Interview: Luframilia
Lo scorso novembre il cantautore reggino Luframilia ha pubblicato il suo disco d’esordio, Migliaia di frammenti di Luce (The Boring Label). Il disco è un concentrato di punk rock californiano e canzoni alternative rock che a volte assumono un sound quasi italiano; un’opera piuttosto lunga, soprattutto per gli standard attuali, con ben 14 tracce e una durata che sfiora l’ora. Ne parliamo più approfonditamente con Luframilia stesso, vero nome Davide Bolignano.
La prima cosa che colpisce del tuo disco è la lunghezza: 14 canzoni non sono certo usuali per i tempi che corrono. Come mai questa scelta quasi “in controtendenza”?
In realtà non ho scelto! Ho solo fatto l’album che sognavo di fare, sul quale ho lavorato anni. Sicuramente la domanda mi porta a uno spunto di riflessione: è certamente il tempo dei singoli e delle “mega playlist delle uscite del venerdì” su Spotify, ma quando hai un’idea è giusto e naturale non costringersi a “inquinarla” per le regole di mercato, tra l’altro non stabili e spesso sfuggenti, poco delineabili, in continuo cambiamento… e se poi diamo uno sguardo al caos socio-digitale, economico, settoriale, che ha causato questa pandemia, mi sembra quasi “assurdo” pensare di dare troppa attenzione agli attuali canoni discografici. Certamente sarebbe anche sbagliato far finta che non esistessero, tapparsi completamente gli occhi, ma per me è più importante fare bene ciò che vuoi e nel modo in cui lo senti che costringersi ad adeguarsi a qualcosa “perché oggi va per forza così”.
La seconda cosa che colpisce invece è il genere: fai punk rock in un momento in cui il punk non vive certo gli splendori di una ventina d’anni fa, e per di più lo fai in italiano. Credi che questo possa favorirti o esserti d’intralcio nell’attuale panorama musicale?
Sull’album ho naturalmente inserito le sfumature musicali che più mi ispiravano e affascinavano, tra cui il “punk rock”. Riconosco che non è sicuramente il genere che oggi va per la maggiore, ma adoro tutta quella fetta musicale punk revival – emo primi anni 2000, ed era necessario per me fare ciò che mi piaceva. Tra l’altro, unendo tutte queste parti musicali d’ispirazione molto americana a un cantato in italiano e personale, l’album mi ha iniziato a suonare come paradossalmente una “novità”, vista la miriade di pezzi indie-synth pop sound anni ’80 che hanno spopolato nell’attuale panorama emergente italiano. Recentemente in un programma musicale su Twitch, in mezzo a tanti brani indie pop molto simili, a un certo punto hanno mandato un mio brano, ed è stato bellissimo vedere la reazione dei conduttori, che hanno reagito con grande entusiasmo e sorpresa al mio sound. Questo, per rispondere alla domanda, mi fa riflettere che quella che può sembrare una combo di generi poco congrua agli stili musicali più “in”, in realtà delle possibilità le ha, e può risultare in parte come “aria fresca” rispetto a un carrozzone musicale che in fretta si sta già saturando.
Il tuo disco non è presentato come un concept album, anche se in realtà una sorta di filo tematico che lega le tracce esiste. Ce lo spieghi meglio?
Sento un po’ l’album come l’opportunità di analizzare più a fondo un’espressione dualistica. Buio/luce, paura/coraggio, sentimenti e metafore cromatiche contrastanti, che prese di per sé (ad esempio dire “è tutto bianco o è tutto nero”) possono risultare limitate, ma invece se iniziamo a percorrere passo passo il tappeto che è srotolato tra questi due poli estremi, iniziamo a notare e immergerci nelle diverse sfumature emozionali che incontriamo, e questo, a parer mio, risulta molto più interessante! È un po’ questo il concetto di fondo, un percorso che parte dal buio dentro di noi, eremiti postmoderni, sino a riuscire a trovare i frammenti di luce, intrisi di resilienza e speranza, verso un finale disilluso ed evasivo sì, ma anche lieto e in cerca di pace.
