Interview: Novanta
A due anni di distanza dal pregevole Best-Selling Dreams, il musicista palermitano Novanta (Manfredi Lamartina), ha pubblicato da poco, via Seashell Records, Hello We’re Not Enemies. L’album, che abbraccia suggestioni shoegaze che si fondono con elettronica e dream-pop, è un nuovo bersaglio centrato da questo raffinato compositore. La chiacchierata con lui era quasi doverosa…
Ciao Manfredi, come stai? Da dove ci scrivi?
Ciao! Scrivo da Milano, città in cui vivo (molto bene, peraltro) da nove anni, anche se sono nato a Palermo.
Si avvicina l’estate, ma ci credi se percepisco il tuo disco come poco adatto alla stagione? Sarebbe più da climi autunnali o invernali, magari mi sbaglio…
Hai perfettamente ragione. Generalmente le mie canzoni hanno un’atmosfera più autunnale, sarà che non amo particolarmente il caldo. (Tra l’altro una delle compilation alle quali ho avuto il piacere di partecipare s’intitola Pluviôse, che vi consiglio di ascoltare e scaricare gratuitamente sul Bandcamp di Seashell Records: ci sono nove artisti “rainy-oriented” da ogni parte del mondo). Secondo Claudio Cataldi, che è il cofondatore di Seashell Records ed è anche un ottimo songwriter, Hello We’re Not Enemies è un disco estivo. E in effetti, a giudicare dal giugno piovosissimo che ha scandito le giornate di Milano, direi proprio che ha ragione!
Due anni tra questo lavoro e ‘Best-Selling Dreams’: due anni di scrittura o anche di riposo?
Dopo “Best-Selling Dreams” ho composto una canzone inedita assieme a Bialogard che è finita nel terzo volume della compilation “Viscere” e ho anche realizzato una cover degli Slowdive per un tributo realizzato da Seashell Records. Ho inoltre fatto qualche concerto in cui ho riscoperto un approccio piuttosto rock alla mia musica. Ho avuto però qualche difficoltà a confrontarmi nuovamente con un album vero e proprio perché “Best-Selling Dreams” è stato un disco difficile e stressante. Quando non sei una superpotenza pop ti senti braccato, perché temi che tue canzoni siano destinate a soccombere sotto la spinta di migliaia di altri brani che ogni settimana invadono ogni spazio sul web. C’è un sacco di ottima musica in giro, così ti chiedi: perché dovrebbero ascoltare proprio me? Poi però alla fine te ne freghi, perché la consapevolezza di non essere l’unico guerriero del rock’n’roll ti porta ad avere molto più rispetto della musica che vuoi comporre. Sai di non poterti permettere il lusso di far perdere tempo a chi vorrà ascoltare ciò che hai da dire, diventi decisamente più autocritico e quindi sei molto più lucido: butti via la roba mediocre, quella che tu stesso non vorresti ascoltare, e ti dedichi al meglio che hai. Hello We’re Not Enemies è un disco dalla lavorazione lunga. È stato emozionante e anche molto divertente ascoltare queste canzoni mentre cambiavano stile, pelle, prospettive. Certi brani, nel loro arrangiamento iniziale, sono irriconoscibili rispetto alle versioni definitive.
Hello We’re Not Enemies: non solo un titolo, ma forse anche una speranza, una volontà…a volte temo sia solo un sogno e sentire il ritornello “questa umanità è impermeabile” mi fa pensare che forse anche tu a volte ci pensi. Sbaglio?
Sì, quel ritornello (scritto e cantato da Raniero Federico Neri degli Albedo) è complementare al titolo del disco, Hello We’re Not Enemies: l’umanità sembra indifferente a tutto e l’empatia è scomparsa. La riflessione è ampia e riguarda tutti noi. Facci caso: siamo indulgenti con noi stessi ma spietati con gli altri. Comunichiamo col coltello in mano, che si tratti di un commento su Facebook, di un articolo di giornale, di una discussione al bar. Qualche giorno fa, mentre mi trovavo in un taxi a Milano, dall’autoradio si è sentita la notizia dell’uccisione della deputata laburista Jo Cox. Il tassista ha iniziato a farneticare, auspicando che in Italia qualcuno faccia lo stesso e si metta a sparare per far fuori un po’ di politici. Ecco, a me tutto questo fa paura. E allora ehi, non siamo nemici. La contrapposizione tra “noi” e “loro” si può attenuare se si comincia a ragionare diversamente. Tutti abbiamo una storia, non siamo semplici comparse senza passato né futuro: proviamo a capire che cosa succede e perché succede. Generalmente sono pessimista nei confronti del genere umano ma esistono tante persone perbene: la speranza parte da loro.
