Interview – Dropout
Esce oggi venerdì 14 giugno 2021 su tutte le piattaforme digitali e in formato vinile Memories from a distant future, l’ultimo album di Dropout. Un nuovo e importante capitolo per l’alter ego di Davide Burattin, dal 1994 compositore e designer grafico in continuo movimento tra Italia, UK e Giappone. Immergetevi in un progetto stratificato e complesso le cui influenze vanno dal kraut-rock al folk, per una narrazione musicale e una visione di un futuro che la generazione X ha spesso immaginato e che non si è mai avverata.
Ecco cosa ci ha raccontato!
- Chi è Davide Burattin e chi è Dropout, e chi ha la meglio quando litigate?
Io sono la persona, con la sua normale quotidianità. Dropout è invece un progetto multimediale che si protrae nel tempo da parecchi anni ormai. E un progetto si inizia quando si ha ben chiara la direzione, sennò ci si perde già alla partenza. Ovviamente in che condizioni si arriverà non lo non lo si sa mai a priori, per quanto uno possa pianificare il percorso, ma è questo, in fondo, il bello del “viaggio”, l’aspetto inafferrabile e entusiasmante dell’arte.
Quindi non litigo mai con Dropout, al massimo “abbiamo” un intenso brainstorming di tanto in tanto. - Riesci a seguire anche la scena musicale in Giappone, hai qualcosa di interessante da segnalarci? Cosa funziona lì che qui invece non ancora?
Guarda, qui sono a un livello molto più accelerato di noi europei. Innanzitutto, da buoni giapponesi, danno molta attenzione all’aspetto tecnico, quasi in modo esasperato, infatti ho visto ragazzini e (cosa più rara da noi) ragazzine di medie/superiori piazzare dei numeri che manco Steve Vai, e Van Halen messi insieme riuscirebbero a fare. E tutto, come detto, al 200% della velocità. Oppure capacità di vocalizzi impressionanti (forse anche per via della loro fonetica e tradizioni musicali orientali).
Beh, di base penso che il migliore dei nostri artisti potrebbe solo fare da usciere ai loro pari nipponici.
Ovviamente possiamo sindacare sul fatto che tutto questo tecnicismo e propensione all’estremo allenamento & sacrificio sia deleterio per la parte “emozionale” della musica. Ma non credo sia una cosa realmente comparabile con noi in quanto si tratta appunto di differenti culture anche a livello sociale.
Poi fai conto che la NHK (la RAI giapponese, per chiarirci) fa ancora servizio pubblico come si converrebbe, ovvero alla domenica c’è fisso il concerto di musica classica sul primo, in fascia oraria di punta. Oltre che bellissime trasmissioni sull’arte in generale per formare e orientare i ragazzi sul tema.
Per i miei gusti però, adesso fanno musica mainstream troppo commerciale, simil Black Music americana (del resto sono anche loro una colonia post-bellica USA…), che sovrasta da parecchi anni la loro cultura originale, la quale sarebbe in realtà molto interessante. Forse proprio per questo mi sono trovato a scavare con più interesse nel passato del Giappone, in particolare nella musica cosiddetta Enka, che si estende su un arco molto ampio, dal dopoguerra fino ai primi ‘90, con i maggiori fasti dalla metà degli anni ’60 fino a fine ’70.
Trovo tra l’altro, che nell’Enka ci sia una grossa influenza dei prodotti RCA italiani, per opera dei vari Morricone o Bacalov (a riprova di cos’era la nostra offerta culturale allora nel mondo), o le nostre varie star internazionali come Mina e Milva, che non a caso al periodo erano molto popolari qui. Ovviamente bisogna scovare le perle in un mare di cose che potrebbero anche venir benissimo confuse con la musica neomelodica napoletana, però ci sono dei pezzi che sono di una bellezza ed epicità commovente. (Non chiedetemi però nomi perché sono davvero difficili da ricordare…)
Trovo che siano musiche molto utili per educarsi alla composizione di una canzone e all’arrangiamento orchestrale fatto come si deve. Di sicuro mi hanno influenzato nelle ultime produzioni.
Comunque, sì, esattamente come in Italia, bisogna levare il mainstream un po’ troppo Pop USA o J-Pop (per fare un esempio) e allora si trovano alcune cose interessanti, ma ormai la globalizzazione ha fatto il suo danno. La scena elettronica invece è fuori di testa, stanno davvero in un altro pianeta. - Esiste invece una scena in Alto Adige a cui sei ancora legato?
Lì nella mia adolescenza ho vissuto in pieno le nascenti scene Hard Core e Hip Hop, che spesso e volentieri si contaminavano tra di loro. Oltre che quella tardo-Metal/Grunge, of course, della quale forse ero più propenso. Penso che la scena rock sia andata scemando a fine ’90 mentre quella Hip Hop si sia piuttosto adagiata sulle varie derive attuali come la Trap per esempio.
