Interview: Bottega Baltazar

Abbiamo già segnalato la recente uscita del nuovo album della Bottega Baltazar, in occasione della quale la band ha modificato leggermente il nome, che prima era Piccola Bottega Baltazar. Essendo poi personalmente un grande fan della band padovana da diversi anni, non ho potuto perdermi l’opportunità di incontrarli a Milano lo scorso 25 maggio per intervistarli. Erano presenti Giorgio Gobbo (voce e chitarra) e Antonio De Zanche (contrabbasso e basso elettrico); le loro risposte rappresentano un punto di vista privilegiato sulle dinamiche interne alla band e sulle fonti di ispirazione.

Mi dispiace per la domanda scontata ma del resto avete cambiato nome, quindi mi tocca chiedere. Come mai siete solo bottega, senza più essere Piccola?
Giorgio: intanto ci sono stati alcuni cambi di formazione, abbiamo nuovi collaboratori, nuovi musicisti, poi nel corso degli ultimi anni abbiamo ampliato la rete delle nostre collaborazioni anche col mondo del cinema, del teatro e della danza, per cui quindi nella Piccola Bottega cominciavamo a stare un po’ stretti e allora l’abbiamo resa più grande.
Antonio: non è più così piccola e ci sembrava, quindi, pleonastico mantenere questa denominazione. Siamo Bottega Baltazar, a prescindere dalle dimensioni.

A proposito di cambio di formazioni, io purtroppo non sono mai riuscito a vedervi dal vivo quindi non ho mai saputo associare le facce ai nomi, però guardo sempre chi ha scritto quale canzone e ho notato che c’è un nome, quello di Marco Toffanin, che era sempre presente, anche come autore di testi, e che ora non c’è più. Significa che non c’è più nella band o è solo un’assenza temporanea?
Giorgio: diciamo che non c’è più perché non si dedica più alla musica, ma non è detto che in futuro non possa tornare a far parte della Bottega, il concetto della Bottega Baltazar è proprio quello di luogo aperto dove le persone possono collaborare insieme, parlavo con lui qualche giorno fa quando ci siamo trovati per una passeggiata sui Colli Euganei, dalle nostre parti, e c’era anche Antonio, ed è uscita l’idea di un possibile percorso di scrittura delle canzoni, quindi in futuro potrebbe tornare a essere una delle firme della Bottega Baltazar, ma in questo album, in effetti, non ha partecipato.

La cosa quanto ha influito, dopo che per anni lui era una delle figure preminenti, almeno stando ai credits?
Antonio: musicalmente, lui è stato sostituito da Riccardo Marogna, che è un fiatista, suona clarinetto, sassofono e anche i sintetizzatori, quindi anche il sound della band è cambiato, non ci sono più le due fisarmoniche, ma la fisarmonica è una sola e in più ci sono i fiati e i sintetizzatori, e questo in qualche modo ha ampliato la gamma dei colori e della timbrica del nostro sound, quindi senz’altro ha inciso.

Tra questo disco e Ladro Di Rose (2010) sono passati diversi anni, però io li vedo abbastanza collegati perché mi sembra che, rispetto a Canzoni A Forma Di Fiore (2004) e Il Disco Dei Miracoli (2007), ci sia una voglia di rendere il suono un po’ più attuale e la cosa mi sembra valga anche per i testi, cioè le cose di cui parlate. Sembra un’attitudine più contemporanea, mentre l’impostazione retrò dei primi due dischi era piuttosto marcata.
Giorgio: sono assolutamente d’accordo e in parte la cosa era dovuta al fatto che Il Disco Dei Miracoli si rifaceva a questo universo buzzatiano dall’immaginario ovviamente un po’ retrò. Anche Canzoni In Forma Di Fiore> si rifaceva a un immaginario di quel tipo, ma nel tempo abbiamo sentito la necessità di…
Antonio: … di trattare cose più attuali e anche temi sociali.

