Interview – Il Teatro degli Orrori
Uscito ad ottobre 2015 per La Tempesta, l’omonimo disco del Teatro degli orrori si presenta come un disco intenso di contenuti, tanto nei testi, quanto nella musica. Diverse sono le tematiche affrontate; il sound potentissimo: difficile rimanerne “disinteressati e indifferenti”. Dopo il successo del tour autunnale, il TDO è di nuovo in tour. Ecco cosa ci siamo detti in un’intervista via mail.
PpC sta per Pierpaolo Capovilla e GM per Gionata Mirai.
IL DISCO
Sono passati quattro mesi dall’uscita de “Il Teatro degli Orrori”. Questo disco si distacca nettamente dal vostro precedente lavoro “Il Mondo Nuovo” sia sotto il profilo della linguaggio utilizzato (più diretto), sia per quanto la musica (più potente). C’è chi ha parlato di “ritorno alle origini”, chi di “una nuova identità”…
PpC_ Io credo che siano corrette entrambe le osservazioni. Avevamo una gran voglia di ritornare ad un suono più schiettamente rock, come ai nostri inizi, ma così facendo la nostra musica è diventata, per come la vedo io, più moderna e up-to-date. Più “europea”, se vogliamo.
La formazione de Il Teatro degli orrori si è allargata. Già in occasione del tour de Il mondo nuovo, si erano aggiunti Kole Laca e Marcello Batelli (rispettivamente tastiere e chitarra), che hanno dato un valore aggiunto al sound del gruppo. Il loro inserimento in studio ha inciso in qualche modo nella realizzazione del nuovo disco? Ha modificato la struttura dei pezzi nella loro nascita ed elaborazione? In che modo?
GM: E’ come se Kole e Marcello avessero “capito” e interpretato lo spirito del Teatro degli Orrori, l’attitudine che ha sempre mosso le nostre canzoni e sono riusciti, in fase compositiva, a contribuire in modo estremamente coerente nonché sostanziale. Il riff iniziale di Benzodiazepina, ad esempio, è di Marcello e mi sembra parecchio “Teatro degli Orrori”, come lo scheletro di Lavorare Stanca nasce da un’idea di Kole e Marcello, mi pare e personalmente credo che sia uno dei pezzi meglio riusciti del disco. C’è un intreccio tra chitarre e tastiere, in questo album, molto equilibrato, forse come mai prima e questo è merito anche e parecchio dei nuovi arrivati, che poi così nuovi, non sono…
Trovo che, traccia dopo traccia, si assista a un’esplosione di rabbia senza soluzione di continuità, non solo nei testi ma anche nei suoni, grazie a chitarre graffianti (a tratti noise), all’introduzione di synth e tastiere (che spesso creano un sound quasi industrial). Il disco suona come un pugno nello stomaco, e anche ben serrato.
GM: bene, è esattamente l’effetto che desideravamo.
Numerosi sono i temi trattati (lavoro, politica, gli abusi da parte delle forze dell’ordine, la pratica del TSO…). Il teatro degli orrori si presenta come una raccolta di istantanee che fotografano l’attuale situazione del nostro paese, in tutta la sua verità più cruda. La musica è uno strumento per farsi portatore di un messaggio? Il musicista ha un “ruolo sociale”?
PpC_ Il mio punto di vista in merito è noto da tempo. La musica leggera, la canzone popolare, e con esse il rock, rappresentano un fatto “politico”. E per di più significativo. Con la musica possiamo divertirci, intrattenerci, pensare ad altro. Così come possiamo fare l’esatto contrario: riflettere, approfondire i temi trattati nelle canzoni, e persino precipitare nelle narrazioni, farle proprie, nel segno di un’autentica letteratura.
I vostri testi sono sempre stati molto impegnati. Tuttavia, nel nuovo lavoro c’è una tematica inedita: quella relativa all’uso degli psicofarmaci, alla pratica del TSO. Leggendo diverse interviste ho scoperto che Benzodiazepina è nata in brevissimo tempo. Questo mi fa pensare che forse è un argomento che sentite particolarmente…
PpC_ In Italia e nel mondo si fa un uso di psicofarmaci inconsapevole, acritico, ed incosciente. Il commercio di queste sostanze è diventato epidemico, e colpisce in volto la vita delle persone, sopratutto dei più giovani. Sono sostanze insidiose e pericolose, che trasformano il pensiero e inducono sintomi iatrogeni (dovuti all’uso stesso dei farmaci) anche gravi in coloro che ne fanno uso per un tempo prolungato. E certo, quello degli psicofarmaci è un tema che consideriamo urgente, così come è diventato urgente e ineludibile un ragionamento serio e approfondito sul rapporto fra psichiatria e società.
Altro tema che viene trattato è quello relativo ai fatti di Genova. Anche i Drunken Butterfly hanno dedicato un pezzo (Genova) del loro ultimo disco (Codec_15). E’ passato molto tempo da allora, i processi sono terminati con sentenze di assoluzione per intervenuta prescrizione, l’Unione Europea esorta il Parlamento affinchè venga introdotto il reato di tortura. Di fronte all’’inerzia della politica, al rischio che tutto cada nell’oblio, avete sentito l’esigenza di ricordare una delle pagine nere della storia italiana?
PpC_ E certo! I fatti di Genova sono e restano una ferita aperta nella democrazia italiana. Ricordare quegli accadimenti significa combattere, da un punto di vista della sensibilizzazione dell’opinione pubblica, la sottocultura fascistoide, violenta e prevaricatrice, presente in grande misura nelle forze dell’ordine italiane.
