Interview: Estra
Contributo di Luca Doldi
In occasione dello showcase svoltosi di presentazione del mini-tour che segna il ritorno sui palchi degli Estra, storica band messasi in ‘pausa’ nel 2004, ho intervistato Giulio Casale e Alberto “Abe” Salvadori rispettivamente voce e chitarra della band.
Ci hanno illustrato i motivi di questo ritorno e di come sono cambiati loro e il mondo della musica e accennato a quello che vedremo sui palchi di Roncade,Milano,Firenze e Roma ad Aprile e oltre…
La chiaccherata è stata fatta insieme a Luca Doldi di RockOn.it per motivi di tempistiche strette.
Giulio: Non per i soldi (ridiamo ndr) e non per nostalgia. A dire il vero non ci siamo mai sciolti, quindi non si può parlare di reunion, siamo semplicemente sbadati, ci siamo dimenticati di salutare. L’anno scorso ci siamo ritrovati, per la prima volta tra l’altro, tutti e quattro seduti intorno ad un tavolo e ci siamo detti che sarebbe anche ora di farlo questo saluto, dieci anni dopo dall’ultimo concerto dell’autunno 2004. Senza scomodare parole troppo grandi : abbiamo voglia di ricominciare. Io è da 10 anni che non prendo in mano la chitarra elettrica e non faccio parte di una band, per cui mi fa particolarmente piacere.
Abe: per me è stato come ricominciare da capo, in questi 10 anni sono stato un eremita, musicalmente parlando(ridiamo ndr) non ho fatto quasi nulla, quindi questo mi fa molto bene e credo anche al gruppo perché abbiamo ritrovato la voglia di riprendere in mano tutto e inventarsi cose nuove.
Rockon: Oltre questi concerti c’è altro in programma?
Giulio: l’idea è di fare anche le dati estive, non solo queste quattro, ci sarà anche qualche festival e poi è tutta una incognita, sia come staremo noi che quanto ci divertiremo e quanta energia riceveremo. Per cui diciamo che non ci poniamo limiti, la cosa è sincera, nasce solo per questo motivo.
Rockon: Quindi non ci sono programmi…
G: Non ci sono programmi e addirittura i pochi inediti che proporremo non li pubblichiamo neanche su un supporto fisico. Per cui non è sicuramente un’operazione di business, è veramente pura voglia e desiderio di tornare in pista. Poi i segnali sono molto confortanti perché a me capita di girare l’Italia e quasi in ogni piazza in cui vado sento questa voglia, quest’affetto. Che tra l’altro è davvero sorprendente, perché non abbiamo veramente mai più fatto parlare di noi, è molto bello.
I-R: I vostri pezzi saranno in parte riarrangiati oppure preferirete riportarli alla luce così com’erano?
G: Una delle prime cose che ci siamo detti è stata “Non diventiamo la cover band degli Estra”, per cui non ci siamo posti il problema di ritrovare esattamente quella chimica o quel suono. Quindi ci sarà qualche piccola o grande sorpresa, ci siamo presi il lusso di reinterpretarci. Dieci anni dopo, abbiamo tutti più di quarantanni, ognuno di noi ha fatto il suo percorso…
Rockon: Avete anche una visione diversa…
G: Esatto, che sia solo vitale o artistico o esistenziale è ovvio che sei un’altra persona. Tra l’altro per noi è sempre stato programmatico questo, il primo disco si chiama Metamorfosi, il secondo Alterazioni, l’unica fede che ci siamo concessi è quella di rimanere fedeli a noi stessi, cioè fedeli nel cambiamento e penso che questo ci accompagnerà tantissimo oggi più che mai dato che siamo altri, siamo “alterati”…
anzi in questi concerti ci sarà un quinto elemento, un polistrumentista che ci aiuterà, secondo me non a fare chissà quali voli, ma proprio a dare il suono che abbiamo noi in testa e nel cuore oggi. Ma anche una chitarra in più.
