Francesco Dal Poz: il bel pop d’autore italiano
Spazio a belle soluzioni pop d’autore in questo nuovo disco di Francesco Dal Poz, cantautore trevigiano che si mette in viaggio nella ricerca di come raccontare il concetto di unicità. Si intitola “Uno”, co-prodotto con Roberto Visentin, realizzato con la collaborazione diretta o indiretta di professionisti del settore e amici, primi tra i quali Marco Montanari (chitarre in “Cuore logico”), Pakay Simons (batteria in “2106”), TCC Choir (coro in “2106”) e Sean Lucariello (trombe in “Amore ragazzino”). Come si dice: con i piedi per terra, suoni definiti e ben equilibrati e una scrittura quotidiana ed efficace soprattutto nelle scelte melodiche che, anche se non trovano la quadra main stream, sanno bene fare il mestiere.
Una bellissima produzione. Partiamo da qui: come ci hai lavorato?
La produzione, che ti ringrazio definire bellissima, è stata un lavoro di squadra con Roberto Visentin: in alcuni brani l’ha firmata lui, in altri entrambi, in altri ancora solo io. La ricerca delle sonorità di questo disco è stata una ricerca stimolante e affascinante che ha avuto come primo obiettivo quello di sentirmi rappresentato, oltre che dare valore ad ogni singolo brano.
Mi incuriosisce sempre sapere se in produzioni così rigide e ben confezionate esista anche il caso ad aver giocato un ruolo… l’improvvisazione di qualcosa…
Nella creazione di “Uno”, a fare da guida non sono stati il caso e l’improvvisazione in senso stretto, ma l’ispirazione e l’istinto. Questi due elementi sono stati fondamentali e hanno permesso a me e Roberto di giocare e di divertirci, grati di fare qualcosa che amiamo fare.
Titolo evocativo vero? “Uno” come unicità o come solitudine?
Hai colto nel segno il vero significato del titolo di questo album, ma c’è dell’altro. Durante la sua creazione, ho camminato lungo un percorso segnato da diverse tappe, tra le quali l’essermi sentito solo, appunto, ma anche “uno tra tanti”, uno tra l’infinito numero di ragazze e ragazzi che oggi fa musica; questo mi ha spinto a farmi molte domande, tra le quali, la più importante: perché lo sto facendo? Le risposte sono state tante, ma una di queste sta proprio nella riscoperta di me stesso e, appunto, della mia unicità.
Che poi in copertina sembri un “carcerato”… si è prigionieri di se stessi?
Mehmet Gurkan di Memo Production credo abbia saputo rappresentare in maniera magistrale attraverso l’immagine di copertina il percorso fatto durante la creazione di “Uno”. Prigioniero di me stesso lo sono molto spesso. Il dubbio di non essere all’altezza, la paura di mettersi davvero in gioco, il timore del giudizio al quale, per forza di cose, la tua musica verrà sottoposta, sono tutti elementi che troppo spesso mi tengo imprigionato. Ma diventa fondamentale sforzarmi a dare di più e a seguire quello che davvero sento e voglio e di apprezzare quel raggio che nella copertina, come nella quotidianità, entra deciso per dare vera luce a tutto.
Anche nei video hai investito moltissima cura. Come ti rapporti a questo tempo dell’immagine, dell’estetica e del mostrarsi perfetti?
È un momento davvero particolare, da questo punto di vista. La sovraesposizione di noi stessi e della nostra immagine porta con sé, insieme a molti aspetti positivi, anche tutta una serie di problematiche che ci rendono più vulnerabili e affetti d’ansia. Ho l’impressione che, però, ci sia un movimento, anche all’interno degli stessi social, che stia rimettendo al centro la verità, mostrando lati della propria vita e personalità che fino a poco tempo fa era impensabile mettere in mostra, cosa che anch’io ho fatto in ogni singolo brano di “Uno”.