Interview: Christaux
C’è da restare incantati di fronte al mutevole eclettismo di Clod e del suo progetto Christaux. Dopo la magnifica esperienza degli Iori’s Eyes, il Nostro non riparte da dove aveva lasciato, no, muta pelle e diventa inafferrabile, maestoso, incantevole ed epico, con una forte impronta oscura che s’incontra, seduce e abbraccia il pop. Difficile parlare di un lavoro come Ecstasy, perché racchiude tante anime che spaziano, giusto per fare qualche nome, da Perfume Genius ad Anohni, ma in realtà assolutamente facile, per il semplice motivo che ogni disco che cattura mente e cuore in contemporanea va subito lodato. Proprio questo riesce a fare il lavoro di Christaux. Che ci si muova nei sublimi territori synth-pop di ‘Light Year‘, si preferiscano gli anni ’80 di ‘Human‘, le ombre malinconiche e minimali di ‘Tonight‘ o lo struggimento piano/voce di ‘Recognize‘ (per non citare l’emozionate e poetica ‘Surreal‘, che si fa sogno meraviglioso dal quale svegliarsi è semplicmente un delitto), quello che ci arriva è una sensibilità così vera e autentica che non può non coinvolgere l’ascoltatore.
Dischi come Ecstasy meritano attenzione, meritano il nostro completo trasporto, perché finalmente non abbiamo più musica adatta ad essere solo sottofondo, no, abbiamo un sound che, proprio per la sua forte carica empatica, è pronto per essere priorità. Non si spaventi il lettore, non è impresa titanica ascoltare il disco, tutt’altro, ma se non ci fosse la piena padronanza (traduzione, se non ci si dedicano entrambe le orecchie) di quanto si ascolta, beh, si andrebbe a predere fin troppo impatto emozionale e sarebbe un disastro. Una lunga introduzione la mia, lo ammetto, ma dovevo proprio farla. Grazie Clod per aver trovato il tempo per rispondere alle mie domande…
Ciao Clod, come stai? Da dove ci scrivi?
Ciao! Tutto bene grazie! In questo momento sono a casa, nella mia cripta, a Milano.
Non ti manca certo l’esperienza e la capacità di “sopportare” l’uscita di un nuovo disco, eppure il fatto di avere un progetto “in solitudine” può essere qualcosa che fa vivere in modo diverso l’uscita di un album?
Sicuramente. Non mi era mai capitato finora di decidere tutto dall’inizio alla fine, e questa cosa non è da poco, sia in termini di “responsabilità” che di “libertà” ovviamente. La libertà di essere completamente se stessi, senza dover trovare un punto di incontro in un discorso di coppia, è stato molto stimolante, appunto perché è stata una cosa nuova per me.
Io sono sempre alla ricerca di cose nuove, se no impazzisco.
I 3 brani che hanno anticipato il disco ci hanno mostrato un tuo lato barocco, “ridondante” (se mi concedi il termine, sopratutto rispetto al minimalismo della tua band precedente), oscuro eppure imponente. Viene da chiedersi se questo tuo lato negli Iori’s Eyes fosse “represso” a forza o era solo in attesa di emergere?
I termini che hai usato sono molto azzeccati.Sono molto affezionato alla musica e alla pittura barocca. Quello slancio, quella tensione emotiva mi fanno venire i brividi dall’emozione.
Trovo dimora nell’enfasi. Per me essere carico di emotività esasperata è del tutto naturale.
Non sono una persona drammatica, anzi, ma dentro di me ho come la sensazione di avere un vulcano in continua attività.Non voglio dire che negli Iori’s Eyes tutto questo fosse represso, ma semplicemente non c’era lo spazio giusto per poterlo esprimere al massimo.
Ricordo quando ascoltai ‘A Minute To Now‘ per la prima volta: era stato chiaro che oltre all’elettronica tu volessi qualcosa di più, ecco il lavoro al piano, l’impatto ritmico, i momenti più raccolti che poi si aprivano in modo prepotente. Immagino che non fosse l’unica canzone che avevi pronta, ma volesti scegliere quella come tuo biglietto da visita. Come mai? La trovavi così completa e rappresentativa del tuo nuovo “essere”?
