Interview: Mokadelic

Di Valeria Orlandi

Il nuovo album dei Mokadelic si chiama Chronicles. Uscito in estate in veste digitale, vede ora una pubblicazione fisica grazie a Goodfellas. Il doppio, che si divide in due anime, quella più post-rock e una più prettamente elettronica. è l’ennesima conferma della bontà di un progetto iniziato ormai più di 15 anni. Certo la notorietà è arrivata in questi ultimi anni, grazie alle colonne sonore di ACAB – All Cops Are Bastards o di Gomorra – La serie, eppure non è certo una casualità, anzi, è il frutto di un lavoro costante e intelligente che ora sta toccando un lungo climax ascendente. Ci piaceva scambiare due parole con i ragazzi, che gentilmente hanno risposto alle nostre domande…

Domanda classica iniziale (ma potete anche essere stringatissimi): com’è iniziato tutto? Vale a dire la storia della band e da chi è nata l’idea?
Il tutto è nato dall’incontro musicale avvenuto nel 2000 tra Alessio e Cristian, che avevano iniziato a suonare insieme un paio di anni prima, e Alberto e Maurizio che venivano da altre band, ai quali poi si è aggiunto Luca Novelli che collaborava nelle fasi di studio. Tutti avevamo una grande necessità di esprimerci attraverso la musica e le nostre prime prove erano caratterizzate dalla creazione di suite strumentali lunghissime e, almeno per noi, molto piacevoli.

C’è stato un elemento fondamentale che vi ha permesso di passare dalla “critica fase da garage” a produrre canzoni per il cinema italiano o tutto è stato, diciamo, lineare?
Abbiamo sempre creduto nel grande valore evocativo dell’unione tra immagini e musica tant’è che sin dai primi momenti abbiamo coinvolto nelle nostre prove e nei nostri live un videomaker, Andrea Cocchi, che potesse manipolare le immagini esattamente come se fossero suoni, e oggi questa tipologia di set è diventato il nostro standard nei live. Certamente nel 2008, quando Salvatores ci ha coinvolto in Come Dio Comanda, c’è stato un passaggio fondamentale in quanto siamo entrati a far parte di un mondo che prima potevamo solo osservare da lontano. Lo ricordiamo sempre come un investimento emotivo importante che ci ha portato ad essere, in quel periodo, ciò che avremmo sempre voluto essere: i musicisti di un film. Se da un lato quindi la linearità sembra non esserci, dall’altro è come se avessimo sempre suonato perché questo rapporto tra musica e immagini potesse sfociare in qualcosa di più grande di noi.

Parlando della vostra musica vi si accosta a Mogwai o GodspeedYou! Black Emperor, paragoni sicuramente lusinghieri, ma qual è, a detta vostra, l’ispirazione più grande che avete (musicale o meno)?
Certamente direi che la cosa più importante per noi è trasmettere emozioni e suscitare visioni negli ascoltatori attraverso suoni e immagini. I nomi che hai citato rientrano tra i nostri ascolti, passati e presenti, ma c’è anche tanto altro, tra musica elettronica e rock anni ’60/’70, e ci sono i modi soggettivi di metabolizzare la musica e renderla personale. Fare musica è, certamente, una cosa fondamentale mentre i mezzi e le modalità cambiano con il tempo. Oggi l’aspirazione è certamente quella di continuare a fare musica rinnovandoci e sperimentando.

Nell’ultimo album Chronicles la seconda parte si distingue per i suoni particolari e una melodia meno ritmata, come mai avete deciso di tenere queste canzoni per “ultime”? Volevate “riscaldare” la mente dell’ascoltatore con qualcosa di soft per poi lasciarla con un senso quasi di inquietudine?
Spesso il risultato finale di un brano non emerge fino a quando non lo si ascolta dopo qualche tempo che la mente si è riposata. La seconda parte di Chronicles raccoglie la nostra anima più crepuscolare ed elettronica, e questo è innegabile che possa scaturire dal suo ascolto, ma non c’è stato nulla di eccessivamente ricercato. Ascoltando i brani in sequenza, dopo la loro incisione, ci siamo resi conto di quanto potesse essere coerente dare ai due mondi sonori che abbiamo vissuto in questi anni una loro autonomia. Il fatto che nel secondo volume si concentrino un certo tipo di ambientazioni non è una cosa troppo voluta.