Rockon: Quindi saranno abbastanza rivisitate le canzoni…
G: Alcuni sì, altri come per esempio Miele secondo me è così, è nata così e così morirà.
Rockon: Com’è stato riprenderle in mano dopo dieci anni, che sensazioni avete avuto? A me è capitato di ritrovarmi con un vecchio gruppo e risuonare i pezzi e mi è sembrato un po’ strano, per voi com’è stato?
A: Come dicevo prima è come ricominciare da zero. Sì è vero c’è la canzone c’è la struttura, ma ci siamo trovati veramente a reinventare tutto.
G: Sì lo spirito è proprio non fare la cover band, non per forza ritrovare quella versione, ma risuonarla come la suoneremmo oggi
A: Comunque è una cosa molto stimolante, non è solo nostalgia, ma una cosa nuova.
Rockon: Voglia di renderle anche più attuali forse?
G: Più attuali per come siamo noi, non perché stiamo inseguendo una contemporaneità a tutti i costi.
I-R: Pensate possano essere recepite come succedeva a noi a vent’anni?
G: Abbiamo anche un piccolo vantaggio perché avendo sempre avuto più o meno un sound molto scarno, mi sembra che le canzoni non siano invecchiate in maggior parte. Ci sono alcuni pezzi che io non scriverei più, ma questo fa parte di me, ma a livello di proposta e quindi di suono quello che ci ha stupito in questo ritrovarci, è il fatto che tutto sommato il nostro suono è ancora attuale. Questo può aprire molti dibattiti, cioè è il rock che non va da nessuna parte o noi eravamo in anticipo o…
I-R: Penso dipenda da cosa è resistito nel tempo, pensa ai Pearl Jam il loro suono è ancora attuale e non hanno cambiato di molto.
G: Sono d’accordo (ridiamo ndr)
I-R: Nel periodo in cui eravate in attività c’era tanto fermento intorno al rock, cosa che poi è svanita negli anni successivi, in questo momento c’è un movimento molto ampio per quello che riguarda le band indie, voi avete sentito qualcosa, avete avvertito questa cosa oppure no?
G: Io assolutamente sì, continuo a essere curioso e ho anche la fortuna che essendo spesso in giro per l’Italia, alla fine degli spettacoli spesso c’è qualcuno che mi regala dei dischi e trovo anche il tempo di ascoltarli. Ci sono un sacco di cose interessanti, proprio tante. Altro discorso è se queste cose riescono ad avere un perso, se riescono a trovare spazio. Noi abbiamo avuto qualche (non tante) fortuna sotto quel punto di vista, perché siamo arrivati in un momento in cui anche nell’industria, forse grazie ai Nirvana prima e in Italia ai nomi che sapete, come ad esempio i CSI ma anche altri molto più di massa, c’era questa idea che anche il rock potesse arrivare al grande pubblico. Per cui evidentemente abbiamo beneficiato di un momento di quel tipo. Poi dopo è arrivato quello che sappiamo in termini di crisi dell’industria e quindi, a maggior ragione, chi ha un certo tipo di suono, un certo tipo di proposta fa ancora più fatica degli altri. Tant’è vero che in realtà oggi a livello di grande proposta il suono come il nostro non c’è più. Potrei fare dei nomi di cose bellissime che ci sono in giro in questo momento in Italia, ma altro discorso è quanto riescono ad arrivare alle orecchie di chi magari sarebbe interessato, ma se non ha la curiosità di andarselo a cercare personalmente, non lo incontrerà mai, no? Mentre c’erano delle band insieme a noi che riuscivano comunque ad avere una chance di farsi vedere o di farsi sentire, questa è un po’ la differenza. Poi il prezzo che si paga a lavorare con l’industria lo conosciamo anche quello, e sarebbe un altro lungo discorso. Però c’è tutto dentro questo discorso, cioè la bellezza di fare la musica che vuoi fare e la possibilità di farla sentire. Ma per farla sentire devi anche combattere tutti i giorni con chi vorrebbe che tu facessi cose più fruibili. E gli Estra conoscono anche questo, forse anche più di altre band come noi, perché noi eravamo con una major tra l’altro. Altre band erano indipendenti anche nel senso tecnico. Noi facemmo una scelta diversa per la quale abbiamo dovuto conquistarci più di altri la credibilità, proprio perché non venivamo da una super casa di lusso indipendente.