Al primo ascolto, il messaggio che si percepisce è quello di una visione nera e pessimista della società, del genere umano, della classe politica. In realtà, credo che ad un ascolto più attento, emergano altri due tipi di messaggio. In primis, quello di un amore profondo per il proprio paese, e questo disco suona come un “è ora di svegliarsi, fate qualcosa, cxxxx!”. In secondo luogo, alla fine si intravede una luce in fondo al tunnel. Mi riferisco a “Una Giornata al Sole”. C’è un messaggio di speranza, come a dire “alla fine, ce la faremo!”. Siete ottimisti?
PpC_ Come diceva Pasolini, “non c’è mai disperazione, senza almeno un po’ di speranza”. Se la disperazione in cui giacciono le nostre esistenze in questo frangente storico e in queste circostanze sociali e politiche, non celasse un filo di speranza, un desiderio di cambiamento e di progresso, diventerebbe semplice e inutile nichilismo.
I LIVE
A poche settimane dall’uscita del disco, è partito il tour autunnale che vi ha visti su moltissimi palchi italiani. Io ho avuto la fortuna di vedervi al TPO di Bologna: un concerto lunghissimo ed intensissimo. Qual è il rapporto con il vostro pubblico? E’ cambiato negli anni? Ed il vostro pubblico è cambiato?
PpC_ In tutta franchezza, osserviamo che non stiamo più facendo i numeri di tre o quattro anni fa. È un po’ come se il nostro pubblico si fosse auto-selezionato: restano i patiti e gli amanti del rock più autentico e radicale, mentre molti, più giovani e più aderenti ad un immaginario musicale “giovanilistico”, si sono diradati. Ma il nostro è e resta un pubblico intergenerazionale, dove si coniugano giovanissimi, adulti, e persino i diversamente giovani, come li chiamiamo ora.
Avete scelto di dedicare la prima parte del live interamente al nuovo disco; mentre nella seconda parte suonate pezzi dei precedenti album. Perché invece non alternare il nuovo ed il vecchio?
PpC_ È esattamente ciò che stiamo facendo ora. Nella prima parte del tour abbiamo optato per una scelta molto netta e radicale: il nuovo album per intero, tutto d’un fiato, e subito dopo i cavalli di battaglia. Ora stiamo sparigliando le canzoni, nuove e vecchie si incontrano e scontrano fra loro, in un crescendo allucinato che sfocia, al suo termine, in un finale amorevole e quasi affettuoso.
C’è un aneddoto, un episodio simpatico e uno che vi ha fatto davvero incazzare del tour che vorreste raccontarci?
PpC_ Beh … All’Orion, a Roma, mi sono incrinato un po’ di costole. Una caduta rovinosa sul palco, di schiena e contro un front-fill. Le date immediatamente successive sono state per me una tortura indicibile. Che ricordo spaventoso! In quelle condizioni quasi fatichi a respirare, il diaframma rigidissimo e dolorante, le notti insonni, le giornate spese interamente ad assumere antinfiammatori, antidolorifici e cortisone, e infine i concerti. È stato terribile. Ma è appagante farcela ogni sera, riuscire a salire sul palco e come se niente fosse gettarsi sulla folla. Mi hanno soprannominato “kamikaze”. Non mi dispiace!
Dopo il tour autunnale, siete di nuovo in giro per l’Italia. Riproporrete la stessa scaletta o ci saranno cambiamenti?
GM: Se intendi la primavera/estate 2016, sì, siamo e saremo in giro. La scaletta rispetto alla prima tranche di concerti è cambiata, abbiamo mescolato le carte (fino a Natale abbiamo proposto un concerto in due parti, una di presentazione del solo e intero disco e una seconda di pezzi dai dischi precedenti) e rischia di cambiare anche più spesso del previsto, visto che ormai abbiamo molte canzoni in “archivio” e molto spesso è un peccato, solo per questioni di durata del live, lasciare fuori pezzi a cui si è affezionati…
La dimensione live è fondamentale per un gruppo, ma anche per il singolo artista. Tra una tappa e l’altra lavorate ad altro, su nuovi pezzi? O invece siete totalmente immersi e concentrati sul tour?
PpC_ Io sto facendo di tutto. Dai reading pasoliniani, a “conferenze” nelle scuole, da estemporanee letture majakovskijane agli appuntamenti pubblici con il Forum salute Mentale per la Campagna per l’Abolizione della Contenzione Meccanica. Cerco di darmi da fare… Ho in progetto uno spettacolo meta-teatrale su testi di Carmelo Bene e Antonin Artaud, una breve parte in un film davvero intrigante, e così via. Se mi fermo, vado in paranoia.
Una domanda per Pierpaolo e Valente. Insieme a Iriondo e Robinson avete creato i Bunel, dando vita ad un disco straordinario, caratterizzato da una violenza sonora eccezionale. Dal vivo, A resting place for stranger, è ancora più cattivo e potente. Vi chiedo, questa esperienza cosa vi ha lasciato? Inciderà in qualche modo sul TDO?
PpC_ Beh … Credo sia inevitabile che le esperienze che fai si stratifichino e diventino parte dell’arte che hai in mente e che desideri. Ma Il teatro degli Orrori possiede una personalità forte e salda. Bunuel è un progetto estremo e massimalista, non credo influenzerà Il Teatro in modo significativo. Ma attenzione: quel suono così radicale e hard-core appartiene alla nostra formazione artistica e musicale. Il teatro degli Orrori ne è sempre stato condizionato, in un modo o nell’altro.