Esattamente. A Minute To Now è stato il primo pezzo ad essere stato affrontato in fase di produzione e di conseguenza anche il primo che mi ha dato la soddisfazione di vedere che quello che volevo si stava materializzando, che quello che volevo essere era finalmente lì davanti a me.Mario Conte, co-produttore dell’album, ha capito esattamente dove volevo andare e mi ha aiutato a creare la magia. Ero talmente elettrizzato dal risultato, da quell’effetto “specchio” nel quale mi riconoscevo al 100% (devo ammetterlo, per la prima volta), che ho voluto farlo uscire subito. E’ stato un gesto istintivo di condivisione con “il mondo”, se si può dire così.
‘The Fire‘ ha ancora un magnifico lavoro tribale in sottofondo, ma anche un suono sporco e ruvido che mi sorprende ad ogni ascolto. Era già così nella tua testa fin dall’inizio o era nata per essere più morbida?
La versione demo del pezzo era più morbida, a tratti ambient, ma aveva già tutti gli elementi portanti (il giro mantrico di basso, il piglio vocale, buona parte della ritmica e soprattutto l’atmosfera).
Mario anche qui ha dato il colpo di grazia, fondamentale, decidendo l’inserimento di altri synth e soprattutto delle chitarre, rendendo tutto ancora più penetrante.
‘Light Year‘ ha un piglio trascinante, profuma di epicità e di anni ’80: è una canzone che non esito a definire pop, ma assolutamente non in senso “da classifica” o “ruffiana”. Cosa ne pensi della mia definizione?
Fai bene a non esitare a definirlo pop, anche perchè, oggettivamente, ne ha tutte le caratteristiche.
Penso sia un pezzo che possa funzionare bene in radio. Non è un pezzo ruffiano perché non lo sono io in primis: ho sempre fatto quello che ho voluto senza pensare a cose tipo “piacerà?“, “dove andrà a finire?” etc etc. Credo che tutto l’album sia l’emblema di questa mia costante voglia di libertà ed individualità, “no matter what“.
Le canzoni che troviamo su ‘Ecstasy’ sono nate ultimamente o c’è qualcosa che ti porti dietro da tanti anni e finalmente ha trovato lo sbocco per essere mesa in luce in un contesto adeguato?
Ogni pezzo è un episodio a sé, nato in un determinato periodo e in una determinata situazione.
Ci sono pezzi come ‘The Fire‘ e ‘Human‘ che sono nati un paio di anni fa, quando ancora non sapevo se avrei voluto fare un album, un ep, o nessuno dei due, e altri come ad esempio ‘Light Year‘, ‘Spazio HD‘ e ‘Surreal‘ che sono nati durante la lavorazione del disco (mentre io e Mario ci lasciavamo avvolgere da un’atmosfera sempre più chiara, definita), prendendo il posto di altri pezzi, che abbiamo inevitabilmente dovuto scartare per questioni di “quadratura” del disco.
La parola ‘Ecstasy’ mi riconduce (per associazioni di idee) subito alla droga. Mi chiedo quindi se questo disco parli di “dipendenze”, non tanto da una sostanza, ma in generale: la dipendenza e la necessità/volontà di uscirne (cosa non sempre facile o possibile, tra l’altro)…
Il titolo sta a rappresentare la condizione di isolamento completo e di evasione totale dalla realtà in cui mi sono trovato in questi ultimi anni. Sono stati anni difficili per certi versi e sotto tanti punti di vista.
Ero alla ricerca di qualcosa, di un punto fermo, se non addirittura di un nuovo punto di partenza (e non parlo solo della musica). Ho ricercato molto me stesso e questa è stata una vera e propria dipendenza: avevo fame di risposte, pur non avendo delle domande precise. Ho fatto molti sbagli, preso qualche batosta, ma non mi sono arreso.Non volevo starmene chiuso esclusivamente nei miei spazi, ma ho dovuto farlo, così da potermene liberare completamente e definitivamente. O almeno spero.
Il disco è stato prodotto da te e da Mario Conte, un lavoro di gruppo costante o idee che partivano da te e poi Mario le valutava ed eventualmente le modificava?
Quello con Mario è stato un lavoro di continuo scambio. Ovviamente, all’inizio, mi sono presentato dal lui con tutto quello che avevo scritto fino a quel momento, e subito dopo abbiamo scelto su cosa cominciare a lavorare.
Man mano che il disco prendeva forma ed io e Mario diventavamo sempre più affiatati, sono nate nuove idee. ‘Spazio HD‘ e ‘Surreal‘, come dicevo prima, senza Mario non sarebbero mai nate, ‘The Fire‘ e ‘Tonight‘ non avrebbero il sound che hanno e così via.