Rockon: Volevo riallacciarmi a questa cosa che hai detto, io mi ricordo che quando è uscito Tunnel Supermarket, sembrava un po’ il disco per allargare gli orizzonti, per arrivare a più persone. Poi forse non ha dato il risultato che sperava sia la major che probabilmente anche voi, e a causa di questo dopo si è rotto un po’ qualcosa. E’ stato questo che poi vi ha spinto a lasciare in frigorifero il progetto oppure altro?
G: C’è da dire una cosa, Abe ricorda spesso un nostro incontro con Steve Wynn, quando noi gli dicemmo che noi eravamo già insieme da dieci anni e ci trovavamo tutti i giorni, o comunque un giorno sì e un giorno no, ed è così che fai una band, che fai un suono…. C’è da dire che in quel momento, confesso questa cosa, mentre lavoravamo alla scrittura di Tunnel Supermarket, per la prima volta in dieci anni, gli Estra non erano più insieme rispetto all’obiettivo finale, era la prima volta in cui forse ciascuno di noi avrebbe fatto un disco diverso. Mentre fino a Nordest Cowboy eravamo tutti convinti che l’unica cosa che dovevamo fare in quel momento era quella lì. Quindi Tunnel secondo me è già il risultato di un qualcosa che c’era dentro la band. Se ci aggiungi a questo le pressioni che avevamo all’esterno, sarebbe un discorso veramente lungo, ma purtroppo io mi ricordo tutto… Intanto era successo che i CSI erano andati al n.1 in classifica, i Subsonica avevano vinto Sanremo praticamente, allora improvvisamente c’era questo fottimento per cui chiunque venisse dall’indie avrebbe un giorno potuto diventare Tutti i miei Sbagli dei Subsonica o Forma e Sostanza dei CSI e questo è stato un fottimento per tutti, tant’è vero che da quel momento in poi è impazzito tutto e non si è più capito nulla. Noi siamo parte di quella confusione in quel momento. Rivendico però il fatto che Tunnel Supermarket era un disco idealmente molto pensato. Cioè il titolo era proprio quello, lontanamente era Ok Computer, cioè “Ok siamo nel supermarket”, ma non solo noi quattro, tutti. L’idea era quindi quella di riuscire a dare un suono che partendo sempre da chitarra basso e batteria potesse darti il senso di questo fottimento, ma il disco non fu compreso affatto, causa anche una cover che qualcuno si ricorda. Ma l’operazione non fu compresa, perché noi eravamo “Alterazioni”, il nostro zoccolo duro non capì che era un’altra faccia della stessa medaglia, era semplicemente un arricchire lo stesso tipo di proposta.
A: Sì però non hai finito il discorso di Steve Wynn (ride ndr), che disse che le band hanno una vita fisiologica, di credo sette anni…
G: Meno, meno… diceva che era impossibile, come fate, dopo tre/quattro dischi, dopo sei anni, se una band è composta di quattro elementi è fisiologico che esploda in un’altra direzione…
I-R: Però ora Lui ha riformato di Dream Syndicate…
A: eh ma lo ha fatto per soldi! (ridiamo ndr).
Io tra l’altro mi ricordo che nel periodo in cui abbiamo smesso, si era guastato molto tutto l’ambiente del sottobosco musicale italiano. Erano i primi anni in cui internet veniva usato molto dalle band per commentare quello che facevano le altre band. Invece di sostenersi tutti cominciavano a darsi mazzate sulle ginocchia. Questo un po’ ci aveva anche infastidito e insieme a tutte le altre cose ci ha fatto dire “lasciamo un po’ perdere”.