Partiamo dall’Islanda che ho letto essere stata anche più di una semplice fonte d’ispirazione, sbaglio?
Non sbagli, l’Islanda è un Paese che ho visitato lo scorso anno e che ha influenzato parecchio il disco. Molte delle canzoni del disco sono nate su un iPad tra una tappa e l’altra. So che può sembrare una scena stereotipata (e magari lo è) però è davvero andata così. Io peraltro sono un grande amante della scena indie islandese, anche se lì ho visto solo concerti di rap in islandese. Non proprio la mia tazza da tè.
Adoro i tuoi riverberi shoegaze/dream-pop, ad esempio in Mike o Blue Lagoon sono così struggenti ed evocativi, ma poi riesci a essere anche più “freddo” e minimale, come in Melted Eyes: il “vero” Manfredi Lamartina si trova nel mezzo?
Beh, a me piacciono molto le canzoni che mescolano epica e leggera malinconia, quindi solitamente cerco di puntare molto su riverberi pesanti e note squillanti. Le canzoni che hai citato sono esemplari in tal senso e sono davvero contento che ti siano piaciute. Il fatto è che non amo seguire alla lettera un determinato stile, quindi cerco sempre di variare, cambiando gli strumenti e stravolgendo gli arrangiamenti. Non sono l’inventore di nulla, è ovvio, ma mi piace esprimere lo stesso stato d’animo in tanti modi diversi. Se la vedi così, non c’è molta differenza tra Blue Lagoon e Melted Eyes.
Avevo letto che il tuo disco precedente era nato ed era stato registrato in camera, anche in questo caso il percorso di registrazione è stato simile?
Sì, il disco è stato registrato in gran parte in una situazione del tutto casalinga. In questo modo riesco a gestire quotidianamente i brani, libero da scadenze. Posso girare a vuoto con la chitarra anche per ore, in attesa di una sequenza di note che valga la pena di approfondire. È una condizione fondamentale per un piccolo progetto come Novanta. Non è musica da stadio, semmai una colonna sonora da vivere in solitudine.
Tanti ospiti: cercati? Voluti? Capitati casualmente?
Li conoscevo tutti da un punto di vista discografico. Molti di loro (Giampiero Riggio aka Haas, Claudio Cataldi, Bialogard, Il Ragazzo Del Novantanove) avevano già collaborato al mio album precedente, in cui per la prima volta ho dato molto più spazio a brani cantati. Per Hello We’re Not Enemies si sono aggiunti l’australiano Ian Bonnar (In Every Dream A Nightmare Waits) e il già citato Raniero. Oltre a essere bravissimi sono anche tutti molto simpatici e disponibili. Ognuno di loro ha contribuito a dare una precisa direzione al disco, migliorandolo nettamente. Sai, solitamente chi compone da solo ha paura che un musicista esterno possa rovinare il brano. Nel mio caso invece do sempre carta bianca ai musicisti che hanno voglia di suonare con me: se chiedo loro di collaborare è perché so che possono migliorare le mie canzoni. E puntualmente è quello che succede. Tutti loro hanno portato i brani da qui a QUI. È stato davvero emozionante lavorare con artisti di questo livello.
Come per il disco precedente vedo che non rinunci alla pubblicazione in cassetta! Un tocco vintage davvero adorabile per chi ha vissuto gli anni ’80 e ’90…
Sì, questa è la politica di Seashell Records, io non sono un feticista della musica “fisica” ma rispetto molto la scelta della cassetta per varie ragioni. È probabilmente il supporto audio più bistrattato della storia: è meno nobile del vinile, meno affermato del cd e del tutto sconosciuto agli adolescenti di oggi. Io solidarizzo sempre con i perdenti e con chi è minoranza, quindi non posso che trovarmi al fianco della cassetta. Peraltro la qualità audio non è nemmeno pessima come dicono in tanti, anzi: un buon impianto e una buona cassetta danno molta soddisfazione, il suono è caldo e saturo, molto più che con il cd. Inoltre la cassetta ha permesso a tutti di avere la propria musica preferita in mobilità. È stato il primo supporto davvero flessibile nell’uso quotidiano: una volta le playlist si chiamavano compilation ed erano tutte su cassetta. Io ho ancora alcune cassette che ho realizzato verso la fine degli anni Novanta con i miei gruppi preferiti, s’intitolano “Notte”, “Viaggio”, “Caos”, “Primo pomeriggio”. Devo ancora capire perché in quest’ultima ho messo Frankie Hi Nrg in mezzo a Bush e Scisma.
Grazie ancora per la disponibilità, con quale canzone potremmo chiudere questa nostra chiacchierata?
We Spit on Yer Grave di JuJu, una canzone formidabile da un artista ispirato e intransigente come pochi.