodo più lungo che avete passato lontani da casa?

Ci è capitato spesso di stare lontani da casa, ed è una cosa che col tempo abbiamo imparato a gestire, ognuno a modo suo, come tutto il resto di ciò che riguarda questo lavoro.

Sono richiesti dei sacrifici e una forte capacità di adattamento, che essendo in tour, richiede tempi di risposta molto veloci. 

I tour asiatici, ad esempio, prevedevano a volte circa una data al giorno per 30 e a volte 40 giorni di fila, con distanze importanti da coprire tra un concerto e l’altro: richiedevano quindi di stare lontano da casa a volte più di un mese. E la cosa può essere molto stancante: abbiamo dovuto lottare con jet-lag, malesseri fisici talvolta dovuti al cibo locale, con il gelo dei mesi invernali delle regioni più a nord e il caldo torrido di quelle a sud, con malfunzionamenti degli strumenti danneggiatesi in viaggio, con una serie di discomfort incredibili dovuti ai viaggi e agli alloggi, che, soprattutto nei primi tour, si avvicendavano tra improbabili spostamenti in treni e bus di terza classe stracarichi di persone a tratte in aereo o sui famosi e futuristici treni ad alta velocità cinesi, hotel di quart’ordine si alternavano a residenze superluxury: il tutto in un modo assolutamente impossibile da prevedere.

Ma così siamo riusciti a toccare praticamente tutte le province e le principali città cinesi, da quelle più tecnologiche ed avvenieristiche, a quelle più rurali, da quelle più occidentalizzate a quelle invece più tradizionali in stile “Vecchia Cina”. Siamo arrivati fino alla Mongolia Interna, nella zona centrale e desertica intorno alla islamica città di Lanzhou – capoluogo della provincia del Gansu -, a 4000 metri per un festival nella città di Hongyuan – a ridosso con il confine tibetano -, nelle città di Dali e Kunming  a pochi chilometri rispettivamente dal confine con la Birmania e il Laos, e anche a sud fino al confine con la colonia portoghese di Macao e Hong Kong, e ancora più a sud nella tropicale isola di Hainan, posta nel golfo del Tonchino proprio di fronte alle coste Vietnamite, vedendo la magnificenza di paesaggi, climi, habitat e culture estremamente diverse tra loro. La Cina è molto vasta, e ci sono voluti molti concerti per “coprirne” una parte consistente.

Anche in occasione delle registrazioni dell’album “A Nut For A Jar Of Tuna” siamo stati via molto: per la precisione ci siamo trasferiti a Los Angeles per tre mesi interi.

  1. Uscirà presto il vostro album “A Nut For A Jar of Tuna”, com’è stato registrare negli studi SHANGRI-LA, in California?

E’ stata un’esperienza fantastica! 

Grazie ai contatti e alla stima nata nei confronti della band dopo i tour che abbiamo tenuto negli States, siamo tornati a Los Angeles per le registrazioni dell’album  “A Nut For A Jar Of Tuna”, che sono avvenute appunto ai leggendari Shangri-La Studios di Malibu.

Si tratta di uno degli studi di registrazione più famosi al mondo: una pietra miliare della storia del Rock, ed entrarvi, per noi, è stata quasi un’esperienza mistica. Si tratta di una tenuta sulle colline di Malibu, che è stata riconvertita a recording studio su precise indicazioni di Bob Dylan & “The Band” nel 1970. Martin Scorsese ci ha ambientato il suo celebre documentario“The Last Waltz”, e ci hanno registrato artisti del calibro di Eric Clapton (che vi registrò il disco “No reason to cry” definendolo – nella sua autobiografia – come un “luogo magico e di intensa creatività”), Keith Richards, Crosby, Stills & Nash, Mark Knopfler, Black Sabbath, Carlos Santana, ZZ Top, Metallica, U2, Red Hot Chili Peppers, Muse, Lady Gaga, Eminem, Ed Sheeran, Adele … e anche Jovanotti l’ultimo album con la produzione di Rick Rubin.

Pensare che questi nomi hanno varcato la soglia del medesimo studio in cui stai registrando ti mette addosso pressione, e ti sorprendi ad ammirare ogni minimo dettaglio dello studio, delle chitarre e amplificatori in esso contenuti, persino del biliardo (che ricordavamo chiaramente immortalato sul retro di copertina del disco di Clapton): è una sensazione importante, e siamo riusciti a convertire la pressione, caricandoci ancora di più al fine di registrare un super disco.