G: Mi ricordo i Marlene che venivano appunto falcidiati…
Rockon: Si, hanno combattuto parecchio contro quel problema…
G: Io e Cristiano adottiamo due linee opposte, cioè Cristiano si mise a rispondere ad ognuno io invece lasciai perdere, cosa che peraltro faccio tutt’ora.
Rockon: Penso che ad un certo punto della carriera di una band lo zoccolo duro dei fans diventi non dico un problema, ma una cosa che ti crea problemi quando tu cerchi di andare verso un’altra direzione…
A: Non è disposta ad accettare il cambiamento…
Rockon: E invece c’è gente che ti vuole sempre uguale, che poi forse è il problema che è venuto fuori quando è uscito Tunnel Supermarket…
G: Sì sì, è proprio così. Io speravo che avendo dichiarato da subito la metamorfosi (fa riferimento al loro primo disco, ndr), questo fosse un patto no? Siamo sempre noi e tutte le volte faremo un disco diverso e così abbiamo fatto, perché non abbiamo mai fatto un disco uguale all’altro.
I-R: Il fan vuole sempre essere ventenne e sentire sempre le stesse cose.
G: Ma infatti quando prima dicevo, noi non abbiamo nostalgia… sicuramente il fan è uno che ha sempre nostalgia, della prima volta, del primo disco, della prima volta che ti ha visto, della prima volta che si è innamorato di una tua canzone. Però se un artista è un artista ha il diritto/dovere di rinnovarsi. Poi anche lì ci sono artisti che per tutta la vita fanno lo stesso quadro, arstisti che invece tutti gli anni fanno una nuova mostra, noi siamo sempre stati del secondo tipo. E tra l’altro il mio percorso personale credo lo dimostri ancora di più, da lì in poi ho fatto talmente tante cose che è come andarsi a cercare continuamente in un altro posto. Finché ti ritrovi però, attenzione, non fare la qualunque, fare cose che ritieni necessarie anche se apparentemente magari sei “sconsigliato”. Che poi c’è anche un fatto di business che è terrificante, questo “dover funzionare” è la morte di tutto. Eppure ci fai i conti perché essendo un mestiere ci devi fare i conti. Non siamo elettrodomestici diceva un nostro amico ed è così, invece DEVI funzionare, perché quando qualcuno schiaccia il bottone e non funzioni più, basta, sei a casa.
Rockon: Invece a proposito di nostalgia, mi ricordo che Metamorfosi me l’ha passato un mio compagno di classe in cassetta. (sulla parola cassetta tutti e due spalancano gli occhi, ndr)
Giulio e Abe: Ah sì c’erano ancora le cassette…
Rockon: Sì, che detto adesso sembra assurdo.
G: Così ci fai sentire vecchi però…
Rockon: Ma anche io…
G: Ma cassetta originale intendi (sorride, ndr)
Rockon: Sì assolutamente originale… che poi ho duplicato però.
G: Aaaah (ridiamo, ndr)
Rockon: Se gli Estra nascessero adesso sarebbe più semplice per voi raggiungere il pubblico o secondo voi era più diretto e semplice prima.
G: Qui entriamo nel dibattito sulla rete…
A: Sì forse adesso i mezzi sono più “democratici”
Rockon: Più che sulla rete, io intendo sia come facilità che come qualità.