I temi, le mode, i modi di dire, di fare… le paranoie, tra i giovani di adesso mi paiono più o meno le stesse di allora, 30 anni dopo, solo più diluiti e decisamente più brandizzati. Lo trovo abbastanza inquietante. Tra l’altro si sta parlando di un periodo musicale che sta durando tantissimo, molto di più di quanto siano durati effettivamente i periodi di picco del rock, metal e punk, per fare solo alcuni esempi. Sono più di 30 anni che, nel genere, “ci si muove stando fermi”. Voglio dire, il rap originario era interessante e ha fatto breccia perché si concentrava sulla immediatezza e urgenza del testo magari sacrificando l’aspetto compositivo musicale (la cosiddetta base) a “supporto” della voce narrante. Ora mi pare che si sia arrivati a sacrificare non solo l’aspetto musicale ma pure le parole e i concetti… a vantaggio di non so cosa. Quindi non trovandomi più a mio agio con questo che reputo ormai solo un prodotto per muovere il business (o sognare di farlo), mi riesce difficile dire che sono ancora legato a quella scena. Sarà un fatto generazionale oppure che non vivo più lì da ormai parecchio tempo, boh. Guarda la cosa che mi rende fiducioso è però che conosco alcuni che operano davvero liberi al di fuori del trend del momento che realizzano cose davvero interessanti. Molto di questo lo si scopre andando sulla pagina FB di “La Musica Che Gira Intorno”, trasmissione su Radio Rai Alto Adige, dalla quale si evince anche il link per l’ascolto in podcast.
Della scena elettronica invece sono aggiornato e ho contatti più sulla zona del Lazio, tra Roma e Formia, dove da tempo ho casa. Ad esempio amici come Kill Ref, Hyperikon, Wunderkammer Orchestra, dance come Claudio Iacono, o punk come Gioventù Bruciata, jazz sperimentale come She’s Analog e stoner come Malpertugio, tutta pura eccellenza. - Qual è il futuro lontano a cui fa riferimento il titolo?
Quello della generazione Boomer e X sono state cresciute nella totale illusione di un futuro promesso per “diritto divino”. Il futuro poi però ha preso direzioni totalmente inaspettate. Si soffre allora di una strana nostalgia per una realtà immaginata a lungo ma non avverata. Questo forse vale anche per le generazioni più giovani, che magari sembrano già adattate essendoci nate in questa contemporaneità, ma di base mi pare una condizione comune a tutti, avversa all’imperante Età della Tecnica (e conseguente capitalismo occidentale). Solo che loro “risolvono” questo disagio distaccandosi violentemente dalle generazioni sopraccitate, usandone infatti le definizioni addirittura come epiteto offensivo, e rifiutando quindi ogni possibile dialogo o confronto con il passato. Di qui il problema dell’offerta musicale di oggi che è spesso qualcosa di già sentito ma “sciacquato” rispetto gli originali. Penso sia infatti un problema di gap culturale dovuto a tale rifiuto generale. - Quali sono le tue influenze musicali, qualcosa che non ci aspetteremmo?
Come detto, di recente l’Enka giapponese, nel passato praticamente tutto dai ’50 ai ’00, dalla A(bba) alla Z(zTop). A dirla sincera mi sento un po’ più distaccato dall’offerta Pop dell’ultimo ventennio, per quanto detto prima, ma almeno l’elettronica di oggi è molto fiorente e da seguire attentamente. Nei primi 2000 c’è stata una guerra silenziosa ma sanguinosa, della quale pochi se ne sono accorti davvero, tra elettronica e black music per accaparrarsi il mercato mainstream dopo la fine dell’epopea grunge, e per un po’ l’elettronica sembrava ce la stesse facendo (warp, Björk, Air, Daft Punk, Chemical Brothers, per fare alcuni esempi), poi lo sappiamo bene come è andata, i grandi producer aggregatori hip hop hanno conquistato i posti di comando decisionali delle major e non c’è stata più storia…
Tornando alla domanda, per fare alcuni nomi meno prevedibili in mezzo ai soliti noti, e cito a braccio: le mie 4 “B” del cuore: Battisti, Battiato, Beatles e Bowie. Leonard Cohen, Oscar Prudente, molte produzioni RCA italiana dei ‘70, i primi Litfiba, i primi Diaframma, Nick Cave, Pink Floyd, Sebastien Tellier, Sisters Of Mercy, Joy Division/New Order, The Sound, U2 + Eno, praticamente tutto il progressive rock ’70, Portishead, Scott Walker, Serge Gainsbourg, La Crus/Dining Rooms, la Warp tutta, Madlib, ecc. Time-out dai, mi arrendo, sarebbero davvero troppi… - Qual è la domanda che avrei assolutamente dovuto?
Vabbé, la ragione, in fondo, del perché sono su queste pagine: “Memories from a distant future” è un album in digitale e anche un vinile davvero ben suonante, oltre che un lavoro multimediale supportato da 8 videoclip che usciranno nel breve tempo, uno ad uno sul sito ufficiale dropoutsound.com.
Il desiderio è che il tutto venga ascoltato e visto da qualcuno. Il classico dubbio da dipanare è: “un albero che cade in una foresta, ma nessuno è presente per sentirlo, farà rumore oppure no?”.
Può essere, per me, solo un desiderio e non un obiettivo perché la musica è come l’amore, e non si può imporre a chicchessia, può essere soltanto scoperta.