Interview: Canova
Pochi giorni prima della pubblicazione del secondo album Vivi Per Sempre, i Canova hanno incontrato la stampa in un promo day a Milano. Noi abbiamo avuto l’opportunità di partecipare a una delle due round table previste, e questo è il resoconto di ciò che ha detto la band al completo.
“Abbiamo lavorato in modo molto libero e non abbiamo pensato assolutamente al fatto di sapere che questo disco sarebbe stato ascoltato da molte persone, mentre il primo pensavamo di farlo solo per noi stessi. Noi comunque non vogliamo fare dischi uguali e ridurci a fare le copie di noi stessi, quindi sappiamo già che il nostro futuro andrà verso un’altra direzione. Cresciamo, le nostre vite prenderanno certe strade e lo si noterà anche nelle canzoni, ma il fatto è che noi vogliamo essere sempre liberi mentalmente nell’approccio, anche perché pure il pubblico può cambiare completamente da un anno con l’altro, quindi non vale la pena ragionarci più di tanto. Per noi al primo posto ci sono le canzoni, senza stare a pensare troppo a chi le ascolta. Il processo creativo è stato simile a quello del primo disco, con l’unica differenza che quello pensavamo di farlo per noi. Quando poi è finito l’ultimo concerto all’Alcatraz, ci siamo detti che dovevamo immaginarci di ripartire da zero e di non sentirci privilegiati in alcun modo. Questo, secondo noi, è l’approccio vincente, perché finché sei te stesso, non sbagli mai. Comunque, ovviamente, siamo curiosi di vedere come verrà preso questo disco e che storie avranno queste canzoni. La maggior parte delle canzoni sono state scritte in tre settimane, prima della scorsa estate, poi in estate abbiamo registrato, ma i tempi della discografia sono sempre lunghi”.
“Per la copertina, l’approccio è stato lo stesso del disco precedente, ovvero canzoni vere, copertina vera. Per cui abbiamo liberamente cercato una foto che ci piaceva su Instagram, perché ormai la vita delle persone è lì dentro, e se vuoi una foto vera, devi andare lì. Abbiamo selezionato un centinaio di foto, ma questa era quella che ci tornava alla mente più spesso, questo cane voleva essere pubblicato. Ci sono tantissimi sentimenti in quel volto, in quell’espressione, soprattutto in quegli occhi. Tutti i sentimenti delle nostre canzoni: l’innamoramento, la delusione, l’ebbrezza, lo smarrimento. Abbiamo contattato la fotografa, che è tedesca e aveva scattato la foto in una vacanza in Sudafrica. Lei ci ha risposto “e perché mai vi piace questa foto?”. Per noi è eccezionale perché ha molto carattere, a noi piacciono le cose di carattere, sia musicalmente che a livello comunicativo. L’estetica potrà non piacere a tutti, ma per noi è bellissima”.
“La nostra estetica è venuta fuori in modo casuale, noi abbiamo le nostre vite e ci siamo subito trovati simili nel look e nell’attitudine. L’estetica, poi, è anche linguaggio, e le canzoni che scrive Matteo non rappresentative del linguaggio e del modo di comunicare di tutti noi. Ci fa piacere che questa cosa si noti, ma noi non ci pensiamo, per noi la prima via comunicativa sono le canzoni e il suono”.
“Le nostre canzoni sono tutte autobiografiche, nel bene o nel male, e per noi sono un’esigenza. Ogni disco racchiude un anno di vita, che si riflette nelle canzoni, e per noi questa è la cosa bella. Scrivere canzoni, in realtà, non è divertente, perché è un po’ come guardarsi allo specchio e una canzone ogni tanto ti giudica, perché la musica è l’unico modo in cui riesci a dire alcune cose. L’aspetto molto bello è che diventano condivisione, oppure è bello che una canzone possa servire per migliorarsi come band, noi ne abbiamo buttate via un sacco proprio perché servivano solo per arrivare a un livello successivo e per migliorare. Quando scrivi, però, non pensi a tutto questo, lo fai solo per l’esigenza che hai in quel momento, e per noi la magia è pensare che poi alcune cose di quelle che abbiamo scritto finiranno in un disco, o in un video, e la gente le canterà ai concerti. La selezione delle canzoni avviene in questo modo: Matteo le scrive e successivamente le guarda da lontano, dopodiché quelle che sceglie passano al resto della band, e, come detto, l’idea è di non ripetersi e che ogni canzone abbia il proprio mondo, in modo che l’insieme delle canzoni creino un racconto e rappresentino un anno di vita. Per questo, ogni tanto ne recuperiamo alcune che all’epoca avevamo buttato, come è successo per 14 Sigarette”.
“Negli ultimi due anni abbiamo girato in lungo e in largo, e abbiamo scoperto che il grupiesmo esiste ancora, e in Groupie, abbiamo cercato di inserire il romanticismo che può esserci nel rapporto. La canzone è intesa come una difesa nei confronti delle ragazze che si innamorano del musicista per via delle sue canzoni e non della persona, ed è bello pensare a cosa sarebbe potuto succedere se le due persone non fossero un cantante e un’appassionata di concerti. Poi vivere questa cosa aiuta a capirla meglio, probabilmente da fuori può emergere solo l’aspetto sessuale, ma invece c’è un certo dramma in tutto questo, e fa bene parlarne in una canzone, così lo si supera più facilmente”.