A: Il periodo sicuramente è molto diverso da quello in cui siamo nati…
G: E’ cambiato tutto, è imparagonabile…
A: Forse all’epoca c’era molta più attenzione e disponibilità…
G: All’epoca quel minimo di distanza che c’era ancora, questa cosa che l’artista era non rintracciabile comunque creava un interesse superiore. Il nostro primo disco si è imposto con cinque recensioni sulle riviste specializzate. Eravamo nel ’95, ’96, è stata l’ultima volta in cui le riviste specializzate hanno avuto un peso, attenzione è cambiato tutto anche da quel punto di vista. Quella volta lì mi ricordo benissima la recensione di Giancarlo Susanna su Il Mucchio Selvaggio che parlava di un piccolo capolavoro, quello è chiaro che l’interesse lo crea. Non so se poi crei anche l’acquisto, ma l’interesse, la curiosità li crea sicuramente. Oggi non è così perché tutti dicono tutto, tutti sanno tutto, nel giro di un secondo i primi trenta secondi di una canzone vengono ascoltati da tutti poi passiamo a un altro. Poi esistono delle cose virali Bellissime e spontanee ma qui appunto entriamo nel dibattito sulla rete, per cui io non credo che oggi sarebbe così. Noi in realtà ci siamo conquistati quello che ci siamo conquistati con i live perché molto prima di firmare un contratto vero, abbiamo vinto ogni concorso in cui abbiamo suonato. Da lì qualcuno ci richiamava a suonare nel locale vicino, ma tutto senza contratto, con due autoproduzioni in cassetta, e abbiamo venduto un sacco di cassette tra l’altro (ridono, ndr). Quindi parliamo di un’epoca completamente diversa. Però, credo che Abe me lo confermerà, che noi la credibilità ce la siamo conquistata più sul campo che sulla comunicazione.
Rockon: Quindi secondo voi da quel punto di vista sarebbe la stessa cosa anche oggi forse?
G: Forse sì, il problema è che mi dicono che i locali fanno più che altro cover band, che non pagano… Devi mettere insieme tanti elementi, probabilmente rispetto all’impatto che potremmo avere oggi su chi viene nel locale probabilmente sarebbe la stessa cosa. Ma mi dicono che anche i locali sono in crisi…In quel periodo c’era la curiosità, anche noi eravamo i primi che nei week end andavamo in giro per locali a sentire. Veniva una band che so a Brescia? Wow, andiamo a vedere questi cosa fanno. Oggi non lo so, perché appunto è facile a casa avere le informazioni e quindi magari uno dice “va be…”. C’è anche questo, non credo che siamo qui per parlare di questo, ma due anni fa io ho fatto un disco che sull’on line è stato un trionfo, nelle prime tre settimane non ho mai avuto così tanti riscontri, poi però abbiamo fatto quattro concerti di presentazione e la gente non c’era, lo dico senza nessun problema. Che poi sì c’era, ma non certo quella che mi aspettavo rispetto al “popo’” di recensioni, di osanna che c’erano stati. E la gente poi ti scrive “eh non potevo, avevo altro da fare, tanto il disco l’ho già sentito”, l’ho sentito per altro, non l’ho comprato.
I-R: Stessa cosa per il teatro, hai dovuto iniziare da zero, cioè hai iniziato con poco pubblico e poi la cosa è cresciuta o hai già trovato un ambiente diverso, curioso?
G: Il teatro è diverso quando non porti la tua cosa a teatro, ma è il teatro che ti inserisce in una stagione, è molto diverso, sono proprio due mondi completamente diversi. Certo, hai tutto il peso dell’absolute beginner, ma sei in una stagione, per cui come dire, è un’offerta culturale che il teatro fa al proprio pubblico. Poi devi riempirlo il teatro eh, ma è diverso, perché comunque c’è qualcuno che frequenta quel teatro, che si fida della proposta del teatro. Come quando i locali sapevano che dicevano “facciamo, che so, i La Crus “, tu dicevi “Chi sono i La Crus?”, però vado perché se me lo dice il mio locale di riferimento vado a sentire cos’è. E’ un po’ quella filosofia lì. Sempre meno eh, ma ci sono ancora operatori teatrali che fanno quel tipo di proposte.
Rockon: Anche perché poi i teatri vivono molto sugli abbonati, quindi se si accorgono che la proposta non è più valida…
G: Esattamente, per cui diciamo che la cosa davvero diversa è quella, c’è ancora la possibilità di proporre, mentre mi sembra che nella musica, nei grossi locali si viva della stessa legge, che è una cosa che non sopporto, cioè che anche il rock che nasce proprio come contraddizione, nasce proprio con controcultura, come controproposta, viva poi delle stesse leggi che governano il nostro fottuto mondo e cioè se una cosa funziona te la propongo, ma se non abbiamo la garanzia che vengano ottocento paganti, sai non ce lo possiamo permettere. E così è la fine di tutto, perché è così che si finisce a fare la coverband dei Depeche Mode, perché almeno lì la gente balla, gode.