Lo stesso discorso, ovviamente, vale anche su di me, infatti io e Mario siamo soliti chiamarlo “il nostro disco“, e questa condivisione rende il tutto ancora più prezioso.
Sicuramente gli Iori’s Eyes erano stati capaci di realizzare qualcosa che avesse “un marchio”, qualcosa che ascoltandola non si poteva che dire “sono gli Iori’s Eyes” e credo che non sia affatto facile. Sei solo all’inizio del tuo percorso da solista, ma credo che già con questo lavoro tu abbia imboccato una strada che ti potrà far arrivare a quel traguardo. Cosa ne pensi?
Grazie per le belle parole!
Penso che la “personalità” sia un po’ il traguardo al quale ogni persona creativa ambisca, e penso anche sia il frutto di tutto quello che interiorizziamo lungo il nostro percorso di vita.
Quello che sono è anche la somma di tutte le cose che mi hanno influenzato, perché se mi hanno influenzato vuol dire che un po’ le sentivo già mie: si trattava solo di incontrarle. E non parlo solo di musica, ma anche di immagini, persone, situazioni…
Tutto si plasma grazie all’aiuto di input che vengono dall’esterno, anche quella cosa chiamata “visione artistica”. Questa è una delle cose che mi piace di più del mio lavoro.
Mi ha molto sorpreso vedere come artisti considerati “indie” (Motta, Paradiso, Cosmo, Brunori, giusto per fare 4 nomi) siano stati sdoganati su un giornale come “TV Sorrisi e Canzoni”: è un segnale che qualcosa è cambiato veramente o forse sono io che sbaglio a essere sorpreso perché, in fin dei conti, se si fanno ottimi brani pop la distinzione tra indie e mainstream ha francamente poco senso?
Beh, la tua domanda apre due discorsi paralleli: uno è “Qualcosa sta cambiando?” e l’altro è “Che sia indie o che sia mainstream, se un progetto è pop, che differenza c’è?“.
Dico che si, sta cambiando qualcosa, ma bisogna vedere quanto durerà qui in Italia, perché siamo un po’ strani in queste cose. Ovviamente spero che tutto ciò duri e addirittura si evolva, così da non fare invidia anche ai mercati esteri (in cui l’indie molte volte fa numeri da capogiro).
Per quanto riguarda la distinzione tra indie e mainstream, ti devo confessare di non averla mai fatta personalmente. Ripeto: ci sono gruppi indie esteri che fanno più numeri dei personaggi mainstream qui in Italia, personaggi enormi in America che si avvalgono di produzioni più di nicchia perché cool, quindi il discorso diventa un attimo complicato e lungo (forse qui occuperei troppo spazio).
Una curiosità: il minimalismo di Iori’s Eyes mi ha sempre dato l’idea di un Clod molto pacato, pignolo, attento, ordinato e attento ai particolari. Sei davvero così o l’apparenza mi ha ingannato?
Bella domanda…
Dipende. Dipende se parliamo del Clod di tutti i giorni o di Christaux, ma anche facendo questa distinzione il discorso è comunque complicato, perché le due personalità si contaminano a vicenda. Direi che di base sono si pignolo, attento ai particolari, uno al quale piace lavorare tanto e al quale non sfugge mai niente, sia nella vita che nel lavoro. Per quanto riguarda il mio carattere, di base riconosco di essere una persona molto buona, generosa ed altruista. Poi mi arrabbio anche io, eh, come è normale che sia.
Grazie ancora per la tua disponibilità Clod. Chiudo con un pensiero alla Tempesta Dischi. Chi incide per questa etichetta non manca mai di evidenziare l’aspetto “familiare”, “ci si sente come in una grande famiglia”. E’ forse proprio per questo che anche tu sei qui e incidi per loro? Per sentirti, passami il termine, “coccolato”?
Ti posso parlare di Enrico Molteni e di Davide Toffolo, che sono le persone che conosco di più.
Sono delle persone magnifiche. Enrico ha voluto nuovamente puntare su di me, e per questo lo ringrazierò sempre. Mi sento coccolato si: Enry lascia intatta la mia visione artistica, mi lascia fare quello che voglio perchè sa che so quello che sto facendo. Insomma, non è una cosa da tutti, te lo posso assicurare. Grazie a te Riccardo!
Un abbraccio!