Interview: Di Ferro E Cuoio (Marco Colombo e Matteo Cantaluppi)
Di Ferro E Cuoio, il libro di Marco Colombo con soundtrack di Matteo Cantaluppi che vi avevamo segnalato al momento della sua uscita lo scorso autunno, è andato sold out nella sua prima stampa, ma ora è stato ristampato ed è di nuovo disponibile in libreria. Ne abbiamo, così, approfittato per chiacchierare via mail con i due protagonisti, come avremmo dovuto fare di persona lo scorso ottobre, prima che il COVID ce lo impedisse. Ecco qui sotto il nostro scambio.
Ripensando al libro ora, un paio di mesi dopo averlo letto, la prima cosa che mi è tornata in mente è quando si parla della noia, di “pomeriggi autunnali smorti col culo freddo sulle panchine, passati impiegando il nostro tempo nel solo modo che conoscevamo: farlo semplicemente trascorrere”, sia perché mi sono immedesimato molto in questo passaggio, che perché se ne parlava altrettanto bene in una delle mie canzoni preferite dei Motel 20099, ovvero “Sobborghi”. Vorrei quindi sapere se Marco vuol dire qualcosa in più sull’argomento e se Matteo si è ispirato anche a questo stato d’animo per la realizzazione della colonna sonora.
Marco : sicuramente tra “Di ferro e cuoio” e il primo album dei Motel 20099 “Romanticismo dalla periferia per giovani teppisti” sebbene arrivino a più di dieci anni di distanza uno dall’altro, c’è un punto di contatto evidente, ovvero l’ambientazione dei due progetti in uno dei luoghi a me più cari e famigliari : la periferia. In entrambi i progetti, ho cercato di parlarne in modo poetico, duro, disilluso ma al contempo ironico, e penso Sobborghi ai tempi dei Motel fosse un po’ la canzone simbolo dell’intero progetto che stava dietro al concept del primo album perché era la perfetta sintesi di tutto. Non so se sia la canzone migliore , ma sicuramente la canzone che puo’ riassumere efficacemente l’idea concettuale che ci sta dietro sicuramente si. Ogni band del resto ha una canzone che riassume alla perfezione il proprio mondo; ripeto, non la canzone migliore, non la più famosa, ma quella dove tutti i semi sparsi germogliano assieme; nei Beatles è “We can work it out”, negli Oasis “Some might say”, nei Motel 20099 “Sobborghi”.
Matteo: al contrario di Marco, io non sono cresciuto in periferia, ma direttamente in provincia. C’è una sottile differenza tra i due mondi, ma la vaga sensazione di desolazione e noia può essere molto simile, ed è stata di grande ispirazione per le musiche. All’inizio volevamo tentare delle ambientazioni sonore più “Urban” o Hip Hop 90’s, ma poi ho tirato fuori dall’hard disk dei brani che avevo iniziato a comporre quando vivevo a Berlino, e si sono rivelati perfetti. Rarefatti, con molti spazi vuoti, che spesso non partono mai, come la vita in periferia/provincia
L’altra cosa che mi è tornata in mente prima delle altre, e stavolta non c’entra nulla con la musica, è il passaggio dedicato a quel gol indimenticabile di Dragan Stojkovic, che davvero ho sempre ritenuto uno dei momenti generazionali per eccellenza di ogni appassionato di calcio. Infatti, oltre a chiedere, come nella domanda precedente, se Marco ne vuole parlare, mi permetto di chiedere a Matteo perché non ha dedicato un brano a questo momento secondo me fondamentale, forse non è appassionato di calcio…
Marco: Dragan Stojkovic è il mio idolo da quel giorno di canicola estiva del mondiale del 1990. E’ l’icona perfetta del meraviglioso perdente, che ad un passo dal paradiso si ferma. Lui e quella fantastica squadra sono la miglior rappresentazione possibile del genio incompreso, della poesia, delle occasioni perse, della sconfitta e della privilegiata metafora della vita che il calcio ci regala. Non vinse mai praticamente nulla Stojkovic, neanche “quella” Coppa dei Campioni perché lui nel frattempo era passato nelle fila dell’Olympique Marsiglia che per un caso di atroce destino fu appunto l’avversaria in finale della “sua” Stella Rossa. Si rifiutò di calciare il rigore contro la sua ex squadra, che tifava fin da bambino e dove era cresciuto calcisticamente, in un ultimo paradossale atto di amore. La storia di Dragan e di quel calcio jugoslavo è a mio modo di vedere una delle più alte forme di poesia del secolo scorso. Ce l’ho tatuato sull’avambraccio Dragan Stojkovic, rappresentato come un’icona ortodossa. Penso io non debba aggiungere altro.
Matteo: purtroppo non sono nulla di calcio 🙂 Poco prima dell’arrivo del Covid mi ero fissato, e volevo iniziare ad andare a vedere qualche partita allo stadio, magari con Marco. Mi intriga, ma per cultura famigliare non mi ci sono mai avvicinato. Sono però molto appassionato di storie di sportivi, mi sarò visto almeno 4 o 5 documentari su Maradona 🙂 Ma purtroppo questo momento del libro non è stato musicalmente coperto 🙂
Parlando, invece, di associazioni in effetti esistenti tra libro e colonna sonora, vorrei soffermarmi sul personaggio di Dana e sul brano a lei dedicato. Dana è un personaggio centrale in tutto lo svolgersi del libro e associati a lei ci sono momenti e sensazioni dal tenore differente, ma nella colonna sonora si è fatta una scelta piuttosto radicale, mi sembra. Chiedo a tutti e due, se volete, di dire la vostra in merito.