Un’altra cosa che ho notato è che in questo disco, come ne Il Disco Dei Miracoli, siete stati ispirati a un luogo carico di religiosità, che è una cosa diversa dall’essere religiosi. Non so se voi siete religiosi o no, però l’idea è che questo non sia un disco religioso, ma ispirato alla religiosità.
Giorgio: questa cosa è vera, è vero che è presente questa tensione, spirituale, del resto noi quando parliamo del nostro soggiorno sulla cima del Monte Summano lo definiamo “ritiro eno-spirituale”, ironizzando sul fatto che sì, era un luogo da eremiti ma noi eravamo lì anche a divertirsi e a suonare, però è evidente che dentro al lavoro di scrittura, un po’ di questo spirito è finito…
Antonio: … è un po’ inconscio e un po’ mediato dalla montagna che in qualche modo richiama la religiosità.
Giorgio: è proprio un luogo che ti proietta verso l’alto. Noi non siamo persone profondamente religiose nella vita quotidiana, però crediamo che nel cuore dell’essere umano, quindi anche nel nostro, ci sia questa tensione verso non solo le cose materiali, ma anche qualcosa di più, poi ognuno si dà la risposta che vuole. Questo è anche un disco che nasce da un viaggio che se vuoi puoi descrivere come sciamanico, persone che vivono nella città e nella modernità e che se ne distaccano per un periodo per andare in cerca di qualcosa da poter poi restituire sotto forma di creazione artistica. Abbiamo fatto nostro il motto secondo cui bisogna scrivere con i piedi, non nel senso che bisogna scrivere male, ma che bisogna mettersi in viaggio e in ascolto dei luoghi e delle storie che essi contengono.

Una cosa che invece mi sembra rappresenti una novità, e la canzone è stata poi scelta come singolo, è che c’è un brano ispirato allo sport.
Giorgio: come hai colto tu, c’è uno scarto nella nostra carriera, per il quale, da un certo punto in poi, siamo stati portati a parlare di cose in maniera più concreta, anche sanguigna, e più su cose legate all’esperienza contemporanea. Rugby Di Periferia rientra in questo percorso, sono prole che sono passate per la carne prima di finire sulla carta. Il rugby per noi è una passione, nel mio caso è anche uno sport che ho praticato, e volendo raccontare una storia che parlasse di esseri umani che decidono di rimanere in campo nonostante circostanze avverse, ovvero una metafora della vita, il rugby come sport duro, di estremo contatto, ma anche dove si crea una grande solidarietà e in cui, al di là dei luoghi comuni, esiste un forte rispetto per l’avversario, ci sembrava il contesto giusto. Poi il Veneto fa sempre capolino nelle nostre canzoni e il rugby è uno sporto molto radicato nella nostra Regione.

Parlavamo della scrittura delle canzoni, io vedo che gli autori della musica sono sempre tanti, mentre il testo spesso l’ha scritto una persona sola. Come funziona? Mi sembra anche che in questo disco ci siano meno persone tra quelle accreditate di aver scritto una canzone, quindi magari c’è stato un cambiamento.
Giorgio: in passato capitava più spesso di partire da un’idea abbozzata di canzone, che veniva elaborata a più mani. Questo era un bel lavoro dal punto di vista della band, perché ognuno poteva trovare un proprio spazio, di espressione e per poter aggiungere del proprio. In questo disco abbiamo deciso che volevamo mantenere maggiormente il fuoco sulle canzoni, cioè che esse fossero più compiute e che l’arrangiamento non fosse solo uno spazio di abbellimento ma anche qualcosa che andasse esattamente con lo stesso fuoco. Quindi siamo arrivati in sala prove con delle canzoni quasi completamente scritte, cosa che in passato facevamo molto più raramente.
Antonio: e si era deciso che l’autore del testo era il responsabile della canzone, quindi anche l’arrangiamento doveva avere la sua approvazione.

