Interview: a/lpaca

Una delle band più a respiro internazionale degli ultimi anni hanno finalmente inciso un album dal titolo Make it better. Ci hanno raccontato come è nato e l’incredibile risposta che hanno avuto dalla sua uscita.

IR: Il vostro sound ha radici ben lontane sia di tempo che di stile, lo avete scelto perchè siete appassionati di Psych Rock anni 70/80?

A: Anche, in parte. Sicuramente il rock psichedelico di quel periodo ci ha influenzato molto, così come anche la sperimentazione degli anni 60, come il kraut rock dei Neu e dei Can. Poi ovviamente la componente psichedelica è molto importante, e forse è anche quella che risalta maggiormente, anche per via dei rimandi abbastanza immediati sia alla musica psych che hai citato tu, sia ai gruppi più recenti che magari ripropongono quelle sonorità. In generale diciamo che nell’album abbiamo voluto mettere diverse influenze, cercando di mescolarle per comporre qualcosa di personale e che avesse una direzione chiara e definita.

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IR: La scelta del cantato in inglese vi ha portato a suonare in situazioni inaspettate e ho visto che andrete ad Austin

A: Noi siamo entusiasti delle risposte che sono arrivate dopo la pubblicazione dell’album, soprattutto dall’estero. La possibilità di andare a Austin al South by Southwest per noi è una cosa incredibile, ma c’è anche un tour europeo che faremo a maggio che sarà un’esperienza bellissima. Sicuramente il cantare in inglese ti da una dimensione più internazionale, ma più che una scelta calcolata è stata una cosa quasi naturale, probabilmente perché i nostri riferimenti principali a livello musicale sono in inglese, quindi per noi è stato praticamente immediato avere quel tipo di approccio alla musica e ai testi.

IR: Nonostante vi si accosti ai Pink Floyd e Soft Machine diverse sonorità sembrano arrivare dai Dream Syndicate di Steve Wynn (Hypnosis soprattutto), siete d’accordo?

A: In realtà pensando alle influenze che abbiamo avuto nel comporre, ti direi che i gruppi di quella scena non sono così presenti all’interno del disco, almeno dal punto di vista degli ascolti che ci hanno portato a scrivere i pezzi. Però sicuramente abbiamo la matrice in comune dello psych rock e dell’acid rock degli anni 60’, quindi diciamo che anche noi, come loro, abbiamo ascoltato la nostra buona dose di Nuggets, e che anche noi li abbiamo assimilati e abbiamo cercato di reinterpretarli. Poi in realtà l’album è influenzato da una commistione di generi che va dalla psichedelia fino al post punk noise, che probabilmente hanno dato ai pezzi un atmosfera più cupa rispetto a quella della psichedelia canonica.

IR: In quanto avete composto e registrato Make It Better?

A: La produzione dell’album è stata molto lunga in realtà, anche perché all’inizio l’idea era quella di fare un ep di quattro pezzi, che erano Make it better, Beat club, Hypnosis e Chameleon. Li abbiamo registrati a novembre 2019, in uno studio di Montichiari, vicino Brescia, e subito dopo aver terminato la produzione di questi 4 pezzi e aver ricevuto i primi mix ci siamo resi conto che avevamo materiale a sufficienza per fare un album. Da lì la decisione di tornare in studio con nuove canzoni. Purtroppo, abbiamo dovuto rimandare la seconda sessione di registrazioni fino a luglio, a causa del primo lockdown e questo ha allungato i tempi di parecchio. Anche la fase di mix è stata abbastanza dispendiosa sia dal punto di vista del tempo, sia dal punto di vista della fatica, e alla fine il disco è stato finito verso settembre/ottobre 2020.

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IR: Quale brano è stato il più complesso da completare?

A: A parere personale ti direi che non c’è stato un pezzo più complesso rispetto agli altri. La vera difficoltà è stata il trovare una direzione definitiva da dare a tutti i pezzi, un modo di approcciarsi alla composizione. Una volta trovata la formula, diciamo che i pezzi sono venuti tutti in modo abbastanza naturale. Abbiamo cercato di far funzionare le varie influenze che avevamo, mescolandole insieme e cercando di portare avanti un discorso che fosse coerente tra un pezzo e l’altro. Quando ti approcci alla composizione di un lavoro più lungo rispetto a un ep, una delle difficoltà è che potenzialmente puoi fare un’infinità di cose diverse, ma trovare quelle che vanno bene per il discorso che vuoi portare avanti non è semplicissimo. Alla fine, il vero cuore dell’album sta nella ritmica serrata che rimane dall’inizio alla fine, e il più è stato riuscire a trovare questa chiave.

IR: Simile al vostro approccio ci sono altri gruppi italiani che hanno tentato di usare schemi legati a realtà lontane (Canadians, Movie Star Junkies per dirne due) che non sono riusciti ad avere tutta l’attenzione che meritavano all’estero, voi cosa pensate di avere in più?

A: In realtà non saprei risponderti, non in questi termini almeno. Noi abbiamo molta voglia di suonare ed è la cosa che ci appassiona di più al mondo. Sicuramente questo ci che ha sempre accomunato. Poi tendenzialmente facciamo molta fatica ad accontentarci, e a modo nostro cerchiamo sempre di dare qualcosa di più per il progetto. Poi comunque in Italia ci sono tanti gruppi che hanno fatto e stanno facendo delle bellissime carriere anche all’estero e che se vuoi per noi rappresentano sicuramente dei riferimenti. Ti dico i New Candys per citarne uno, ma ce ne sono molti altri, alcuni dei quali li conosciamo personalmente e li stimiamo molto. Per rispondere alla tua domanda ti direi che speriamo di essere fortunati e riuscire a fare una bella carriera dai.

IR: Una curiosità: tra i formati disponibili di Make It Better c’è la musicassetta, mi spiegate questa scelta?

A: La cassetta viene dalla nostra collaborazione con un’etichetta inglese che si chiama Sour Grapes Records. Con l’album infatti siamo riusciti a mettere su una bella collaborazione tra diverse realtà, che sono We Were Never Being Boring per l’Italia e l’America, che si è occupata della distribuzione digitale, Sulatron Records per l’Europa, che ha fatto i vinili, e appunto Sour Grapes in Inghilterra che si è occupata delle cassette. È una cosa che fanno per tutte le loro produzioni, e in generale è bello averle, anche perché è un supporto fisico sicuramente più accattivante rispetto a un normale cd.  Poi ovviamente è una cosa un po’ retromane, ma essendo la musica ormai quasi solo in digitale, è bello anche averla in un formato che ha sicuramente molto più fascino.

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