Il tuo disco è fuori da qualche settimana: sensazioni positive e negative che hai raccolto fino a questo momento?
Le cose positive sono molte per fortuna. È tanto interessante vedere la reazione di chi ascolta i brani, scoprire chi mi sta supportando, e sono felice di avere ricevuto davvero molte recensioni incoraggianti, che approvano il mio lavoro, e gli donano maggiore credibilità. Sono davvero sorpreso e grato di tutte queste cose, anche le più piccole azioni come un like su Instagram, o un ascolto in più di qualcuno. C’è chi addirittura ha acquistato il mio album, in un’epoca dove vendere la musica sembra un’utopia, quindi davvero grazie per tutto questo! Ovviamente ci sono anche degli aspetti frustranti, come le grandi difficoltà di portare la propria musica dal vivo, che erano limiti già esistenti, e che adesso si fanno ancora più pesanti, o anche il cercare di tenere unite tante persone intorno a te, in mezzo ai lockdown, e alle vite di ognuno, per aiutarti a fare un lavoro godibile e più professionale possibile! Ma fa parte del gioco tutto questo, pieno di attese, ma spesso anche di soddisfazioni: bisogna andare avanti e fare sempre meglio.
Per un progetto punk rock, immaginiamo che la dimensione live sia imprescindibile; forse proprio l’elemento più importante dell’intero progetto. Vista l’impossibilità di suonare in giro causa covid, quale credi che sia il modo migliore per promuovere il proprio disco e portarlo alle persone?
Sembra banale dirlo, ma in sicurezza attraverso i social media è attualmente l’unica risposta possibile ed efficace! Sicuramente bisogna approcciare questi canali nel modo più autentico che si può, essere davvero sé stessi, mostrando sia quello che ha bisogno di essere presentato rifinito e laccato, come il tuo nuovo album, sia il backstage della nostra vita, quindi anche l’imperfetto, creare contatto, creare dibattito, curiosità e interesse in chi si incontra virtualmente con noi, perché il miglior proposito, anche se uno smartphone può essere davvero il simbolo di un’apatia generazionale, è di instaurare un legame autentico e caloroso anche dietro uno schermo! Ormai da quasi un anno a questa parte sono state moltissime le testate, le pagine che si sono armate all’occorrenza e hanno offerto uno spazio, un “palco virtuale” a tantissimi artisti emergenti, e questo, seppur insostituibile all’adrenalina e bellezza di stare su un palco vero, risulta essere una manifestazione molto autentica e di grande importanza.
Che futuro vedi per la musica punk rock e rock in generale, in Italia così come nel mondo?
Si dice “punk is dead”, o anche il rock oramai. Menzogne! Finché rimarrà anche solo l’ultimo figlio di puttana a fare questo genere, nella sua sudicia cantina, non sarà mai morto davvero! Oggi, è vero, si sentono sempre più canzoni e carrozzoni di generi con sempre meno chitarre elettriche e batterie vere, ma la forma canzone del rock e derivati continuerà a influenzare per sempre a parer mio il futuro della musica, ormai è qualcosa di trascendentale, ha un’eterna influenza diretta o indiretta che sia. Sono certo che là fuori è pieno di canzoni “pop – synth – indie – trap e menate varie” che prima di essere over prodotte con basi elettroniche attuali erano semplicemente un giro di accordi di chitarra, nato alle 2 di notte nella cameretta di qualcuno, e questo resta fottutamente punk rock!
Quali sono le tue speranze per il 2021?
Beh, prima di tutto la salute, che la scienza medica riesca a tutelarci completamente da questo spaventoso e invalidante virus. Che si riesca con i tempi congrui ad arrivare non alla normalità, ma a qualcosa di nuovo, più consapevole e migliore di prima! Ovviamente spero di riuscire ad approfondire i campi del mio progetto musicale che nello scorso anno sono stati limitati, come portare i brani di “Migliaia di Frammenti di Luce” dal vivo, il più possibile, divertirmi, fare nuove esperienze, continuare a promuovere il disco in sempre nuove occasioni, e magari a un certo punto concentrarmi anche a produrre nuove musica! State bene, e godetevi le cose belle!