Di solito, nelle interviste, mi piace chiedere un approfondimento sulla canzone che preferisco del disco, però, siccome finalmente vi incontro dopo tanti anni, ve lo devo chiedere sulla mia canzone preferita vostra in assoluto, che è Le Formiche Mentali. Ditemi tutto quello che volete.
Antonio: è una canzone che deriva da un ex-voto di Buzzati…
Giorgio: non so se hai avuto modo di conoscere il libro I Miracoli Di Val Morel…
Antonio: dovresti vedere le immagini di questo ex-voto, di questo tipografo e orafo che si chiama Angelo Dal Pont, che viene da un piccolo paese in provincia di Belluno, che era disturbato dalle formiche mentali. Abbiamo fatto anche noi una piccola ricerca e il fatto è che i tipografi, essendo a contatto con il piombo, sono soggetti a turbe mentali, perché pare che il piombo abbia di questi effetti sul sistema nervoso. Questo tipografo aveva queste formiche che gli entravano in test, che non lo lasciavano tranquillo, che gli mettevano un sacco di dubbi, che lo disturbavano sempre, così lui ha invocato Santa Rita che è arrivata prontamente e ha scacciato le formiche dalla sua mente.
Giorgio: questa è la storia dell’ex-voto e noi ci siamo fatti ispirare per scrivere questa canzone che evidentemente parla di disagio psichico, è un tema che ci sta a cuore da anni, io collaboro con il servizio della ASL di Padova che si occupa di salute mentale, tengo un laboratorio musicale e alla fine del percorso si fa un concerto con i ragazzi e gli operatori che cantano e i musicisti della Bottega che accompagnano. È un tema che ci ispira, ci tocca e ci è molto vicino.

Parliamo dei concerti, probabilmente nei prossimi verrà a vedervi gente come me, fan di vecchia data che purtroppo non vi ha mai visto, oppure qualcuno che ascolterà questo disco e si farà incuriosire. Cosa dobbiamo aspettarci rispetto a come vi conosciamo?
Giorgio: quello che noi ricerchiamo è sempre la cura nel mettere in scena un suono che di base è acustico, quindi il piacere di ascoltare dei musicisti che suonano degli strumenti acustici veri e che hanno fatto anche fatica per riuscire a equilibrare questo suono secondo le caratteristiche di ciascuno strumento. Garantiamo grande cura e grande impegno nella trasposizione live del lavoro di studio.
Antonio: ci sono cinque musicisti, talvolta anche sei, perché per questo disco ci è sembrato opportuno aggiungere una chitarra elettrica, che non è là per fare gli assoli, ma determinati suoni, quindi ci sono questi musicisti che suonano diversi strumenti e creano un certo impatto nel live, anche ampliando la parte musicale. C’è anche una parte di improvvisazione, che nel disco ovviamente non c’è, quindi la cosa potrebbe essere ancora più interessante.

Quando vi ho scoperti, nel 2007, capitava molto meno spesso che ci fossero dischi italiani che suscitassero attenzione in un numero ampio di persone. Dall’estero arrivava un hype alla settimana, per l’Italia, invece, eravamo noi pochi a interessarci. Invece adesso la cosa forse si è invertita, nel senso che di gente per la quale sboccia una passione collettiva il mondo della musica indipendente italiana è pieno, e io pensavo, se fossero usciti oggi dischi come Preparativi Per La Fine dei c|o|d o Days Before The Days degli Yuppie Flu, forse avrebbero ottenuto un seguito molto più importante. Voi l’avete notato questo cambiamento rispetto a come viene percepito quanto fatto da un musicista in Italia, oppure fate parte ancora di un mondo talmente di outsider che questa differenza non c’è per voi?
Giorgio: noi non siamo certo stati investiti dal revival dei cantautori, e abbiamo delle differenze sostanziali, in parte anche anagrafiche, rispetto ai giovani che sono saliti agli onori della cronaca negli ultimi anni.
Antonio: se andiamo nella nicchia, che è dove ci sembra giusto essere collocati, c’è gente che ha ancora la pazienza di ascoltare con attenzione e seguire cose nuove senza farsi trascinare dalle mode, quindi è quello il nostro target, è lì che vogliamo arrivare il più possibile. Per il resto, c’è questo magma sonoro che però mi sembra più una mera fruizione superficiale e non va bene.

Per la prima volta, un vostro disco esce in digitale prima che in versione fisica, non vi ha fatto un po’ strano come cosa, o non ci avete fatto caso? Una volta il disco usciva in un certo giorno e si andava al negozio a comprarlo e immagino che per tutti gli altri vostri dischi sia stato così.
Antonio: per controbilanciare, per la prima volta un nostro disco uscirà anche in vinile. Non subito, però uscirà.
Giorgio: se fai caso, la copertina si presta a essere stampata nel formato del vinile e abbiamo chiesto e ottenuto di inserire nel cd il posterino della copertina in formato vinile.

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