I-R: C’è una scelta che avete fatto nel passato che a pensarci adesso magari non vi avrebbe portato a questo periodo di pausa e che invece avrebbe potuto farvi diventare gli Afterhours.
G: Mah io non ho rimpianti, non so… (indica Abe, ndr)
A: Direi di no, la refrigerazione è stata fisiologica, non è stata per scelte sbagliate, ci mancherebbe. Poi per carità c’era sempre da mettere d’accordo quattro teste, cinque anzi, per cui è ovvio che qualcuno era scontento magari di piccole cose ma in generale…
G: No anzi, se penso a quello che abbiamo sfiorato prima, il discorso del rapporto con la grossa industria, devo dire che siamo stati molto coraggiosi. Abbiamo sempre fatto esattamente il disco che volevamo fare, nonostante tutti i pareri sconcertati di chi ci li produceva.
A: Forse qualche volta abbiamo avuto un po’ paura di osare.
G: Certo quando hai addosso due direttori generali che ti dicono “Oh stavolta bisogna vendere cinquanta mila copie eh”…
Rockon: Sì non sei serenissimo poi…
A: Quando sei in studio a registrare e ti dicono “mi raccomando la voce che si senta bene”, e a te piacerebbe sentire che so di più la batteria e ti dicono “no no..”, sono esempi così per dire, piccole cose, però forse a volte saremmo potuti essere più coraggiosi.
G: Però è vero che gli Estra sono stati anche tra i pochi che hanno sempre fatto delle canzoni, quasi tutti i nostri dischi erano piuttosto formali, la sperimentazione era dentro la forma canzone. Per cui, come dicevo prima, in realtà ci sono delle cose che oggi non farei, però in quel momento io ho sempre fatto il disco che volevo fare. Come diceva un mio amico, Nordest Cowboys è il più bel disco degli Estra nonostante che Alterazione sia il più bel disco degli Estra, perché in Nordest c’era proprio l’equilibrio tra la produzione, tra quello che una band con le proprie forze può fare in più oltre ai tre strumenti di base e il live, cioè la band che sta suonando in uno studio.
Rockon: In Nordest c’era anche una ricerca di qualcosa di diverso rispetto ai dischi precedenti, forse era quello che andava di più verso il “cantautorato”, anche se questa definizione va presa con le pinze, comunque verso quella direzioni lì…
G: Perché inizia con Signor Jones… (ridiamo, ndr)
Rockon: No, no, però mi sembra quello più strutturato…
A: C’era anche stato un salto qualitativo notevole dalla scelta del produttore, Jim Wilson, e allo studio che erano più professionali e importanti rispetto a quelli precedenti, per cui c’è anche un impatto sonoro diverso.
Rockon: Ma invece i pezzi nuovi…?
G: Non ve li facciamo sentire qui eh (ridiamo ndr)
Rockon: Più o meno che direzione hanno preso? Sono recenti?
G: Sì sì, di questi ultimi mesi in cui ci siamo trovati a suonare, nascono proprio in sala prove da improvvisazione da riff…
A: Tra l’altro a dimostrazione che avevamo molta voglia di reinventarci e ritrovarci, siamo partiti direttamente con dei pezzi nuovi, poi ad un certo punto ci siamo detti, però se fra un paio di mesi dobbiamo fare i concerti forse è meglio che ripassiamo (ride, ndr), quindi sono totalmente contemporanei a noi.
Rockon: Il fatto che abbiate iniziato subito con dei pezzi nuovi significa che la “creatura” è viva…
G: Sì, forse la cosa vera era quella di non essere la cover band di noi stessi, mi sembra la cosa più importante, perché il rischio era talmente evidente… Dieci anni dopo riprendi in mano i pezzi e “come faceva?” “no, no non era proprio così…” e dopo ti incarti, non so come dire.