Interview: Don Antonio
Abbiamo raggiunto ancora una volta Antonio Gramentieri aka Don Antonio “appena sceso dalla montagna” al termine di una sessione di prove con i suoi musicisti.
Ex giornalista musicale, produttore e da anni guitar sideman di personaggi come Dan Stuart(Green on Red), Alejandro Escovedo, Hugo Race e titolare di diversi altri progetti, “Grammo” ad aprile ha dato alla luce il secondo lavoro solista come Don Antonio, dal titolo La Bella Stagione (Santeria) che lo vede, finalmente, alla voce.
In contemporanea è stato stampato anche un libro dallo stesso titolo, contenente una serie di racconti corredato dall’EP L’eclisse, contenente la versione live di tre brani dal disco principale e due inediti provenienti dalle stesse sessioni.
Ecco cosa ci ha raccontato.
IR: Quando e come è nata l’idea di questo progetto “la bella stagione” (libro + album)?
DA: E’ nata negli anni, senza che sappia identificare un momento preciso. E’ nata in contemporanea a un sentire. Una sensazione di compiutezza rispetto a un percorso, ma anche di progressiva distanza dalle cose. Come se a forza di girare intorno ci si dimenticasse da dove si è partiti e perchè. Fare musica è la punta di un iceberg, farla per mestiere e girare il mondo è la… punta della punta. Sotto c’è il percorso emotivo che ha condotto lì.
IR: Questa volta hai scelto, come già mi anticipasti un paio di anni fa, di finalmente far sentire la tua voce. Hai lavorato per sviluppare il tuo stile o ti sei ispirato a qualcuno in particolare?
DA: Ho coscienza dei limiti della mia voce, ma queste canzoni le potevo cantare solo io. Ho cercato di trovare un mio suono di voce, esplorando le pieghe del timbro che uso quando parlo, la mia naturale inflessione, e di fare in modo che fosse credibile e spontaneo mentre raccontava storie. A me nelle canzoni serve, da autore ma anche da ascoltatore, una cosa sola: poter credere a chi me le racconta.
IR: Scrivere tutti i brani, soprattuto i testi, cosa che avevi fatto in precedenza ma in modo molto “laterale”, è stato sfidante?
DA: E’ stato bello. E libero. Ho cercato un angolo di ingresso evocativo, che non predicasse né si rifugiasse nell’epica delle frasi fatte e degli slogan. Non usando nemmeno un clichè.
IR: Il fatto di aver lavorato con dei grandi autori come Alejandro Escovedo e Dan Stuart ti ha aiutato in questo senso?
DA: Senza dubbio, ma ha anche settato l’asticella di quello che chiedo a una canzone a un livello minimo molto alto, che mi ha spronato.
IR: La registrazione ha coinvolto, al solito, diversi musicisti, alcuni che già sono con te da tempo, altri nuovi: sono frutto di incontri casuali o frutto di connessioni e amicizie?
DA: Entrambe le cose. Gli incontri, come quello casuale con Arianna Pasini, una musicista giovanissima con una personalità, un’eleganza e una delicatezza straordinarie, sono le cose che ci tengono freschi e vivi. Arianna è diventata l’altra mia voce, in questo disco.
IR: Il cantato nei vari brani è molto differente, ti sei dato dei limiti stilistici o hai solo cercato il timbro adatto volta per volta?
DA: A me pare sempre di essere a un millimetro dal parlato… Come in certi live di Lou Reed che mi hanno molto segnato. E in-segnato. Quello che evidentemente non ho di estensione e di potenza cerco di compensarlo con la ritmica e il fraseggio. Il flow, direbbero i rapper. La metrica, dunque la ritmica, delle frasi è un elemento di cui si parla poco ma che, per come vedo il mondo io, fa la differenza nei cantanti.
IR: Lo stesso ricorda in qualche modo un brano dei John Spencer Blues Explosion, ti ci ritrovi?
DA: No, ma mi fa piacere. Il pezzo nasce da un sogno straniante. Volevo un suono straniante. In quel periodo ascoltavo molto LCD Soundsystem e un side project di Kurt Wagner dei Lambchop di cui non mi viene il nome, molto bello. Ho cercato un groove deviato, torbido. Quando entra la chitarra acustica annegata nel plate reverb mi vengono in mente i primi Primal Scream, che amo molto.
IR: Invece in Ponente mi ricordi molto Lucio Dalla, è comunque un complimento no?
DA: Amo molto Dalla, sia come scrittura che come straordinaria voce. Raramente riesco ad ascoltare più di due sue canzoni in fila perchè contengono un sacco di informazioni melodiche, e testuali. E’ un ufo, un iper melodico, a volte forse anche over melodico. In un certo momento le sue band suonavano più barocche di quanto mi piaccia. Ma se prendo Dalla a piccole dosi, ha pochissimi paragoni. Fuoriclasse totale.
IR: Parlando del libro: chiunque ne abbia scritto uno dice che è una fatica immane, mille ripensamenti, riletture e revisioni. Come è stato per te?
DA: Una fatica immane, un grande viaggio dentro il proprio cuore. Io scrivo con più facilità e più padronanza di quanto suoni, per formazione. Ma qui la fatica è stata asciugare, portare ogni storia al nocciolo. All’essenza, senza piacersi troppo nel gesto di scrivere. Le storie chiedevano una scrittura non compiaciuta. La meritavano.
IR: Stai pensando a come portare live questi brani? Sai già chi suonerà con te?
DA: Li suoneremo certamente live, a seconda di come girerà il mondo. Le canzoni vanno portate in giro, fatte sentire. Per la prima volta mi sentirei a mio agio anche da solo… Ma credo terremo una formazione duttile, dal solo al quintetto.