Interview: Cascate
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con i Cascate, un duo che amerà cercava finalmente una vea alternativa alla scena romana. Si descrivono così Spiritosi ma intensi, a tratti emotivamente compromessi, leggeri come una piuma ma sempre bizzarri. Nostalgici, romantici ed elettronici q.b. Da Roma duo pop sovversivo a cascata. e ci hanno raccontato qualcsoa di loro.
Sembrate davvero ben distanti dalla scena romana che si è ben radicata nell’immaginario di questo 2019. Cosa c’è a Roma, musicalmente parlando, oltre l’it-pop?
Effettivamente viviamo a Roma ma non viviamo molto Roma da un punto di vista musicale, anche se ultimamente la stiamo riscoprendo con grande curiosità. Abbiamo vissuto di più il periodo precedente l’it-pop, quando c’era molto inglese e poco italiano. Sarà per questo che siamo un po’ fuori l’attuale scena. Comunque c’è grande fermento e molto traffico, non solo per le strade.
Il vostro si può definire un electro-pop minimale? Qual è il vostro set?
Minimale è un aggettivo che ci piace molto, lo usiamo spesso. L’ electro-pop forse è l’unico genere che descrive ciò che facciamo, non tanto nelle sonorità quanto nell’approccio. Sia dal vivo che in studio cerchiamo di avvicinare il più possibile il computer ad uno strumento vero e proprio, abbiamo creato un set su misura per questo, con controller e possibilità di interazione, il che rende tutto più divertente. Per il resto siamo noi due e vari altri strumenti con cui spaziamo parecchio. Abbiamo un set molto ibrido e fluido, rispecchia a pieno il nostro processo creativo attuale, che è paradossale, a tratti folle: tanti limiti e tante libertà.
Quali sono invece le vostre influenze musicali? Qualcosa di nordico? Qualcosa che non ci aspetteremmo?
Da questo punto di vista abbiamo ascolti veramente variegati, forse il nordico in senso stretto è proprio quello che tra tutti meno appartiene ad entrambi. Siamo due persone con bagagli musicali praticamente opposti e nel tempo ci siamo molto condizionati a vicenda. Sicuramente abbiamo trovato un punto in comune nella musica anglofona alternative, abbiamo tutta la discografia degli Arctic Monkeys, dei Tame Impala ma anche di St. Vincent o James Blake. Ma in realtà andiamo molto a periodi, ci affezioniamo sempre il giusto ai dischi, ai generi o alle canzoni, aspettiamo sempre di essere stupiti dall’ultimo singolo del nostro artista preferito, o dall’ultima hit che troviamo su Spotify o Youtube, di qualunque genere sia, specialmente se di stampo internazionale. Nonostante questo alla fine nelle nostre canzoni c’è sempre un alone di vintage italiano (Mina e Battisti su tutti) che ci appartiene fin da piccoli. Restando in Italia seguiamo una band che potrebbe sorprendervi, i Verdena. Ci siamo avvicinati alla scrittura in italiano con loro.
Che nesso c’è tra il vostro brano di Fino alla fine e il video?
“Fino alla fine” è una canzone sulla ciclicità delle fasi di un rapporto di coppia, in particolare sulla fase più difficile, quando ci si perde e ritrovarsi diventa complicato. Nel video abbiamo voluto rappresentare su due binari paralleli gli estremi della storia di una relazione: l’inizio, quando ci si frequenta e tutto sembra una favola e il punto di rottura, quando ci si scontra con il peso del tempo e tutto sembra spegnersi. Il momento cruciale è l’incontro delle due coppie che rispecchiandosi l’una nell’altra si riconoscono. Quel momento segna l’inizio di una nuova fase del loro rapporto. Volevamo trasmettere il messaggio che il senso della vita di coppia va ricercato proprio nella sua ciclicità, l’accettazione di questo alternarsi che si ripete fino alla fine. Sembra triste e fatalista ma in realtà quello che volevamo dire è che nella vita di una coppia non è sempre tutto “rose e fiori”.
Come suonerà il vostro EP? Rockit dice che ricordate I Cani.
Sinceramente l’accostamento ci ha sorpreso, perché conosciamo solo le canzoni più famose de “I Cani“, non abbiamo mai approfondito. In effetti, a posteriori, possiamo dire che “Fino alla fine” ci si può avvicinare, ma il resto dell’ Ep ha sonorità diverse. Da questo punto di vista “Giardini” è molto inconsapevole e spensierato. A noi suona un po’ folle, un po’ sognante, un po’ fuori dagli schemi. Non sappiamo se è un bene o un male, ma rappresenta a pieno quello che eravamo quando l’abbiamo scritto. Ci piace immaginarlo come una passeggiata in un giardino pieno di spunti e di cose bizzarre.
Vi si può ascoltare anche d’estate?
Si, soprattutto le notti d’estate in macchina, quando Roma si svuota e dal finestrino entra un’arietta frizzantina.
La domanda che non vi ho fatto ma che avrei dovuto?
State già lavorando a qualcosa di nuovo?