Interview: Luca Di Maio
Abbiamo parlato al telefono con Luca Di Maio pochi giorni prima dell’uscita a sorpresa del suo secondo disco solista Piccole Armi/Grandi Imprese. La chiacchierata mette in luce la visione del musicista napoletano sia dal punto di vista del songwriting che della realizzazione delle canzoni.
Come autore di canzoni, sei uno che scrive sempre, o lo fai solo quando è necessario per fare un disco?
Io scrivo costantemente, ma non mi metto mai a finalizzare a meno che non abbia un obiettivo, ad esempio una canzone per qualcun altro, una colonna sonora, o, appunto, un disco.
Adesso che hai pubblicato un disco, esso è composto da tutte le canzoni che hai scritto per questo scopo o hai dovuto fare una selezione?
Ho sempre qualche canzone che avanza, ad esempio Orecchie D’Asino era stata esclusa dal disco precedente, poi ad esempio Quand’Ero Felice l’avevo scritta per Serena Altavilla che la canta con me. Poi, nello scrivere le canzoni per il disco, ho abbozzato un po’ di cose, ad esempio ce ne sono un paio che mi porto dietro da molto tempo e ancora non ho trovato la quadra, e un altro paio di bozze su cui non mi sono ancora soffermato. Ho preferito dare la priorità alle canzoni presenti nel disco, e poi le tempistiche sono sempre molto strette, anche perché devo fare altri lavori. Comunque, mi è avanzato un po’ di materiale, un po’ di sketches.
A proposito dello scrivere canzoni per altri, recentemente, sempre in un’intervista, Giorgieness mi ha detto che per lei l’ideale sarebbe che, quando devi scrivere per qualcun altro, quella persona fosse lì presente, ma ovviamente non è quasi mai possibile. Tu come la vedi?
Io ho scritto quasi solo per persone che già conosco, ad esempio con Serena avevamo già lavorato insieme e con altri amici per cui ho scritto abbiamo collaborato anche adesso per il mio disco. Oppure c’è il caso di Fabiana Martone, la cantante dei Nu Guinea, che ha fatto un disco solista e ha recuperato un pezzo che ho scritto 15 anni fa, con lei ci conosciamo da tanti anni. Per cui, per fortuna, non ho questa difficoltà di cui parlavi, e in realtà mi piace scrivere per queste persone perché mi sento più libero, perché per i brani miei sono molto severo, non voglio uscire da certe idee che ho, anche a livello di sound e di armonie, invece per altri mi sento più tranquillo proprio perché non devo subire il mio stesso controllo, non so come spiegarlo.
In questo disco, più che nel primo secondo me, c’è molto lavoro sul suono, sul ritmo, sulle armonie e sulle parti vocali. Quando scrivi le canzoni, pensi già anche a queste cose o sono momenti separati di lavoro?
Per quanto riguarda il disco precedente, che è stato fatto con Marco Parente, le canzoni erano scritte principalmente chitarra e voce, poi io avevo certe idee per gli arrangiamenti, ma le ho messe da parte, oppure le ho rielaborate con Marco. Per questo disco, invece, ho sempre scritto le canzoni chitarra e voce, e poi mi sono fatto trasportare da piccole cose e ho ri-lavorato i pezzi. Dove Sei?, ad esempio, era un pezzo lento, chitarra e voce, e invece è diventata una canzone tribale, e in generale ho cercato di non rimanere troppo affezionato alla struttura chitarra e voce. Anche i testi e le melodie li ho rielaborati mentre lavoravo agli arrangiamenti. In definitiva, l’idea iniziale è chitarra e voce, ma poi la metto da parte e, quando la riprendo, lavoro alle canzoni e possono cambiare rispetto all’idea iniziale.
Questo disco l’hai fatto principalmente con Asso e poi con alcuni ospiti, e da quello che ho capito erano persone con cui già ti conoscevi.
Sì, con gran parte dei Nu Guinea avevamo già lavorato assieme per tanto tempo perché loro facevano parte della mia band storica, gli Insula Dulcamara. Serena l’avevo contattata per la cover natalizia della canzone di John Lennon, poi c’è Sergio Salvi che dà una mano importantissima nel disco ed è uno dei miei più cari amici, poi c’è anche il mio proprietario di casa che suona le trombe… Solo con Rea, la musicista che suona in Sant’Eurosia Degli Alberi, non ci conoscevamo, io l’ho vista live a Roma che sonorizzava un film muto dal vivo, e mi era piaciuta molto, poi l’ho contattata e le ho proposto il pezzo e ci abbiamo lavorato. In linea di massima, tendo a usare come collaboratori o persone che conosco o, se me lo posso permettere come tempistiche e budget, che mi piacciono. Un caso particolare è quello del batterista, Niccolò, che mi era stato consigliato da Asso per la parte di batteria di cui avevo bisogno, e lui è stato bravissimo, ha fatto tutto in un giorno con pochissime indicazioni da parte mia.
In generale fai sì che gli ospiti possano dare il proprio contributo liberamente, senza troppe indicazioni?
Io do loro un’idea di massima, come sensazioni e se ci sono cose particolari, poi, visto che li conosco e mi fido, e sono musicisti anche molto più bravi di me, mi affido a loro. Con Asso, che è davvero un mostro, ci siamo confrontati di più, visto che suoniamo lo stesso strumento, ma poi ho lasciato fare il più possibile a lui.
Rispetto al disco precedente, trovo che qui ci sia un sono più saturo e con più stratificazioni.