Abbiamo cominciato le sessioni di registrazione dell’album sotto la direzione del producer britannico multiplatino Gary Miller, con la collaborazione di Beej Chaney (cantante e chitarrista dei Suburbs) e di Eric Lynn (sound engineer tra gli altri dell’album The Marshall Mathers LP 2 di Eminem,“St. Anger” dei Metallica, “Don’t” di Ed Sheerane “La Futura” degli ZZ Top …); le riprese  sono avvenute quasi esclusivamente “live”, ovvero suonando, come dal vivo, insieme nella stessa stanza (la rinomata sala A degli Shangri-La Studios) proprio per mantenere e catturare l’energia che la band sprigiona durante i concerti, ad eccezione di qualche overdub e delle riprese vocali, che era impossibile effettuare ponendo microfoni “vocali” nella medesima room a causa dei volumi esagerati.

Un aneddoto divertente: un giorno, durante una pausa dalle riprese, eravamo in riunione e stavamo parlando di un arrangiamento con Beej Chaney (cantante e chitarrista dei Suburbs), che era uno dei supervisori delle nostre sessioni di registrazione – insieme al produttore Gary Miller ed Eric Lynn – quando d’un tratto si spalanca la porta che da sul giardino privato degli Studios ed irrompe nella stanza un innervosito David Crosby, sgridandoci perché avevamo parcheggiato male l’auto nel vialetto. Eravamo increduli: trovarsi a tu per tu con una delle icone della storia del rock americano, uno che calcò il palco di Woodstock nel ’69, lì davanti a noi in carne ed ossa, che per di più stava gridandoci addosso di spostare la macchina, ci lasciò completamente senza parole. Ripensandoci poi ne abbiamo riso per giorni…

  1. In che modo avete gestito il flusso artistico con un produttore del calibro di Gary Miller?

Gary Miller è un produttore molto abile, dalla carriera smisurata: ha prodotto artisti del calibro di David Bowie, Simply Red, Slash & Fergie, Andrea Bocelli, Lionel Ritchie, Donna Summer, Girls Aloud, Cheyenne, Bananarama, Kylie Minogue, vincendo molteplici dischi di platino.

Prima di iniziare le sessioni di registrazione, eravamo praticamente sicuri che avremmo affidato la produzione del disco ad un produttore statunitense, visto che eravamo in California: tra gli interlocutori ci fu anche il famoso Jim Wirt (famoso produttore del disco S.C.I.E.N.C.E degli Incubus). Poi Beej Chaney, (cantante e chitarrista dei Suburbs), ci introdusse a Gary Miller, producer britannico, e capimmo subito che era l’uomo giusto.

Lavorare con Gary non è stato affatto difficile. E’ un produttore molto preparato, nonché un talentuoso musicista, e la cosa in studio rende il lavoro un grande piacere! Era un piacere ascoltarne i suggerimenti, ogni consiglio, e a fine lavori le storie e aneddoti della sua lunga carriera.

Ricordo chiaramente i momenti in cui scrivevamo insieme le armonie vocali dei cori di brani come “She’s Seventeen”, imbracciando una chitarra o sedendoci davanti al pianoforte: ogni visione che condivideva con me era super affascinante, giocavamo a rivoltare gli accordi, a provare settime con voicing inusuali, ed interagire era davvero semplicissimo dacchè di musica ne sa davvero tanto, e anche di “suono”! E’ una persona molto schietta, senza troppi fronzoli o smancerie, va dritto al sodo, ma non di meno si fa voler bene e ci ha trattati come figli. Ogni tanto ci si fermava dopo il lavoro in casa sua, una magnifica villa sulle colline di Zuma Beach, a Malibu. Per noi, lontani da casa, era una gioia e, come potete immaginare, avevamo bisogno di tutto:  Gary non mancava mai di invitarci a rimanere per cena, per partecipare alle feste che organizzava o stare con lui fino al mattino. Ci si è anche divertiti un bel pò.

  1. Avete intenzione di continuare a registrare con lui? 

L’esperienza con Gary è stata davvero molto bella, e siamo in contatto con lui stabilmente. Un altro lavoro con lui non è da escludere, ci piacerebbe! Ma ci dovrà fare un bello sconto stavolta, perchè le sue tariffe sono davvero salatissime! ☺

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