“Dal punto di vista del suono, abbiamo scelto tonalità un po’ più classiche rispetto ai suoni del primo disco che erano più sintetici. Abbiamo voluto sperimentare moltissimo con le chitarre, perché è uno strumento che ha fatto la storia ed è stato un po’ maltrattato negli ultimi tempi, e abbiamo voluto dargli l’importanza che si merita, senza però rischiare di suonare troppo datati. La cura, rispetto al primo disco, è stata maggiore, abbiamo avuto anche più tempo per registrare, per il primo disco avevamo solo 6 giorni, per cui non abbiamo nemmeno avuto il tempo di studiarle certe cose, mentre qui abbiamo potuto prenderci il tempo che serviva per essere davvero fedeli a noi stessi e anche a come suoniamo live. Per noi è comunque un percorso, e siamo già curiosi di come sarà il nostro suono al terzo, dipenderà anche dalle canzoni, sono loro che dettano la legge”.
“Siamo molto appassionati di britpop, e soprattutto delle ballad di quel periodo musicale, per cui è normale che nelle nostre canzoni più romantiche ci sia questa influenza. Le ballad italiane hanno un sapore diverso, al di là del testo, e l’influenza british è proprio una cosa che abbiamo dentro, per cui se dobbiamo fare una canzone di quel tipo, la facciamo in base a come le abbiamo ascoltate. Infatti, finito il tour scorso, ci siamo voluti regalare un viaggio a Londra proprio per questo motivo, e da lì è nata Goodbye Goodbye, in seguito alla nostra visita a Abbey Road. In realtà a Matteo la città ha deluso molto perché non ci ha trovato nessuna radice della cultura inglese, era tutto molto globalizzato e potevamo essere ovunque. È stato comunque bellissimo poter entrare a Abbey Road, e la sera stessa in cui siamo tornati a casa è nata la canzone. Il fatto poi di metterci testi più ispirati al cantautorato di casa nostra è un’altra cosa che nasce naturalmente, qui dentro non c’è niente di pensato, evidentemente, al momento, i nostri ingredienti sono questi, ognuno mette dentro le proprie mani ed esce questa cosa a nome Canova. In ogni caso, non ci siamo mai messi a dire cose del tipo “questa canzone la facciamo come gli Oasis”, perché, se lo facessimo, saremmo messi abbastanza male, e perderemmo entusiasmo nel fare dischi e nell’andare in tour. Non ci interessa cercare una ricetta, perché se lo fai, cadi nel cliché e ti auto plagi”.
“In Italia non emergono molti gruppi rispetto ai solisti, perché non è facile fare squadra nel mondo di oggi. Noi, per fortuna, siamo nati molto tempo fa e per noi stare insieme aiuta ad affrontare le cose e a vivere. Quando, per diversi anni, eravamo un gruppo e non succedeva niente, stare insieme ci ha dato forza, poi il primo disco è uscito in un contesto e in u mercato che aspettava esattamente quello. Siamo stati fortunati a essere lì ma anche bravi nel farci trovare pronti. A noi, tra l’altro, piace definirci pop e non indie, probabilmente siamo stati associati al movimento indie perché venivamo dal contesto di locali meno frequentati, ma il fatto è che in Italia, pop è inteso spesso in un’accezione negativa, però in realtà anche i Beatles erano pop. Poi un altro problema è che, sempre in Italia, basta una chitarra elettrica per definire rock una band, ma in realtà rock è qualcosa che spacca le regole, così ad esempio in Italia gli Oasis sono considerati rock ma anche loro fanno canzoni”.
“Conosciamo tutti gli altri musicisti che sono emersi con noi negli ultimi anni perché ci si incontra in giro tra festival, premi e serate. In realtà ognuno si fa un po’ gli affari propri, però c’è stima, e ogni tanto ci sono collaborazioni, anche se a noi non è ancora successa. C’è probabilmente anche un po’ di influenza reciproca, magari non direttamente, ma tutti guardano ciò che fanno gli altri, e questo può servire per migliorare tutti. Non ci sono dissing, si potrebbe iniziale! Per quanto riguarda un’eventuale contrapposizione con i rapper che fanno successo oggigiorno, trovo che siano due cose molto diverse, perché noi e i gruppi associati a noi abbiamo ripreso alcune cose della canzone italiana, mentre loro hanno importato influenze estere. La cosa bella è che gli ascoltatori di entrambe le cose sono giovani, ed è importante che le nuove generazioni ascoltino cose legate al loro tempo, in un momento in cui sembra che ci sia sempre meno da dirsi. Non che ci siano chissà quali contenuti, però è importante che le masse di giovani si muovano e anche che ci siano queste due strade diverse, anche perché venivamo da anni di stallo totale, mentre adesso ci sono due alternative principali e ognuna di esse è legata al mondo di adesso, e poi può anche capitare che chi ascolta Salmo o Coez venga anche ai nostri concerti”.
“Sappiamo che non a tutti piace l’esperienza tour. Per fortuna ora siamo comodi, non dobbiamo guidare, né occuparci di montare o smontare il palco, ma il tour folle di 100 date in furgone che abbiamo fatto ci ha consentito di essere preparati a ogni situazione, e troviamo che per ogni band sia fondamentale un’esperienza del genere. Poi a noi è andata bene perché proprio in quel momento l’aggregazione del pubblico si è spostata dalle discoteche ai concerti. Adesso è meno rock n roll ed è più organizzato, e può essere preferibile così, però è stato bello e divertente fare prima quel tipo di esperienza”.