Marco: Dana che come tutti i personaggi del romanzo è un personaggio inventato, è un po’ la musa del protagonista, che la vede bellissima e perfetta quando in realtà non lo è proprio. E’ centrale nel racconto ed è enigmatica ed intrigante, con questa sua personalità articolata un po’ ambivalente. Il brano a lei dedicato nella soundtrack mi sembra molto centrato, perché è quasi sfuggente, volutamente incompiuto, come la Dana del romanzo.
Matteo: Dana sembra essere uno dei passaggi musicali preferiti dalle persone che hanno ascoltato la colonna sonora. Come il personaggio, anche la musica voleva essere un po’ enigmatica, sfuggente… La scelta di un brano quasi ambient secondo me si è rivelata perfetta, in qualche modo. Trovo che la musica ambient sia più vicina alla provincia ed alla periferia, anche se molti ritengono sia più funzionale in città, proprio per evadere dalla frenesia.
Cos’è, invece, il Blocco 91, a cui è dedicato un brano della colonna sonora ma non mi risulta che se ne parli nel libro? Tra l’altro mi sembra il brano più vivace e di facile ascolto in assoluto.
Marco : mi ricordo un confronto con Matteo circa i nomi da dare alle composizioni, ed una delle cose che ci dicemmo da subito, fu quella di non per forza utilizzare magari forzatamente nomi o situazioni ricorrenti nel romanzo, ma di usare titoli anche semplicemente evocativi. Blocco 91 che per inciso è uno dei miei pezzi preferiti della colonna sonora, va in quella direzione. “Blocco” nell’accezione di agglomerato di palazzi uguali di periferia, che sono per antonomasia uno dei simboli dell’arredo urbano, e “91” come identificativo degli anni in cui il racconto si svolge.
Matteo: il significato del titolo lo ha spiegato perfettamente Marco. Per quanto riguarda invece il mood del brano, nella mia testa incarna perfettamente un viaggio in metropolitana da Piazzale Loreto fino a Sesto San Giovanni, ultima corsa. E’ il 1991, e immagina di tornare a Sesto, dopo una serata a Milano, sapendo che la notte è ancora lunga, e che siete tutti un po’ su di giri… Questo è il senso del brano.

Un ambiente che torna più di una volta nel corso della narrazione è quello della metropolitana, dove vengono barattate le camicie rubate, dove si osserva la maggioranza dei propri coetanei fare una vita omologata, sentendosene fieramente distanti e dove si svolgono scene di vandalismo e di fughe tumultuose dai controllori. Un vero e proprio microcosmo, secondo me ben rappresentato dal ritmo incalzante del brano a esso dedicato della colonna sonora. Anche qui, chiedo a entrambi se volete approfondire l’argomento.
Marco: credo che la Metropolitana sia una vera e propria fonte di inesauribile ispirazione e una grande metafora dell’esistenza. Dal concetto stesso di “sotterranea” di cui parlavo anche in “Sdraiato con sigarette” dei Motel 20099, nell’accezione forse mai compresa del tutto, dell’immersione nel recondito, nel profondo, nel sotteso, la Metropolitana diventa affascinante. In metro mi è sempre piaciuto osservare la gente, ascoltarne distrattamente i discorsi, immaginarmi le loro vite in superficie. E’ stato naturale per me in fase di scrittura riferirmi molto a questo ambiente, e credo in futuro di voler ancor di più addentrarmi in questo mondo.
Matteo: personalmente uso moltissimo la metropolitana. Raramente leggo durante il viaggio, e guardo poco il cellulare. Osservare le persone, invece, mi ispira molto. Magari ascoltando della musica. Lo so, è un classico, ma è davvero cosi.
Il libro si chiude nella chiesa di San Clemente, e così la colonna sonora. È un momento potente, liberatorio, in cui il protagonista affronta se stesso per cercare una nuova forza d’animo su cui basare le proprie scelte di vita, e anche qui c’erano diverse opzioni su come rappresentare musicalmente tutto questo, e mi sembra che qui, al contrario del brano su Dana, si sia cercato di mettere un po’ tutto sul piatto. Un’ultima volta, vi chiedo di approfondire come volete.
Matteo: i riverberi utilizzati nel brano, la Linn Drum che fa un beat quasi Pink Floydiano e soprattuto la dissolvenza finale ci sembravano una bella interpretazione del finale, quasi inaspettata, ma calzante. Marco ed io, in maniera differente, abbiamo vissuto sulla nostra pelle la periferia/provincia, per cui non è stato un processo razionale: ci è venuto tutto molto naturale.
Marco: senza voler spoilerare nulla ovviamente, la scena finale è una delle scene madri dell’intero romanzo, una sorta di resa dei conti che in realtà affronta anche il lettore perché mi sono reso conto che al finale ognuno dà una sua interpretazione personale ed è per me una cosa meravigliosa, un qualcosa a cui, non ti nascondo, ambivo. La composizione di Matteo mi piace molto perché ha quel sapore dolce amaro di fine che lascia una porta aperta. In generale credo che l’intera Soundtrack sia un piccolo gioiello, molto aderente alle atmosfere del romanzo, e sono orgoglioso che Matteo sia stato entusiasta di partecipare a questo progetto, perché lo considero una delle personalità più colte, estrose, poliedriche e competenti dell’intera scena musicale italiana.