In studio fate un lavoro particolare suoi suoni per renderli più particolari o sperimentali? Se si usate qualcosa o qualche strumento in particolare?
Nel nostro studio cerchiamo di tenerci aperte tutte le opportunità di sperimentazione, nell’arco degli anni infatti il numero degli strumenti è aumentato e l’utilizzo dell’elettronica a acuito la nostra voglia di andare oltre le sonorità che avevamo utilizzato in precedenza. Quindi synths, batterie elettroniche, sequencer sono entrati a far parte del nostro quotidiano esattamente come gli strumenti analogici con cui siamo nati. Altro elemento è dato dalla fase di post produzione, in cui le opportunità di manipolare i suoni si amplificano ancora di più attraverso software che permettono di filtrarli, distorcerli e denaturarli.

Sebbene abbiate creato l’intera colonna sonora della serie Gomorra non tutti sono a conoscenza della vostra band e non tutti sanno apprezzarvi: annosa questione…è un problema degli ascoltatori italiani che non sono (ancora) abbastanza aperti mentalmente per questo vostro approccio musicale?
Proprio nell’ultimo periodo ci stiamo rendendo conto di quanto la cassa di risonanza che ha generato Gomorra – La serie ci abbia portato ad entrare nelle case degli italiani generando, come effetto di ritorno, un interesse anche per i nostri live. Di fatto questi sono diventati l’opportunità per noi di proporci anche dal vivo con riscontri positivi. Direi che l’interesse verso nuove sonorità c’è, quello che manca, a volte, sono le occasioni per poterle comunicare.

Lavorare per cinema e televisione può essere una bellissima vetrina: viene da chiedersi se siete consapevoli del fatto che, comunque, la notorietà su larga scala a un certo punto potrebbe davvero arrivare. Come reagireste?
CSiamo molto con i piedi per terra, abbiamo affrontato con grande responsabilità le avventure che il cinema e la televisione ci hanno meravigliosamente riservato e questo è tutto…in altre parole il ragionamento è sempre lo stesso: “Fin qui tutto bene”. Abbiamo agito, nel bene e nel male, senza una grossa progettualità o ansia del riscontro. Quello del successo, in effetti, non lo sentiamo come un problema all’ordine del giorno…

Avete gruppi o colleghi musicali italiani con cui vi sentite affini?
Non parliamo di affinità, che suonerebbe quantomeno irriverente, ma ne approfittiamo per citare alcuni autori che ammiriamo profondamente sapendo che la lista potrebbe essere molto più lunga: Ludovico Einaudi, Ennio Morricone, Angelo Badalamenti, John Carpenter…

Domandona: cosa significa per voi la parola musica? Mi spiego. C’è chi, magari nelle colonne sonore, non riesce a scindere il suono dall’immagine, mentre per altri è normale. Musica per i Mokadelic è accompagnamento alle immagini o sono suoni che comunque vivono di vita propria?
Scindere la musica dalle immagini una volta che sono state vissute e metabolizzate insieme ci risulta difficile, per questo nei live decliniamo l’invito quando non abbiamo l’opportunità di portare anche il mondo dei visuals. Sentiamo quindi che le immagini e la musica siano comunque unite sia in maniera oggettiva, quando le troviamo efficacemente assieme nelle colonne sonore dei film o delle serie tv, o soggettivamente quando ognuno si costruisce le proprie immagini che associa a questo o quel brano.

Grazie ancora. Chiudo chiedendovi come sono i vostri live? Spero proprio di vedervi a Verona…
C: Prepariamo i nostri live dando al suono e alle immagini un equilibrio in modo tale che lo spettatore possa vivere un’esperienza psichedelica fatta di colori e melodie, luci e rumore. Ci auguriamo anche noi di venire presto a Verona…

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