Sono d’accordissimo, e secondo me la differenza principale tra i due dischi è questa: nel precedente, c’era Marco, che è molto affine a me, sia come persona che come gusti musicali, come approccio, per cui lui ha carpito benissimo certe influenze alternative che ho, come i Wilco o gli Elbow. Io, però, ascolto tantissima musica e ho sempre allargato i miei orizzonti, e negli ultimi anni ho ascoltato tanta musica etnica e tanta elettronica, e ho cercato di mettere questa cosa in questo disco. Ho voluto cercare di slegarmi dall’idea della canzone e divertirmi un po’ di più, anche di dominare le canzoni, che sono meno pulite e, come dicevi tu, più sature. Ad esempio, io tengo molto a Per Farti Un Dispetto, e l’ho cambiata completamente da com’era all’inizio, eliminando quasi del tutto la chitarra. Tutte le influenze che ho sono state messe nel disco tramite piccoli suoni, ma il loro insieme crea una cosa un po’ diversa. Volevo staccarmi, ancor più che nel disco precedente, dall’idea del cantautore nel senso classico del termine.
Vorrei anche parlare del lavoro sulla voce, perché anche in questo aspetto mi sembra che ci sia più ampiezza espressiva.
Il fatto è che si cresce sempre, e poi c’è anche un discorso pratico, perché buona parte delle voci le ho fatte a casa, con un microfono di medio-bassa qualità, e proprio questa cosa mi ha permesso di farlo a mio agio, proprio quando riuscivo finalmente a capire cosa volevo dire, e poi ci sono esempi particolari, come Per Farti Un Dispetto e La Fragola nella Pancia Dell’Orso, che sono cantate con la febbre, e si sente, ma a me piaceva l’idea di farlo così perché la ritenevo una cosa giusta, e in studio non avrei mai potuto farla. Ovviamente, ammetto che questo discorso ti porta a mille limitazioni, ad esempio io vivo con altri coinquilini, quindi ho dovuto buttare via tante tracce perché si sentivano i rumori di loro che cucinavano. Poi, anche qui, ho cercato di liberarmi, nel disco precedente non mi andava di alzare tanto la voce, e in realtà nemmeno qui, però ho cercato di cantare in modo un po’ più fluido e di starci attento a questa cosa.
Parlando dei testi, mi sembra che tu non abbia paura di far arrivare all’ascoltatore immagini forti, senza compromessi, poni proprio l’ascoltatore davanti a cose di grande impatto e non ti fai problemi nel farlo.
Questo è vero, in realtà quando scrivo penso sì a chi andrà la canzone, ma in realtà sto parlando con me stesso, mi interrogo e faccio riflessioni ad alta voce. Poi, spero che si capisca che non intendo essere spocchioso nel dire questa cosa, io sono molto infastidito dalla quantità di testi che banalizzano la realtà che abbiamo intorno. Non è che la semplifichino, che sarebbe un discorso poetico, quasi, ma proprio rendono tutto immediatamente comprensibile e superficiale, e non solo per il significato delle parole, ma anche per il loro suono. Pensiamo a Fedez, proprio per dirne uno su tutti, che fa quei piccoli giochi di parole del tipo “mi piace che tu stia sulle coperte” e poi ci mette la parola “copertine”, cose così. L’intrattenimento ci sta, ma la quantità di questa superficialità mi indispone moltissimo. Poi scrivo pensando che esista gente come me, a cui piace interrogarsi sulle cose e scoprirne di nuove.
A me ha colpito molto, in Le Fragole Nella Pancia Dell’Orso, il modo in cui tiri fuori questa immagine dolcissima e poi, di colpo, dici “basta poesia”, trovo questo cambio repentino di scenario una cosa di grande impatto.
Quel testo mi ha praticamente tolto la salute, perché è stato molto complicato scriverlo. La fragola nella pancia dell’orso è un modo di dire estone per parlare di qualcosa che sta nel posto giusto. Io l’ho rielaborato, ma l’idea era proprio questa, anzi, posso fare una domanda io a te? Di cosa pensi che parli questo pezzo, che cosa ti è arrivato?
Mi è arrivata l’idea che si può cercare di vivere le cose e di raccontarle cercando di rimanere in ordine, ma poi in realtà bisogna comunque buttarsi fuori prima o poi. Il “basta poesia” lo vedo proprio come un messaggio che non bisogna avere remore nel dire le cose e nel comportarsi di conseguenza.
È esattamente così. Il pezzo parla di desiderio e anche di sensualità, quando parlo degli uomini che bucano le montagne voglio evocare il disagio della penetrazione, l’idea è quella di “no more Mr. nice guy”, certe cose vanno prese di petto.
Come ti stai organizzando per fare i live? Non sarà semplicissimo rendere il disco dal vivo.
Il discorso è complicato, confesso di essere in alto mare. Farò qualcosa chitarra e voce, anche se non vorrei.Faccio un discorso molto sincero: non ci sono molti soldi per i live in Italia, e io non voglio non remunerare il lavoro, e se metto su una band voglio quindi corrispondere i giusti compensi. Inoltre, non avrebbe senso mettere su la band per fare pochi concerti. Gli arrangiamenti possono essere fatti in quartetto, ed è anche una questione di opportunità, stiamo cercando di capire come poterci muovere e spero di poter risolvere tutto nei prossimi 15 giorni. Ci terrei a sottolineare che la difficoltà principale è quella di trovare apertura da parte dei posti deputati a farci suonare, il coraggio di fare una cosa un po’ diversa rispetto ai nomi medio-grossi che girano più facilmente e alle cover band. Se non si dà spazio anche a realtà su cui si deve un po’ scommettere, rimane tutto un po’ appiattito, proprio a livello di offerta culturale.
La foto è di Elisa Fiore